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5 dicembre 2017

Trump ha deciso: l'ambasciata Usa si sposta a Gerusalemme
Roberto Bongiorni su Il Sole 24 Ore





La decisione è stata presa: l'annuncio ufficiale, come conferma direttamente la portavoce della Casa Bianca Sarah Sanders, verrà dato mercoledì 6 dicembre. Sono bastati pochi giorni al presidente Trump per rompere gli indugi: gli Stati Uniti trasferiranno l'ambasciata americana da Tel Aviv, dove si trovano le altre rappresentanze diplomatiche degli altri Paesi, a Gerusalemme. Di fatto la Casa Bianca riconosce così Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico. Lo spostamento non avverrà prima di sei mesi, riportano fonti dell'amministrazione Usa, sottolineando come Donald Trump firmerà una proroga che lascerà la rappresentanza diplomatica almeno per un altro semestre a Tel Aviv.

A dare per primo la notizia è stato nel pomeriggio il portavoce palestinese Nabil Abu Rdainah attraverso un comunicato; «Il presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha ricevuto una chiamata dagli Stati Uniti. Il presidente Trump ha comunicato la sua intenzione di trasferire l'ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme. Il presidente Abbas ha avvertito (Trump) delle pericolose conseguenze che una simile decisione potrebbe avere sul processo di pace e sulla sicurezza e stabilità della regione e del mondo»
Poco dopo il presidente americano ha chiamato anche il primo ministro israeliano Netanyahu e il re di Giordania, Abdullah II. Informato sulle sue intenzioni, anche il sovrano giordano ha ribadito che una simile decisione avrà «ripercussioni pericolose sulla stabilità e sulla sicurezza del Medio Oriente».

Trump tiene così fede a quella promessa fatta durante la campagna elettorale e poi riconfermata quasi un anno fa, il 15 dicembre dello scorso anno, quando nominò il nuovo ambasciatore americano a Tel Aviv, David Friedman, un diplomatico che non ha mai nascosto la sua posizione personale a favore di Gerusalemme capitale .
Agli occhi dei Paesi arabi più influenti della regione, la dichiarazione di Gerusalemme come capitale di Israele equivale alla pietra tombale sul processo di pace più lungo degli ultimi 50 anni. Proprio per questo il mondo arabo, e buona parte di quello musulmano, ha mostrato con forza la sua contrarietà. A cominciare dal Segretario generale della Lega araba, Ahmed Aboul Gheit, il quale ha invitato Trump a «evitare qualsiasi iniziativa capace di mutare lo status giuridico e politico di Gerusalemme», sottolineando «la minaccia rappresentata da un tale passo per la stabilità della regione». Ancora più dura la reazione del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, il quale ha evidenziato come l'eventuale riconoscimento di Gerusalemme capitale di Israele rappresenta «una linea rossa per i musulmani», che potrebbe portare alla rottura delle relazioni diplomatiche della Turchia con Israele. Erdogan ha poi parlato di possibili risposte politiche e diplomatiche. Anche l'alleato arabo più vicino agli Stati Uniti, l'Arabia Saudita, non ha potuto evitare di esprimere «seria e profonda preoccupazione» per un eventuale riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele da parte degli Stati Uniti: una mossa che «irriterebbe i sentimenti dei musulmani nel mondo», ha sottolineato il ministero degli Esteri di Riad.Simile la reazione del Governo iracheno, un Paese che l'Amministrazione Trump voleva strappare all'influenza iraniana e portare dalla sua parte.

Non è molto chiaro, tuttavia, se Trump intenda dichiarare tutta Gerusalemme capitale di Israele, come pareva durante la campagna elettorale, oppure solo la parte occidentale. Non lo ha specificato, naturalmente. Non è una questione di lana caprina. I palestinesi rivendicano da tempo Gerusalemme Est come capitale di quel futuro Stato palestinese che in teoria dovrebbe rappresentare un felice epilogo del processo di pace. Ma se per il Governo israeliano Gerusalemme è la capitale «una e indivisibile», per i palestinesi, come per gran parte della comunità internazionale le cose stanno diversamente. Non è ancora chiaro, ma è probabile che la decisione americana riguardi l'intera Gerusalemme. D'altronde, solo nella parte orientale della città, vivono ormai quasi 200mila ebrei, e i grandi insediamenti costruiti intorno alla periferia senza soluzione di continuità, come Gush Etzion , e Ma'ale Adumim, e le altre colonie abbarbicate sui colli fino a Betlemme consolidano la posizione israeliana, rendendo il governo di Benjamin Netanyahu quantomai restio ad ogni apertura in questa direzione.

Anzi ora l'Esecutivo israeliano si prepara a fronteggiare le grandi manifestazioni palestinesi che inevitabilmente seguiranno, se non una terza Intifada.
Immediate le reazioni anche da parte dell'Unione europea ormai sempre più in rotta con gli Stati Uniti sui più delicati dossier internazionali, incluso il nucleare iraniano.
«Preoccupato» per quella che potrebbe essere una decisione capace di incendiare l'intero mondo musulmano, il presidente francese Emmanuel Macron aveva in mattinata telefonato a Trump dichiarandogli; «La questione dello status di Gerusalemme deve avere soluzione nell'ambito dei negoziati di pace tra israeliani e palestinesi».

Poco più tardi si è aggiunta la voce del ministro degli Esteri e vicepremier belga Didier Reynders: «Come sapete l'Ue chiede una soluzione a due Stati. Bisogna evitare qualsiasi provocazione, da qualsiasi parte questa arrivi. Bisogna che tutti stiano attenti». Sempre da Bruxelles ha infine preso parola l'Alto rappresentante dell'Unione Europea, Federica Mogherini, dopo la bilaterale col segretario di stato Usa Rex Tillerson «L'Ue sostiene la ripresa di un significativo processo di pace verso la soluzione dei due Stati - ha detto la Mogherini - Qualsiasi azione che possa minare questi sforzi deve essere assolutamente evitata». Per il ministro degli Esteri tedesco, Sigmar Gabriel, una simile decisione «non placherebbe il conflitto, piuttosto lo accenderebbe ulteriormente. Per questo una simile mossa avrebbe pericolosissimi sviluppi. È interesse di tutti che questo non avvenga».
Ora che la decisione è stata presa tutti si domandano quando avverrà effettivamente il trasferimento. Secondo l'emittente americana Cnn decisione di Donald Trump potrebbe slittare rispetto ai tempi previsti a causa delle pressioni degli alleati, dalle cancellerie europee a quelle dei paesi arabi.
Non resta che aspettare. Sapendo che prepararsi al peggio è forse l'opzione più ragionevole.


  5 dicembre 2017