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2 marzo 2015



«Quel Lisippo è italiano»
Lo storico dell'arte Paolo Moreno ristabilisce la verità sul celebre “Atleta vittorioso” conservato al Getty Museum che fu recuperato nell'Adriatico e ora è rivendicato dal nostro Paese: «L'attribuzione: si tratta senza dubbio di un'opera del grande scultore che raffigura Agone. Quando naufragò non stava arrivando dalla Grecia a Roma, ma era appena partita verso Costantinopoli»
Fabio Isman su il Messaggero

Giusy Caligari interepreta Leonard Cohen
IL CAPOLAVORO
La statua di Lisippo rivendicata dall'Italia
Leonard Cohen
IL RECUPERO
la statua appena recuperata dai pescatori di Fano

E' di Lisippo. Non è un Atleta vittorioso, come spesso è chiamato il bronzo ora al Getty Museum, ritrovato al largo di Fano nel 1964; ma la personificazione di Agone: divinità spesso alata, che presiedeva ai Giochi. Quando va a picco, il bronzo non stava giungendo dalla Grecia: era già a Roma, da tempo, quando Costantino lo invia a Bisanzio. Ed è parte del patrimonio artistico italiano: serve da spunto anche a Michelangelo, per il Cristo del Giudizio universale, nella Cappella Sistina. Lo afferma Paolo Moreno, massimo esperto dell'artista, già docente a Bari, alla Sapienza, poi a Roma Tre. I suoi studi sono dirompenti per le novità sul reperto più conteso al mondo: confiscato due volte dai giudici, ora attende il verdetto definitivo della Corte costituzionale.

La storia la conosciamo: pescato in mare nel 1964; sbarcato a Fano, e nascosto a lungo in Italia (anche a Gubbio, nella vasca da bagno d'un prete); comprato dai fratelli Barbetti, cementieri eugubini; non acquistato dal miliardario Jean Paul Getty, che per farlo esigeva il permesso dell'Italia, ma, subito dopo la sua morte, dal museo di cui è un tesoro assoluto. Studiando e ristudiando, Moreno documenta ora che il bronzo è stato in Italia per l'intera età imperiale.

Professore, intanto lei dice: non è un Atleta vittorioso.

«E' anche quello: sono sviluppati soltanto i muscoli delle gambe. Un Callicrate vince due volte la corsa in armi, nel 344 e 340 ad Olimpia; ed è onorato, dice Pausania, da una statua di Lisippo. Al Museo nazionale romano, un affresco riproduce un tavola di Eupompo, un pittore concittadino di Lisippo: con quel vincitore che “tiene una palma”, racconta Plinio. A Sicione Eupompo era il maestro ideale di Lisippo: che era fonditore e comincia a plasmare seguendo proprio un motto del pittore. Di quella tavola il bronzo è filiazione diretta: soltanto con un nuovo rapporto di forze, che è proprio Lisippo ad introdurre».

E perché rappresenterebbe il dio Agone?

«Perché a Pompei, in un affresco nella Casa dei Vettii, è circondato dai galli, che erano proprio il suo simbolo; e, sempre lì, lo troviamo anche sull'elmo di un gladiatore».

Ma quel bronzo è davvero un'opera di Lisippo?

«Non c'è dubbio: nella sua produzione, si pone in sequenza ad altre opere ben documentate: un Atleta nel santuario di Delfi; l'Alessandro con la lancia; l'Eracle vincitore del leone. In particolare, la calotta dei capelli corrisponde a un altro suo Eracle, eseguito per Alessandro Magno».

Secondo lei, quell'Agone era già a Roma; ma perché?

«Perché in città giungono una ventina di statue di Lisippo, e ne conosciamo la distribuzione topografica, con qualche circostanza dell'arrivo; perfino degli spostamenti, in quel museo dei musei che era Roma. Con Nerone, i Ludi diventano “Agones”, alla greca. C'è ancora la Corsia Agonale presso l'antica sede del capolavoro: lo Stadio di Domiziano, oggi Piazza Navona. Il nome è alterazione del latino “in Agone”, come appunto si chiama tuttora la chiesa di Sant'Agnese».

E quell'Agone, nell'Urbe, riscuote discreta fortuna, no?

«Il soggetto si ripete su numerosi sarcofagi. Due sono in Vaticano; altri a Roma, Torino, agli Uffizi di Firenze; uno ex Borghese è al Louvre. Se il bronzo fosse andato perduto in età repubblicana, non se ne spiegherebbe la fortuna in diverse aree dell'Impero - Tracia, Anatolia, Egitto - pure sulle monete, osservando le direttive del potere centrale. E' tra le scene della decorazione del teatro a Ierapoli, in Frigia, voluta da un funzionario della corte di Roma».

Quindi non proviene dalla Grecia e fa naufragio al largo di Fano, come si è sempre sostenuto?

«La rotta dalla Grecia era più a meridione nel mare, e approdava a Brindisi. La latitudine del naufragio, 44 gradi Nord, da una parte portava a Roma con via Flaminia; mentre, dall'altra, lungo la via Egnazia, fino a Costantinopoli. E' il cammino seguito da Costantino, quando fa trasportare, proprio a Bisanzio, una serie di statue importanti».

Tra cui anche la nostra?

«E' attestata a Roma e a Pompei dal tempo dell'imperatore Claudio; Costantino voleva trasferirla nella Nuova Roma, a Costantinopoli: sappiamo che vi porta, “con un carro e una nave”, un altro bronzo di Lisippo. Sulla via Flaminia, da Roma, fino all'imbarco a Fano, oppure ad Ancona. Così la nostra statua: naufragata poco dopo essere partita».

Quindi, questo Lisippo è scultura che fa parte del nostro patrimonio; e, come tale, inalienabile?

«Strabone ci racconta che le 12 fatiche d'Ercole, statue di Lisippo, vengono condotte a Roma. Michelangelo ne copia un Ercole vincitore, dal sarcofago Corsini, ed il disegno è al Louvre. A Pisa, il nostro Agone diventa la Fortezza per un marmo di Nicola Pisano. Buonarroti ne assume la postura nel Cristo del Giudizio, nella Sistina. Che, in una pubblicità, un celebre sarto abbia assegnato la stessa posizione a un suo modello, è invece una curiosità, abbastanza divertente. Dimostra la familiarità, nella moda italiana, del soggetto non già venuto dal mare, ma che era rimasto, e per tanti secoli, proprio a Roma».

Fabio Isman


  17 febbraio 2015