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Gigi Proietti in paradiso.
L'abbraccio a Gassman e il saluto con Alberto Sordi
Un ricordo dell'attore scomparso lo scorso novembre , immaginandolo tra i grandi interpreti come lui da Petrolini a Mariangela Melato
Walter Veltroni su Sette del Corriere della Sera del 24 dicembre 2020


Gigi Proietti

Qualcuno forse è stato felice di quello che è successo a Gigi. Immagino le feste che gli avranno fatto quando è sbucato, chissà da dove. Sarà arrivato con uno smoking bianco e un Borsalino dello stesso colore. Avrà sfoderato il suo sorriso irresistibile, nel rivedere i suoi amici. Forse avrà detto qualcosa tipo: «Aho, anvedi chi ce sta». Si saranno fermati tutti e, per un attimo, avranno smesso di girare. Forse Monicelli o Scola, Dino Risi o Fellini, Antonioni o De Sica avrà detto, sorridendo, «Stop». E si saranno voltati tutti verso il nuovo arrivato e gli saranno corsi incontro. Tutto il cast del remake di Il paradiso può attendere: Alberto Sordi, Marcello Mastroianni, Massimo Troisi, Totò, Peppino De Filippo, Paolo Villaggio, Nino Manfredi, Anna Magnani, Franca Valeri, Ugo Tognazzi, Gian Maria Volontè, Eduardo, Alida Valli e tutti gli altri.

Gigi avrà abbracciato per primo Vittorio Gassman, fratello e maestro, e si sarà seduto tranquillo su un cirro per vederli recitare tutti insieme, che spettacolo magnifico! Ma Alberto si sarà fermato per dirgli: «Ma che stai a fa'? Vieni, t'aspettavamo, c'è la parte tua. Tocca a te, ora». «Ma che davero? E che parte devo fa'?». «Fai la tua vita, tutta intera. Qui ciascuno interpreta sé stesso, non ci sono problemi di tempo, nessuno ti dice “stringi”, non esiste il cartello finale “The End”. Io sto girando da quando sono arrivato, non ho mai smesso e per fortuna nostra, e sfortuna di quelli che stanno giù, qui il cast si arricchisce sempre. Ora è arrivato anche Ennio che fa le musiche. Come dicevano gli africani, che sono saggi? ”Voi avete l'orologio, noi abbiamo il tempo“.

Qui è così. Il tempo è infinito e lo passiamo a raccontarci le nostre vite, tutti. Quando interpretiamo noi stessi assumiamo l'età del momento che stiamo ricordando. Vedrai che bella la Valli da ragazzina e che faccia aveva Vittorio quando giocava a basket! La scenografia si fa da sola, assume la forma del ricordo e ognuno di noi si ritrova così in luoghi e momenti che stavano sepolti chissà dove nella memoria. Ecco, l'unica cosa problematica è che chi ha vissuto senza ricordare qui è penalizzato. Se non ricordi, ti annoi. Altrimenti è davvero una meraviglia. Pare de sta' in paradiso…» avrà detto. E poi si sarà messo a correre come faceva negli Anni Cinquanta. Si sarà girato e Gigi lo avrà visto con la faccia da mascalzone di Un giorno in pretura. Un ragazzo con la maglietta bianca nei pantaloni jeans a vita alta con le cuciture in evidenza. Gigi avrà pensato: «E mo' che faccio? Da dove comincio? Come voglio tornare?».

Poi si sarà reso conto che la domanda era giusta giù, non qui. Qui c'è tempo per tutto, non bisogna avere fretta. Ma la prima immagine che gli è venuta in mente è quella di un giorno di dicembre del 1970, la vigilia di Natale nei camerini del teatro Sistina a Roma. Ma non fa in tempo a pensarlo che è lì. Vede al muro una locandina di Alleluja brava gente. Poi si guarda allo specchio, ha i capelli neri e la barba che gli incornicia la bocca. Sente bussare alla porta, entrano Garinei e Giovannini che gli chiedono come si sente. Lui è sorpreso e sussurra: «Ma ce state pure voi qui?». Garinei ammicca e gli strizza l'occhio dicendo: «Dai, mo' sbrigati che stiamo per cominciare».
Gigi si infila il costume di Ademar e fa per raggiungere il palco. La strada la conosce benissimo, sembra ieri che ha fatto le prove. Oltre il sipario si sentono le persone che si stanno accomodando sulle poltrone. Quando arriva vede i suoi compagni di lavoro Renato Rascel e Mariangela Melato, bella e brava come è sempre stata. Qui non bisogna stupirsi, questo Gigi ha capito. Si volta per salutarli e vede tutto buio. Solo una gran nuvola di fumo e tante voci che si accavallano. «Gigi, ma che dormi? Vai con Strangers in the night, attacca...» gli dice quello al pianoforte. Sul fondo della sala del night club delle coppie si abbracciano e lui prova un po' di invidia. Finora quella sensazione di calore, un abbraccio di Sagitta, è l'unica cosa che gli manca. Per il resto è tutto bellissimo.

Il buio si fa più fitto e quando la luce torna Gigi è su una spider. Che strano, questo momento pensava di averlo dimenticato... Quando era giù non poteva raccontarlo perché non era “politicamente corretto”. Aveva fatto i primi soldi, era ragazzo. Si era comprato una spider, aveva preso anche i guanti di pelle marrone tagliati sulle dita come Gassman de Il Sorpasso e un berretto all'inglese. Ora è in quella macchina un giorno di agosto, nella Roma degli Anni Sessanta, la città è deserta e lui sfreccia per via dei Fori Imperiali in totale solitudine. Orgoglioso della sua macchina e della sua mise. Però, arrivato al semaforo che incrocia con via Cavour, deve fermarsi, è rosso. Al suo fianco c'è un camion betoniera. Alto, enorme. Dal finestrino spunta solo un gigantesco braccio, peloso e sporco di calce. Non si vede il volto, all'inizio. Poi sbuca la faccia dell'autista. Gigi è in basso, con il tettuccio aperto, i guanti tagliati e il suo cappellino con la visiera. Quello dall'alto lo guarda e lo riguarda. Tutto si svolge in silenzio, silenzio assoluto. Non una parola. Solo la testa dell'irsuto camionista che esce e rientra dal suo finestrino. Quando il semaforo sta per diventare verde il camionista si affaccia un'ultima volta e dice solo una parola, guardando quel pivello, acconciato in quel modo. Gli dice solo: «Afrocio». Poi mette la prima e va via. 

Anche Gigi, superato lo choc, ingrana la marcia e si ritrova al Teatro Tenda di piazza Mancini. Carlo Molfese, il gestore, lo aspetta nervoso. Gli dice che la sala è piena e deve sbrigarsi. Entra nel camerino e quando esce è vestito da Kean. Carlotta e Susanna, le sue figlie, gli dicono che il teatro, il Globe Theatre, è pieno e che bisogna cominciare. Ora lo smoking è nero. Il trucco pesante e lo spettatore uno solo, nella sala. Gigi per la prima volta non ha fatto il pieno. Ma si deve recitare comunque, anche per una persona sola, così Gigi ha imparato faticando sulle tavole di legno dei palcoscenici. Comincia a cantare, e s'accompagna da sé: «Gastone, artista cinematografico/ Artista del varieté, danseur, diseur/ Frequentatore dei bal-tabarins/ Conquistatore di donne a getto continuo/ Uomo che emana fascino / È una satira afferrata al “bell'attore” fotogenico affranto / Compunto, vuoto, senza orrore di se stesso / Gastone, sei del cinema il padrone…». Quando Gigi finisce c'è un momento di silenzio. Poi un applauso, forte, ripetuto, infinito. Uno solo, dell'unico spettatore. Gigi non lo vede, finché non si accende, venendo chissà da dove, una luce, un occhio di bue sull'unico posto occupato della platea. C'è un signore, vestito e truccato esattamente come lui. «Non avrei saputo fare di meglio, Gigi» dice, sorridendo, Ettore Petrolini.

  24 dicembre 2020