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Il virus è clinicamente resuscitato: che cosa può succedere adesso
La situazione non è per ora drammatica ma merita molta attenzione soprattutto per quello che potrebbe accadere se la crescita delle ultime settimane continuasse a manifestarsi senza soluzione di continuità
M.T. Island su il Sole24Ore


F 35
(Ansa)

Il nuovo coronavirus, clinicamente morto a fine maggio, da qualche settimana sta purtroppo dando preoccupanti segnali di resurrezione. La situazione non è per ora drammatica, in quanto lontana dall'emergenza della scorsa primavera, ma merita molta attenzione soprattutto per quello che potrebbe accadere se la crescita delle ultime settimane continuasse a manifestarsi senza soluzione di continuità.

Di fatto, in assenza di interventi specifici e quindi lasciando che le cose procedano esattamente come adesso, abbiamo di fronte tre possibili scenari dei quali verificheremo probabilità e possibili effetti nel tempo:

1) Miglioramento della situazione: ipotesi che merita di essere citata soprattutto come segno di fiducia nel futuro. L'evoluzione in atto e l'arrivo della stagione fredda (l'ambiente ideale per i virus respiratori, e il nuovo coronavirus lo è) sconsigliano di puntare tutto su questa possibilità. Va bene la speranza, ma pur sempre alternata al buon senso e alle evidenze scientifiche.

2) Situazione statica: che non vuol dire uno stop all'incremento dei casi, ma il mantenimento di una crescita lineare (non esponenziale), sulla falsariga di quella che sta caratterizzando le ultime settimane (fanno eccezione gli ultimi giorni, ma è presto per dire se sono indicativi di un cambio di tendenza).

3) Situazione in peggioramento, con un'accelerazione della crescita che ci porterebbe ad avere numeri molto elevati in poco tempo: un po' come accaduto in Francia e Spagna, per restare vicini a casa nostra.

Il virus era davvero clinicamente morto?

Prima di procedere alla verifica facciamo però un passo indietro, e cerchiamo una risposta alla domanda che sempre più spesso ci viene rivolta: il virus, a fine maggio, era davvero clinicamente morto? La risposta è: “sì, ma…”. Ovvero il virus era clinicamente morto, ma come abbiamo scritto più volte non bisogna mai accontentarsi della sola conclusione: perché la verità è spesso nascosta nei motivi che l'hanno generata.



Che qualcosa non andasse per il verso giusto, a dire il vero, lo abbiamo sottolineato già all'inizio dell'estate: l'andamento della Covid-19 in molti Paesi del mondo mostrava numeri tutt'altro che rassicuranti, e più volte avevamo ricordato che pensare a un'epidemia in termini di frontiere geografiche era semplicemente un non senso. Ma qui entra in gioco una delle nostre principali consuetudini: tendiamo a credere in modo istintivo all'ipotesi più favorevole, a quella che ci conforta e ci riconduce alla normalità perduta. E quindi virus morto con tanto di corredo fatto di canti, balli, festeggiamenti ed estate in libertà: ci sarà tempo per preoccuparsi. Quel tempo purtroppo è arrivato, e dobbiamo correre rapidamente ai ripari. Rispondendo alle giuste preoccupazioni in modo lucido, senza cedere al panico che è un pessimo consigliere, anche quando dobbiamo affrontare un'epidemia.

I tre possibili scenari

1) Miglioramento “spontaneo” della situazione
: perché dovrebbe accadere? In effetti al momento non abbiamo alcuna indicazione che ci spinga in questa direzione.

Non abbiamo raggiunto l'immunità di gregge
, i cui primi effetti iniziano a manifestarsi quando almeno il 60% della popolazione generale è stata contagiata e ha sviluppato gli anticorpi. Nella Regione più colpita, la Lombardia, le indagini sierologiche fatte prima dell'estate parlavano di un 7-8% degli abitanti venuti a contatto con il Sars-Cov-2 e con punte vicine al 50% in pochissime zone (in particolare nella bergamasca). In tutta Italia il 2.5%. Gli ultimi mesi hanno sicuramente rialzato questi numeri, e con un po' di ottimismo possiamo ipotizzare un 10% in Lombardia e un 3-3,5% come media nazionale: siamo lontanissimi da quello che servirebbe.

Non stiamo attuando misure più stringenti per il contenimento dell'epidemia
, anzi arriviamo da una fase di progressivo allentamento per consentire la ripresa di attività in precedenza sospese o sottoposte a limitazioni. Valgano per tutte gli esempi della scuola e dei trasporti: sia urbani, sia con mezzi a lunga percorrenza.

Non possiamo contare su un effetto positivo del clima
: come già detto la stagione fredda favorisce la diffusione dei virus respiratori, e per di più il Sars-CoV-2 in particolare ha dimostrato di sapersi diffondere benissimo anche in piena estate. Potevamo forse sospettarlo, visto che il suo parente più prossimo (quello della Sars) aveva raggiunto il picco diffusionale proprio in estate.

Non possiamo contare su una mutazione favorevole del virus
: gli studi in corso, in tutto il mondo, non hanno finora rintracciato nulla che possa farci pensare a un virus “più buono”. Al contrario l'unico effetto rilevante di una mutazione, come ci ricorda l'Oms, va nella direzione di una maggiore contagiosità rispetto al passato (il che non vuol dire più grave, ma più facilmente trasmissibile).

Insomma, tutto può accadere e sperare non costa nulla, ma al momento è del tutto irrealistico pensare che le cose si possano risolvere da sole.

2) Situazione statica
: in questo caso possiamo azzardare qualche simulazione statistica per capire a quali livelli di contagio, e di ricadute cliniche, potremmo arrivare proseguendo con la tendenza al rialzo che si sta manifestando in modo costante dalla seconda metà di luglio. La settimana di rilevazione compresa tra il 18 e il 24 luglio, con 1.627 nuovi casi, ha infatti segnato il primo incremento (+22,3% su quella precedente) dopo un calo costante e ininterrotto che proseguiva da inizio aprile. Da allora sono trascorse 11 settimane “epidemiologiche” (rilevate sempre dal sabato al venerdì della settimana successiva) tutte al rialzo. La sequenza è: +22,3% (18-24 luglio); +19,7% (25-31 luglio); +13,9% (1-7 agosto); +37,7% (8-14 agosto); +39,4% (15-21 agosto); +42,3% (22-28 agosto); +52,1% (29 agosto - 4 settembre); +9,5% (5-11 settembre); +0,22% (12-18 settembre); +11,4% (19-25 settembre) e infine +20,9% (26 settembre - 2 ottobre).

In altri termini siamo passati dai 232,4 casi medi giornalieri di metà luglio ai 1.953 dell'ultima settimana completa di rilevazione. Consideriamo i dati di agosto come frutto di un'anomalia legata all'eccessiva rilassatezza del periodo estivo, confortati in questo dal rallentamento della crescita che la curva epidemica ha manifestato a partire da inizio settembre.

Per proiettare i nostri numeri attuali nel futuro ipotizziamo dunque una crescita media settimanale del 10%, in linea con l'andamento medio delle ultime tre settimane, in attesa di capire se il balzo degli ultimi giorni sarà transitorio e disegnerà, per quanto al rialzo, un nuovo plateau. O se invece, cosa che non ci auguriamo, è il primo segnale di una crescita che ha ripreso vigore.



3) Situazione in peggioramento. Inutile fare ipotesi, per capire di cosa stiamo parlando basta guardare a cosa sta accadendo in Francia, Spagna e Gran Bretagna: dove i nuovi casi settimanali (secondo l'ultima rilevazione dell'Oms) sono rispettivamente 7, 4 e 3 volte superiori ai nostri. Si tratta di una situazione che, partendo dal dato attuale, dobbiamo assolutamente evitare di replicare. Dopo aver più volte richiamato il resto del mondo, la scorsa primavera, a guardare alla situazione italiana per capire la reale progressione dell'epidemia, dobbiamo trovare la lucidità di guardare ai nostri vicini per capire cosa potrebbe accadere se commettessimo gli stessi errori.

I numeri della Francia sono molto chiari: dai 2.524 nuovi casi del 12 agosto (numero molto simile ai nostri degli ultimi giorni, escludendo il solito calo del weekend) si è passati a 5.429 del 26 agosto, con un raddoppio abbondante in sole due settimane. La curva si è poi leggermente appiattita, ma non ha impedito di arrivare vicini ai 10.000 casi il 16 settembre (9.784 con un valore vicino al raddoppio in 3 settimane) per poi salire a 13.072 il 23 settembre e apparentemente stabilizzarsi: 12.845 nuovi casi il 30 settembre. Risultato ottenuto anche in seguito a misure introdotte nelle zone più colpite del Paese, in particolare Bordeaux, Nizza e Marsiglia: chiusura di bar, ristoranti e palestre, stop alle feste all'aperto e al chiuso, divieto di assembramenti anche con piccoli gruppi di persone. L'epidemia continua però a progredire dove le restrizioni non sono state applicate, e lo scorso 3 ottobre è stato toccato un massimo di 16.972 nuovi casi.



Quello che l'Italia deve cercare di evitare è l'incremento rapido dei casi, per spalmare le infezioni in un arco temporale più lungo (raddoppio in 2 mesi, come da nostra simulazione, non in due o tre settimane) che consentirebbe di gestire la situazione dei ricoverati e delle terapie intensive, con posti che vengono liberati dai guariti nel corso del tempo. Il che, come abbiamo già visto la scorsa primavera, non può accadere con un alto numero di pazienti concentrati in breve tempo.

Le prossime due-tre settimane saranno cruciali da questo punto di vista: il brusco rialzo degli ultimi giorni inizia a disegnare una curva che cresce troppo rapidamente anche rispetto alla nostra pur “generosa” simulazione (un +10% medio a settimana in effetti non è un successo eclatante). Dobbiamo appiattirla senza esitazioni.

Cosa possiamo fare: mascherine, distanziamento, igiene

Dobbiamo assistere impotenti a quello che ci riserva il futuro? Fortunatamente no, perché anche le armi più semplici a nostra disposizione possono fare la differenza: uso delle mascherine, distanziamento interpersonale, igiene delle mani. La University of Oxford e la Mahidol University di Bangkok pochi giorni fa hanno presentato alla Società europea di Microbiologia (Escmid) uno studio che ha stimato l'effettiva riduzione del rischio di contagio da Sars-Cov-2 proprio in relazione alle tre misure sopra citate. Sono stati coinvolti 211 soggetti positivi asintomatici e 839 identificati grazie al contact tracing, tutti facenti riferimento a tre grandi cluster: uno stadio di boxe, un edificio di uffici pubblici e un night club. I soggetti che hanno indossato la mascherina per tutto il tempo hanno mostrato un rischio inferiore del 77% rispetto a chi non la indossava; chi ha mantenuto il distanziamento interpersonale dell'85%; chi ha igienizzato spesso le mani del 66%.La combinazione di queste misure avrà un ruolo chiave nell'aiutarci a superare i prossimi mesi tenendo sotto controllo la curva epidemica e, parallelamente, continuando a gestire una vita “quasi normale” fatta sicuramente di rinunce rispetto alle abitudini pre-Covid, ma tutto sommato più che accettabile.
Al momento in Italia siamo alle prime ordinanze regionali (Campania, Calabria, Lazio, Basilicata) che reintroducono l'obbligo delle mascherine anche all'aperto. Ma il prossimo Dpcm, ormai in dirittura d'arrivo, conterrà probabilmente l'estensione della misura a tutto il territorio nazionale, insieme ad altre limitazioni e interventi di contenimento.

Sull'efficacia delle mascherine (a cui ricordiamo vanno sempre e comunque abbinati distanziamento e igiene) abbiamo una prova empirica: ovvero la constatazione di come l'epidemia, a livello internazionale, abbia colpito in modo meno violento i Paesi del Sud Est asiatico, dove l'utilizzo delle mascherine era un'abitudine quotidiana già prima dell'arrivo della Covid-19. Possiamo diffidare del dati cinesi (anche se l'Oms non lo fa) e non credere ai 62 casi per milione di abitanti dichiarati dalla Cina da inizio pandemia, oppure ai quasi 50 giorni senza casi sintomatici rilevati sul territorio nazionale del gigante asiatico. Ma dobbiamo prendere atto (Report epidemiologico settimanale dell'Oms ) dei 461 casi per milione di abitanti della Sud Corea e dei 646 del Giappone, contrapposti ai 7.716 della Francia, ai 15.324 Spagna e anche ai 5.096 dell'Italia, sempre da inizio epidemia.

In conclusione

L'andamento attuale del contagio, pur contenuto entro limiti ancora accettabili, non è tranquillizzante se proiettato nei prossimi mesi. Stiamo attraversando una fase simile a quella della Germania, Paese con una situazione epidemiologica leggermente migliore di quella italiana, dove Angela Merkel ha già avviato una prima riflessione pubblica su ulteriori contromisure per evitare un incremento dei casi in prospettiva difficile da gestire. L'esperienza del passato, e quella più recente di Francia e Spagna, insegnano che rincorrere l'epidemia è una pessima idea: tutto il tempo che si perde offre al virus la possibilità di diffondersi in modo più o meno silente, arrivando a esprimere in poco tempo valori allarmanti.

Sempre più studi in tutto il mondo, oltre ai numeri che abbiamo citato in precedenza, testimoniano come l'uso sistematico delle mascherine, abbinato a igiene delle mani e distanziamento interpersonale, abbia un ruolo importante nel ridurre il rischio di contagio.

Nelle prossime due/tre settimane sarà possibile verificare l'effetto della riapertura delle scuole, oltre a quello (non dimentichiamolo) della tornata elettorale di fine settembre. Per ora i dati relativi al numero dei ricoverati e delle terapie intensive, a livello nazionale, restano tranquillizzanti: ma occorre verificare la tenuta del sistema sanitario, in particolare nelle Regioni del Sud, a fronte di un ulteriore incremento dei nuovi casi nelle prossime settimane.

Ricordiamo infine che l'attuale manifestazione clinica dell'epidemia in forma più lieve potrebbe essere collegata, oltre che alla già citata diminuzione dell'età mediana dei contagiati, a una più tempestiva effettuazione della diagnosi: in media oggi 3 giorni, contro i 6 del periodo più grave dell'epidemia. Il riconoscimento in tempi rapidi della malattia, e l'avvio precoce del percorso terapeutico, incidono infatti in modo evidente e in senso favorevole sulla prognosi.

Mettere sotto pressione eccessiva il sistema di tracciamento dei casi e di esecuzione dei tamponi potrebbe comportare una dilatazione di questi tempi, con inevitabili ricadute negative. Non siamo nelle condizioni della scorsa primavera, ma non dobbiamo commettere l'errore di sottovalutare la dinamica dell'epidemia: altri Paesi europei, Francia e Spagna in testa, ci dicono come sia un errore che si paga a caro prezzo. Possiamo e dobbiamo intervenire subito proteggendo i soggetti a maggior rischio (per età o condizioni di salute) ma anche tutelando al meglio la popolazione attiva e con un rischio più basso. Le rinunce di oggi ci avvicineranno allo sperabile arrivo di un vaccino con maggiore tranquillità e con un prezzo più basso in termini di vite umane: perché, indipendentemente dalle convinzioni personali e dalle teorie negazioniste, non possiamo dimenticare che fino a oggi 36.000 persone in Italia e 1.037.000 nel mondo sono morte a causa della Covid-19.

  5 ottobre 2020