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9 agosto 2019

Illusrazione di Fabio Sironi

Allarme ambiente globale: 
il nazionalismo è perdente
L'agenzia delle Nazioni Unite ha appena diffuso un rapporto di dimensione inusuale, che suona il gong ai sordi governanti della Terra
Walter Veltroni sul Corriere della Sera

Nel bel saggio di Kyle Harper pubblicato da Einaudi e intitolato «Il destino di Roma. Clima, epidemie e la fine di un impero», si dimostra come, all'origine del tramonto e poi del tracollo della grandezza di Roma, siano state mutazioni climatiche e, legate ad esse, pandemie devastanti. Fenomeni che interruppero il ciclo economico e devastarono il tessuto sociale e umano della civiltà da cui la nostra storia trae tanta origine.
Le stagioni della Terra sono state scandite da grandi eventi naturali. Ancora una volta l'agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di clima, con un rapporto di dimensione inusuale, ha suonato il gong ai sordi governanti della Terra. Ci ha ricordato che sono a repentaglio, per via dell'impressionante riscaldamento globale in corso, le risorse che la nostra specie ha considerato naturale fossero a disposizione: l'acqua, la terra da coltivare, quella dove abitare. Pochi giorni fa centinaia di studiosi italiani hanno sottoscritto un appello dell'Istituto di Scienze della vita della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa in cui si dice testualmente: «Gli scenari futuri “business as usual” (cioè in assenza di politiche di riduzione di emissioni di gas serra) prodotti da tutti i modelli del sistema Terra scientificamente accreditati, indicano che gli effetti dei cambiamenti climatici su innumerevoli settori della società e sugli ecosistemi naturali sono tali da mettere in pericolo lo sviluppo sostenibile della società come oggi la conosciamo e, quindi, il futuro delle prossime generazioni».
Sembra poco? Basta aprire le finestre e, insieme, gli occhi. Abbiamo vissuto il luglio più caldo nella storia dell'umanità, i fenomeni atmosferici violenti conosciuti in una zona temperata come l'Italia hanno prodotto, secondo Coldiretti, 14 miliardi di danni all'agricoltura. A Parigi si raccolgono in agosto le foglie dagli alberi, stremati dal caldo, in Siberia bruciano i boschi e in Groenlandia si sciolgono, in un giorno, 12 miliardi di tonnellate di ghiaccio. Ad Anchorage, in Alaska, sono stati raggiunti i 32 gradi di temperatura, quando la media storica del periodo è 18 gradi. L'Ipcc dell'Onu, che raccoglie studiosi di tutto il mondo ci dice che il riscaldamento della Terra, al ritmo al quale siamo, porterà spaventosi problemi di approvvigionamento idrico. Per essere chiari: il rischio che si presenta, a breve, è quello della rottura del ciclo alimentare.
La Terra è da anni, ormai, sotto il dominio di una condizione ambientale sfuggita al controllo. I fenomeni sono violenti. I dieci anni più caldi degli ultimi 132 sono tutti racchiusi in un periodo che va dal 1998 ad oggi. Il nostro astronauta Luca Parmitano, che ha visto la Terra da una posizione unica, ha detto: «Negli ultimi sei anni ho visto deserti avanzare e ghiacci sciogliersi. Spero che le nostre parole possano allarmare davvero verso il nemico numero uno di oggi».
Scienziati, astronauti, meteorologi ci indicano il pericolo numero uno. Ma noi, come il capitano Smith del Titanic, «andiamo avanti, tranquillamente». Perché la nostra vita pubblica è seminata di mille paure, ma non della più grande. Forse perché questa paura postula una risposta globale, non nazionalista, non sovranista. Infatti solo se le nazioni della Terra si accorderanno sulla limitazione delle emissioni in atmosfera, il mondo si salverà. Si parla ogni giorno di migrazione, si passano settimane a discutere di quarantadue esseri umani su una barca. E ci si dimentica che, dal 2008 al 2015, duecento milioni di esseri umani sono sfollati per ragioni ambientali. Ci sono isole inghiottite dal mare, villaggi inondati o travolti dal fango. Rischiano le coste dell'America ricca, non solo le zone povere. Quasi metà dell'umanità vive in aree limitrofe al mare, quelle che saranno più interessate dall'innalzamento delle acque conseguente allo scioglimento dei ghiacciai. Cosa sarà di loro? Come affronteremo la migrazione di poveri e ricchi?
In un film di qualche anno fa si prediceva la glaciazione degli Usa e la fuga degli americani verso sud, alle frontiere col Messico. Frontiere che, per beffa, si immaginava fossero tenute chiuse... Il presidente brasiliano Bolsonaro dice di aver ripreso l'abbattimento degli alberi nella foresta amazzonica perché questo è un fatto che riguarda solo il Brasile e che il mondo si deve fare gli affari suoi. Non è la strada giusta. Nulla come l'ambiente infatti è sistemico, interdipendente, globalizzato. E, più dei dazi che stanno deprimendo l'economia mondiale, i potenti della Terra dovrebbero dar vita a un grande piano pubblico di riconversione ecologica dell'economia. Questa scelta potrebbe essere il driver di una nuova fase espansiva. Una scelta prodotta dalla paura genererebbe, per una volta, crescita economica, lavoro qualificato e salvaguardia del nostro bene più prezioso. Dovremmo sempre ricordare un saggio proverbio indiano che dice: «Solo quando l'ultimo albero sarà abbattuto e l'ultimo fiume avvelenato e l'ultimo pesce pescato, ci renderemo conto che non possiamo mangiare il denaro».

  9 agosto 2019