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5 luglio 2015


Gli spot tv per il Sì
le scritte per il No
Due Atene al voto
La divisione non è tra destra e sinistra E' tra l'alto e il basso della società greca
Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera 5 Jul 2015


OXI

Oggi i greci votano per decidere se dire Sì o No agli aiuti finanziari in cambio di altra austerità. L'Europa in ansia per l'esito del referendum.
Gli spot tv sono tutti per il Sì; le scritte sui muri sono tutte per il No. Il Murdoch di Atene, Yanis Alafouzos, padrone di «Skai» e del Panathinaikos, fa campagna per l'Europa; i tifosi della sua squadra voteranno contro. La divisione non è tra destra e sinistra, è tra l'alto e il basso della società, tra chi ha ancora qualcosa da perdere e chi nulla. E si spera che Vendola, Grillo e Luciana Castellina, che si sono portati ad Atene per sostenere Tsipras, non si accorgano che una robusta parte del fronte del No è apertamente fascista o nazionalista; anche la curva del Panathinaikos era di estrema destra, fino a quando nel 2008 la polizia uccise un giovane tifoso, provocando una mutazione anarchica.
Le élites ateniesi votano per restare in Europa; gli agricoltori, che non hanno mai pagato una dracma di tasse in vita loro e adesso sono terrorizzati dall'Iva al 23%, vedono l'Unione come la peste. Nelle terrazze di Monastiraki, dove la bella gioventù ascolta musica lounge e beve martini con vista sul Partenone, si parla d'altro. Al mercato del pesce di Odos Athena, strada dedicata alla dea, le discussioni sono preoccupate e arrabbiate.
Il venditore di polipi — lunga barba bianca, rosario tra le mani, espressione ieratica — insospettabilmente attacca: «Voi credete che ce l'abbiano con noi. Ma vi sbagliate. Ce l'hanno con voi. La Merkel spera che vinca il No, perché punendo la Grecia, di cui non le importa nulla, vuole che l'Italia, la Francia, la Spagna capiscano chi comanda». Al nome Merkel il vicino di banco sputa per terra. La moglie si affaccia: «Lei è italiano? Allora mi spiega perché l'Italia ha un debito pubblico molto più grande del nostro, e a voi non vi caccia nessuno?». L'unico sostenitore dell'Europa è Coldreu, il garzone albanese, che però non può votare: «Se vince il No, qui crolla tutto, e io mi trasferisco in Italia. Mio fratello lavora a Brescia, e mi dice che Brescia è la città più ricca del mondo». «Tutti a Brescia!» dice ridendo Pyo, che è venuto qui a scaricare pesce dal Darfur, e dice che noi europei non abbiamo idea di cosa sia la povertà.
A sentir parlare italiano, si avvicina un vecchio. Racconta che lui era piccolo ai tempi della seconda guerra mondiale e dell'occupazione, e ricorda bene che gli italiani erano molto diversi dai tedeschi, rispettavano le donne e amavano i bambini; un soldato di nome Antonio gli portava tutti i giorni metà della sua razione di cibo. Siccome oggi è come se fossimo in guerra, il vecchio insiste per fare a metà del suo panino. Lacrime di orgoglio e di commozione.
Il Politecnico è in via 28 Ottobre, che commemora il No dei greci all'ultimatum del Duce. Questa piccola università nel 1973 fu l'epicentro della rivolta contro i colonnelli, qui si è versato sul serio il sangue per la libertà, e oggi è mortificante la povertà culturale degli striscioni legati alla cancellata. Banchieri tutti strozzini, politici tutti ladri. «Da Atene a Chiomonte, il sabotaggio è amico della lotta. Firmato: No Tav». Questi invece sono spagnoli: «Ni culpables ni inocentes, anarquistas simplemente». Altri scavalcano Tspiras a sinistra: «Siamo contro il referendum, contro le leggi, contro qualsiasi limite». «Campeggio antinazista all'isola di Thassos: solo 110 euro».
Fuori dal Politecnico ci sono più poliziotti che studenti: spiegano che gli anarchici si rifugiano qui dopo gli scontri, e loro devono vigilare in vista della lunga notte del referendum. Anarchici, e partigiani del No, sono anche i tifosi dell'Aek. Pure la bellicosa curva del Paok Salonicco vota «Oki», per un altro motivo: il salvatore del club, l'oligarca Ivan Savidis, è mezzo russo. Ha presentato lui Putin a Tsipras. E' socio del «club della dracma»: magnati che hanno i soldi all'estero e in caso di uscita della Grecia dall'euro se la comprerebbero volentieri; Savidis ad esempio dopo la squadra di Salonicco vorrebbe anche il porto. Lo fronteggia l'ex capitano, Theodoros Zagorakis, campione d'Europa nel remoto anno olimpico 2004, ora europarlamentare di Nea Demokratia e partigiano del Sì. Vota per l'Europa pure la curva dell'Olympiakos, per rispetto del presidente Vangelis Marinakis: al Pireo è previsto il record dei Sì.
Atene è piena di cronisti stranieri alla ricerca di reminiscenze liceali: il centauro Varoufakis, Tsipras kalos kagathos, il polymekanos Samaras dalle molte astuzie come Ulisse: i greci quelli veri ci guardano come fossimo matti. L'impressione è che il No vincerebbe largo, se non fosse per le banche chiuse. Anche il governo ammette che ci sono soldi fino a lunedì, poi si vedrà. Restano tranquilli soltanto i paesini della Grecia profonda, dove banche non ce ne sono, i pochi risparmi sono al sicuro alla Posta, e il No sarà massiccio.
Il Financial Times prevede sinistramente un prelievo secco del 30% sui conti sopra gli 8 mila euro; la presidente delle banche Louka Katseli smentisce, ma nessuno le crede più. Solite code ai Bancomat, e ognuna ha la sua troupe cinese o americana che filma i greci mentre contano le banconote. Quelle da 20 sono quasi finite, il prelievo massimo sarebbe di 60 euro ma spesso ci si deve accontentare di 50. Il motociclista Varoufakis annuncia di aver costituito un gabinetto di guerra: «Abbiamo carburante per sei mesi e medicine per quattro»; subito gli ospedali dicono che non è vero, le medicine bastano appena per 30 giorni. Non si può comprare un libro su Amazon, una canzone su ITunes, un biglietto aereo con Paypal. Auto danneggiate e mai riparate. Sui palazzi pubblici solo bandiere greche; le uniche bandiere con le stelle d'Europa sono delle ambasciate.
La pazienza dei greci è impressionante, ma sotto monta una rabbia sorda. Ogni giorno nasce un comitato per farsi restituire capolavori trafugati: chi rivuole i fregi del Partenone, chi la Nike di Samotracia, chi il Pergamon, custodito a Berlino. Altri si dichiarano pronti a consegnarsi al nemico turco: Ankara ha già promesso aiuti. Le università denunciano che non hanno più accesso alle ricerche finanziate dalla Ue, molti impiegati parlano di stipendi sospesi e minacce degli imprenditori favorevoli al Sì; e non si capisce se sono pressioni efficaci o controproducenti.
Il turismo è diminuito del 23% rispetto all'anno scorso, ogni giorno arrivano cancellazioni, ma per ora gli stranieri non hanno problemi: solo, a chiedere di pagare con la carta di credito, si viene guardati come affamatori del popolo. Un reporter asiatico si fa riprendere sotto la scritta «Athens» e declama da un libro versi di Pindaro: «Tu splendida, tu coronata di viole, baluardo dell'Ellade, Atene gloriosa…». Gli ateniesi lo segnano a dito.
All'ingresso dell'Acropoli una targa dell'European Heritage avverte che si sale al «monumento simbolo che occupa il primo posto nel catalogo del patrimonio culturale d'Europa». Un cane dorme al sole del tramonto. Il panorama è impressionante, e non solo per la bellezza: le gru segnalano i cantieri incompiuti; fermi anche i restauri del Partenone. La città inventata da europei più lungimiranti di Juncker e Schäuble, venuti due secoli fa per soccorrere la causa dell'indipendenza, si allarga a perdita d'occhio: qui vive metà degli 11 milioni di greci; meno di tre milioni hanno un lavoro, gli altri sono disoccupati o studenti o pensionati.
I visitatori si fotografano, poi linkano, postano e twittano come diavoli. A 96 anni ha scoperto twitter anche il patriarca della destra Konstantinos Mitsotakis, che invita a votare per l'Europa; subito sono spuntati i fake: «Se vince il No è la volta che muoio»; «C'ero già al referendum tra Gesù e Barabba, e ho votato Barabba». Ora la scelta è più modestamente tra la Merkel e Tsipras, che con toni da padre della patria invita i greci a mantenere la calma. Varoufakis non lo ascolta: «Quello che stanno facendo alla Grecia ha un nome, e questo nome è terrorismo».
Se vince il Sì, il percorso è tracciato: si torna a votare, e per battere Tsipras i vecchi arnesi dei partiti tradizionali dovranno fare una lista unica, capeggiata forse dal sindaco di Atene Kaminis, ex avvocato dei consumatori.
Se vince il No, il mare urbano che si intravede da quassù, con il profilo di Salamina dove fu salvata l'idea di Europa, diventeranno «acque inesplorate», come ha detto Draghi; e sarà proprio lui — finanziando o no le banche — a decidere se i greci avranno ancora i loro 50 euro al giorno.
Gli spot tv sono tutti per il Sì; le scritte sui muri sono tutte per il No. Il Murdoch di Atene, Yanis Alafouzos, padrone di «Skai» e del Panathinaikos, fa campagna per l'Europa; i tifosi della sua squadra voteranno contro. La divisione non è tra destra e sinistra, è tra l'alto e il basso della società, tra chi ha ancora qualcosa da perdere e chi nulla. E si spera che Vendola, Grillo e Luciana Castellina, che si sono portati ad Atene per sostenere Tsipras, non si accorgano che una robusta parte del fronte del No è apertamente fascista o nazionalista; anche la curva del Panathinaikos era di estrema destra, fino a quando nel 2008 la polizia uccise un giovane tifoso, provocando una mutazione anarchica.
Le élites ateniesi votano per restare in Europa; gli agricoltori, che non hanno mai pagato una dracma di tasse in vita loro e adesso sono terrorizzati dall'Iva al 23%, vedono l'Unione come la peste. Nelle terrazze di Monastiraki, dove la bella gioventù ascolta musica lounge e beve martini con vista sul Partenone, si parla d'altro. Al mercato del pesce di Odos Athena, strada dedicata alla dea, le discussioni sono preoccupate e arrabbiate.
Il venditore di polipi — lunga barba bianca, rosario tra le mani, espressione ieratica — insospettabilmente attacca: «Voi credete che ce l'abbiano con noi. Ma vi sbagliate. Ce l'hanno con voi. La Merkel spera che vinca il No, perché punendo la Grecia, di cui non le importa nulla, vuole che l'Italia, la Francia, la Spagna capiscano chi comanda». Al nome Merkel il vicino di banco sputa per terra. La moglie si affaccia: «Lei è italiano? Allora mi spiega perché l'Italia ha un debito pubblico molto più grande del nostro, e a voi non vi caccia nessuno?». L'unico sostenitore dell'Europa è Coldreu, il garzone albanese, che però non può votare: «Se vince il No, qui crolla tutto, e io mi trasferisco in Italia. Mio fratello lavora a Brescia, e mi dice che Brescia è la città più ricca del mondo». «Tutti a Brescia!» dice ridendo Pyo, che è venuto qui a scaricare pesce dal Darfur, e dice che noi europei non abbiamo idea di cosa sia la povertà.
A sentir parlare italiano, si avvicina un vecchio. Racconta che lui era piccolo ai tempi della seconda guerra mondiale e dell'occupazione, e ricorda bene che gli italiani erano molto diversi dai tedeschi, rispettavano le donne e amavano i bambini; un soldato di nome Antonio gli portava tutti i giorni metà della sua razione di cibo. Siccome oggi è come se fossimo in guerra, il vecchio insiste per fare a metà del suo panino. Lacrime di orgoglio e di commozione.
Il Politecnico è in via 28 Ottobre, che commemora il No dei greci all'ultimatum del Duce. Questa piccola università nel 1973 fu l'epicentro della rivolta contro i colonnelli, qui si è versato sul serio il sangue per la libertà, e oggi è mortificante la povertà culturale degli striscioni legati alla cancellata. Banchieri tutti strozzini, politici tutti ladri. «Da Atene a Chiomonte, il sabotaggio è amico della lotta. Firmato: No Tav». Questi invece sono spagnoli: «Ni culpables ni inocentes, anarquistas simplemente». Altri scavalcano Tspiras a sinistra: «Siamo contro il referendum, contro le leggi, contro qualsiasi limite». «Campeggio antinazista all'isola di Thassos: solo 110 euro».
Fuori dal Politecnico ci sono più poliziotti che studenti: spiegano che gli anarchici si rifugiano qui dopo gli scontri, e loro devono vigilare in vista della lunga notte del referendum. Anarchici, e partigiani del No, sono anche i tifosi dell'Aek. Pure la bellicosa curva del Paok Salonicco vota «Oki», per un altro motivo: il salvatore del club, l'oligarca Ivan Savidis, è mezzo russo. Ha presentato lui Putin a Tsipras. E' socio del «club della dracma»: magnati che hanno i soldi all'estero e in caso di uscita della Grecia dall'euro se la comprerebbero volentieri; Savidis ad esempio dopo la squadra di Salonicco vorrebbe anche il porto. Lo fronteggia l'ex capitano, Theodoros Zagorakis, campione d'Europa nel remoto anno olimpico 2004, ora europarlamentare di Nea Demokratia e partigiano del Sì. Vota per l'Europa pure la curva dell'Olympiakos, per rispetto del presidente Vangelis Marinakis: al Pireo è previsto il record dei Sì.
Atene è piena di cronisti stranieri alla ricerca di reminiscenze liceali: il centauro Varoufakis, Tsipras kalos kagathos, il polymekanos Samaras dalle molte astuzie come Ulisse: i greci quelli veri ci guardano come fossimo matti. L'impressione è che il No vincerebbe largo, se non fosse per le banche chiuse. Anche il governo ammette che ci sono soldi fino a lunedì, poi si vedrà. Restano tranquilli soltanto i paesini della Grecia profonda, dove banche non ce ne sono, i pochi risparmi sono al sicuro alla Posta, e il No sarà massiccio.
Il Financial Times prevede sinistramente un prelievo secco del 30% sui conti sopra gli 8 mila euro; la presidente delle banche Louka Katseli smentisce, ma nessuno le crede più. Solite code ai Bancomat, e ognuna ha la sua troupe cinese o americana che filma i greci mentre contano le banconote. Quelle da 20 sono quasi finite, il prelievo massimo sarebbe di 60 euro ma spesso ci si deve accontentare di 50. Il motociclista Varoufakis annuncia di aver costituito un gabinetto di guerra: «Abbiamo carburante per sei mesi e medicine per quattro»; subito gli ospedali dicono che non è vero, le medicine bastano appena per 30 giorni. Non si può comprare un libro su Amazon, una canzone su ITunes, un biglietto aereo con Paypal. Auto danneggiate e mai riparate. Sui palazzi pubblici solo bandiere greche; le uniche bandiere con le stelle d'Europa sono delle ambasciate.
La pazienza dei greci è impressionante, ma sotto monta una rabbia sorda. Ogni giorno nasce un comitato per farsi restituire capolavori trafugati: chi rivuole i fregi del Partenone, chi la Nike di Samotracia, chi il Pergamon, custodito a Berlino. Altri si dichiarano pronti a consegnarsi al nemico turco: Ankara ha già promesso aiuti. Le università denunciano che non hanno più accesso alle ricerche finanziate dalla Ue, molti impiegati parlano di stipendi sospesi e minacce degli imprenditori favorevoli al Sì; e non si capisce se sono pressioni efficaci o controproducenti.
Il turismo è diminuito del 23% rispetto all'anno scorso, ogni giorno arrivano cancellazioni, ma per ora gli stranieri non hanno problemi: solo, a chiedere di pagare con la carta di credito, si viene guardati come affamatori del popolo. Un reporter asiatico si fa riprendere sotto la scritta «Athens» e declama da un libro versi di Pindaro: «Tu splendida, tu coronata di viole, baluardo dell'Ellade, Atene gloriosa…». Gli ateniesi lo segnano a dito.
All'ingresso dell'Acropoli una targa dell'European Heritage avverte che si sale al «monumento simbolo che occupa il primo posto nel catalogo del patrimonio culturale d'Europa». Un cane dorme al sole del tramonto. Il panorama è impressionante, e non solo per la bellezza: le gru segnalano i cantieri incompiuti; fermi anche i restauri del Partenone. La città inventata da europei più lungimiranti di Juncker e Schäuble, venuti due secoli fa per soccorrere la causa dell'indipendenza, si allarga a perdita d'occhio: qui vive metà degli 11 milioni di greci; meno di tre milioni hanno un lavoro, gli altri sono disoccupati o studenti o pensionati.
I visitatori si fotografano, poi linkano, postano e twittano come diavoli. A 96 anni ha scoperto twitter anche il patriarca della destra Konstantinos Mitsotakis, che invita a votare per l'Europa; subito sono spuntati i fake: «Se vince il No è la volta che muoio»; «C'ero già al referendum tra Gesù e Barabba, e ho votato Barabba». Ora la scelta è più modestamente tra la Merkel e Tsipras, che con toni da padre della patria invita i greci a mantenere la calma. Varoufakis non lo ascolta: «Quello che stanno facendo alla Grecia ha un nome, e questo nome è terrorismo».
Se vince il Sì, il percorso è tracciato: si torna a votare, e per battere Tsipras i vecchi arnesi dei partiti tradizionali dovranno fare una lista unica, capeggiata forse dal sindaco di Atene Kaminis, ex avvocato dei consumatori.
Se vince il No, il mare urbano che si intravede da quassù, con il profilo di Salamina dove fu salvata l'idea di Europa, diventeranno «acque inesplorate», come ha detto Draghi; e sarà proprio lui — finanziando o no le banche — a decidere se i greci avranno ancora i loro 50 euro al giorno.


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