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23 gennaio 2018

Memoria: l'eclissi dei partigiani deportati
Eppure la legge prevede “incontri e momenti di riflessione” su “quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti”. Stimato in 33mila il numero di deportati politici italiani. I “triangoli rossi” apparentemente scomparsi dal panorama della memoria nazionale
Dario Venegoni su Patria Indipendente

triangoli

Un candidato alla presidenza della Regione Lombardia ha disvelato i propri timori per i rischi che correrebbe la «razza bianca». Nel corso di un'intervista ha detto che «dobbiamo decidere se la nostra etnia, la nostra razza bianca, la nostra società devono essere cancellate». Ne ha poi giustificato l'utilizzo con il fatto che anche la Costituzione contiene la parola “razza”. Dunque, secondo questa lettura, la menzione nella Carta fondamentale consentirebbe l'uso di tale termine nel dibattito pubblico, per distribuire diversamente l'esercizio dei diritti fra le varie razze, privilegiando quella bianca.
L'art. 3, comma 1, della Costituzione - vale la pena riscriverlo - afferma che «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». La nostra, come ha felicemente sintetizzato Marilisa D'Amico, è una «Repubblica fondata sull'uguaglianza», che vieta esplicitamente tutte le discriminazioni più odiose che la storia ha conosciuto.

Tra i vari parametri citati ce n'è uno che, sin dalla nascita della Costituzione, fa discutere più di altri. Sesso, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali, sono tutti modi di distinguere insiemi di persone, con contorni più o meno precisi, ma sulla cui esistenza, almeno come concetti, nessuno avrebbe da ridire. Quella della razza, invece, è nozione sulla cui praticabilità scientifica molto si discute. Lo ha accennato Guido Barbujani sulla Domenica del Sole di qualche giorno fa: la comunità degli studiosi è ormai concorde nel ritenere che «la nostra specie è straordinariamente omogenea», sicché di razze sembra davvero non potersi parlare.
È opportuno, dunque, mantenere nel testo fondamentale un riferimento a un concetto tanto controverso?
Si tratta di un interrogativo serio e antico: già in Costituente l'Unione delle Comunità israelitiche italiane aveva avanzato la «sommessa richiesta di sostituire (nell'art. 3) la parola “stirpe” a quella di “razza”, lasciando quest'ultima ai cani e ai cavalli». E già allora vi era chi, come il deputato liberale Lucifero, riteneva il termine “stirpe” più consono.

Le risposte furono altrettanto meditate: così Togliatti considerava opportuno utilizzare la parola razza «per dimostrare che si vuole ripudiare quella politica razziale che il fascismo aveva instaurato», Ruini comprendeva «che vi sia chi desideri liberarsi da questa parola maledetta, da questo razzismo che sembra una postuma persecuzione verbale; ma è proprio per reagire a quanto è avvenuto nei regimi nazifascisti, per negare nettamente ogni diseguaglianza che si leghi in qualche modo alla razza ed alle funeste teoriche fabbricate al riguardo, è per questo che – anche con significato di contingenza storica –vogliamo affermare la parità umana e civile delle razze». Ancor più esplicitamente, il comunista Laconi osservava che «per il fatto che questo richiamo alla razza costituisce un richiamo ad un fatto storico realmente avvenuto e che noi vogliamo condannare, oggi in Italia, riteniamo che la parola “razza” debba essere mantenuta».
In altri termini, è la grande Storia che entra nella Costituzione e con essa «la condanna del regime nefasto che si caratterizzò nella sua attività criminosa, anche più barbaramente che in qualsiasi altro modo, con la persecuzione razziale» (così il socialista Targetti).
E se è vero che la cultura scientifica della classe dirigente dell'epoca della Costituente ammetteva che il termine “razza” potesse essere applicato alla specie umana, resta che la Costituzione non è un trattato scientifico che può essere usato per comprovare l'esistenza di razze tra gli uomini. È un documento storico che, ripudiando guerra, fascismo e razzismo, segna una rottura, si spera definitiva, con quel passato.
Per questo è scorretto usare le parole della Costituzione per giustificare un discorso che distingua in base appunto alla razza. Di più, è forse un bene che continui a essere incisa sulla Carta proprio questa «parola maledetta», probabilmente priva di alcun valore scientifico, ma che più di altre richiama, per contrasto, le radici più profonde della Repubblica.


  23 gennaio 2018