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Dopo Kabul, l'imputato Occidente e le pulsioni antiamericane
Dietro c'è sempre stata la condanna in blocco per le libertà occidentali, politiche, civili ed economiche.
Angelo Panebianco sul Corriere della Sera


La conclusione della vicenda afghana non è soltanto la più disastrosa sconfitta subita in tempi recenti dalla società occidentale ad opera di un movimento totalitario. Segna anche, paradossalmente, il momento di un suo amarissimo successo. I disperati che si aggrappavano agli aerei in volo, le donne terrorizzate dal ritorno dei barbari e tutti coloro che cercano ora di scappare prima che l'inferno li inghiotta, testimoniano che, nonostante vent'anni di guerra e tanti errori, gli occidentali erano riusciti ad aiutare gli afghani a creare, quanto meno, un embrione di società decente. Una società in cui le bambine potevano andare a scuola e le ragazze all'Università, in cui gli uomini e le donne potevano impegnarsi in attività economiche che non consistessero nella coltivazione dell'oppio, in cui per tanti, insomma, era possibile ricominciare a vivere, sperare di nuovo nel futuro.

Perché mentre fioccano i commenti liquidatori della guerra in Afghanistan nel suo insieme è importante ricordare, oltre agli errori, anche quanto di buono era stato comunque fatto? Perché è evidente da molti segnali che quelli fra noi che l'hanno sempre detestata si apprestano ad istruire un «grande processo» contro la società occidentale, i suoi principi e le sue realizzazioni.

I politici, di qualità o mediocri, capiscono sempre al volo quali siano i potenti in declino e quali quelli in ascesa, e adattano immediatamente le loro tattiche e le loro strategie ai cambiamenti nella distribuzione di potenza. Seguiti in ciò da settori più o meno ampi dell'opinione pubblica. Poiché la leadership internazionale degli Stati Uniti, già prima in declino, esce assai malconcia dalla vicenda afghana, ci possiamo aspettare nei prossimi mesi e anni una forte ripresa dell'antiamericanismo (peraltro, mai scomparso) in Europa. La crescita dell'antiamericanismo è l'inevitabile conseguenza del declino della potenza americana, della sua perdita di credibilità e di reputazione.

Ma, attenzione, l'antiamericanismo in Europa non è mai stato solo espressione di una opposizione agli Stati Uniti. C'è molto di più. Neanche troppo nascosta dagli slogan antiamericani è sempre stato possibile scorgere l'ostilità per la civiltà liberale occidentale nel suo complesso, della quale gli Stati Uniti, dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi, sono stati guida e motore. L'antiamericanismo era ed è lo strato più superficiale. Negli strati più profondi c'è sempre stata la condanna in blocco per le libertà occidentali, politiche, civili ed economiche.

Come prova il fatto che l'antiamericanismo è andato a braccetto, invariabilmente, con l'elogio per i regimi autoritari e totalitari. A sinistra come a destra. C'è stato un tempo in cui l'antiamericanismo di sinistra si sposava con l'ossequio per l'Unione Sovietica e poi, in epoca post'68, per la Cina di Mao, per la Cuba di Fidel Castro, eccetera. Nello stesso periodo, nell'estrema destra, l'antiamericanismo esprimeva l'ostilità per quelle «demoplutocrazie» che, proprio in nome della civiltà liberale, avevano combattuto e sconfitto nazismo e fascismo. Queste purtroppo non sono solo pagine di storia che non ci riguardano più. Invece, ci riguardano.

Poiché la politica non ammette vuoti, il declino americano, la scelta degli Stati Uniti, ribadita ora da Biden in perfetta continuità con Trump (e in accordo con quanto chiede l'opinione pubblica americana) di ripiegare su se stessi, lascia il campo libero alle grandi potenze autoritarie, dalla Cina alla Russia e a uno stuolo di medie potenze anch'esse di stampo autoritario e parimenti nemiche della società occidentale. Saranno quelli i nuovi punti di riferimento (con cui plausibilmente stringeranno alleanze e legami) degli eredi e successori degli antiamericani europei, di destra e di sinistra, dei tempi della Guerra fredda.

Naturalmente, le regole di un sistema internazionale multipolare come è quello in cui oggi viviamo sono diverse da quelle di allora. In epoca di Guerra fredda il nemico principale delle società libere era uno. Oggi le sfide sono multiple e diffuse. Qualcuno ha detto saggiamente che la debolezza dimostrata dagli Stati Uniti potrebbe spingere la Cina a tentare, prima o poi, una prova di forza su Taiwan. A loro volta, i russi possono ora contare su quella debolezza per rafforzare le loro posizioni, certamente in Medio Oriente e, forse anche in Europa, ai confini con la Nato. Anche la politica neo-ottomana, dei turchi, esce ringalluzzita dalla vicenda afghana e, prima che il castello di carte costruito da Erdogan crolli, potremmo assistere ad altre sue prove di forza, in funzione anti-europea e anti-occidentale. Il tutto mentre la vittoria talebana galvanizza l'estremismo islamico in Asia, in Africa, in Europa.

Per gli europei la situazione è difficile. L'ombrello americano su cui abbiamo sempre contato è ora pieno di buchi e non c'è, al momento, un ombrello di ricambio. La divaricazione fra le due società liberali, quella europea e quella americana, è forte ora come ai tempi di Trump: Biden ha fatto le sue scelte per ragioni di politica interna senza preoccuparsi dei contraccolpi negativi sull'Europa. Cosa che, certamente, contribuirà ad alimentare l'antiamericanismo europeo. Ciò potrebbe, in un prossimo futuro, ridare slancio e consensi a forze dai tratti illiberali che, in diversi Paesi europei, apparivano, ancora poche settimane fa, in via di ridimensionamento.

Forse le democrazie europee istituzionalmente più solide e ove è maggiormente condivisa l'adesione ai principi liberaldemocratici, resisteranno meglio alla pressione ma è facile immaginare che le democrazie più fragili, come la nostra, possano subire pesantemente le conseguenze della nuova situazione internazionale. Se non stiamo attenti, se non saremo capaci di mettere in campo efficaci contromisure, arriverà un tempo in cui l'Italia diventerà il terreno di scontro fra fazioni con referenti internazionali differenti, Europa e Stati Uniti da una parte, Cina, Russia e chissà chi altro dall'altra parte. Il partito filo-cinese ha già ora alzato la testa: «bisogna dialogare con i talebani che oggi si dicono più moderati di un tempo», «dobbiamo stabilire legami solidi con la Cina», eccetera. Anche gli amici italiani di Putin, sicuramente, non si faranno sfuggire l'occasione. Qualcuno invoca l'Europa. Ma l'Europa, nel bene e nel male, siamo noi. E c'è sempre il problema di come si fa a sollevarsi dal fango tirandosi da soli per i capelli.

  21 agosto 2021