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Processo a Mimmo Lucano,
come si è arrivati a 13 anni e 2 mesi di condanna
Nel frattempo sono oltre 60mila le firme raccolta su change.org per la campagna di solidarietà nei confronti dell'ex sindaco di Riace
Alessia Candito su la Repubblica


Il presidio davanti al tribunale di Milano contro la condanna di Mimmo Lucano

Più di 60mila adesioni in meno di 24 ore per creare "una valanga umana di solidarietà". Non smette di salire il counter della raccolta firme lanciata su change.org in sostegno di Mimmo Lucano, l'ex sindaco di Riace condannato ieri dal tribunale di Locri a 13 anni e 2 mesi. La sua colpa? "Reato di solidarietà" dicono i promotori. "E di disordine" aggiunge chi ha studiato il dettagliatissimo dispositivo per capire come mai il calcolo del tribunale abbia finito quasi per doppiare le richieste di pena della procura, pur assolvendo Lucano dai reati più gravi.  

L'ex sindaco di Riace era accusato di aver aiutato la compagna dell'epoca, Lemlem Tesfahun, a far arrivare in Italia il fratello, rimasto a vivere in Etiopia nonostante una seria situazione di rischio. Per il tribunale, il fatto non sussiste. Ugualmente inconsistente, anche dopo la ritrattazione in aula di quello che la pubblica accusa riteneva il teste chiave, l'accusa di concussione. All'ex sindaco veniva contestato di aver fatto pressione su un commerciante per costringerlo a non incassare i bonus - pezzi di carta con su stampata la faccia di Ernesto Che Guevara, Martin Luther King, Peppino Impastato - che permettevano ai rifugiati di far la spesa nel borgo anche quando i trasferimenti di fondi dal ministero tardavano. Lo aveva denunciato proprio lo stesso esercente, salvo poi affermare in aula di non aver mai ricevuto alcun tipo di minaccia dall'ex sindaco. Contestazione polverizzata. 

E allora perché Mimmo Lucano è stato condannato? Per la procura, il "modello Riace" nascondeva in realtà un'associazione a delinquere finalizzata a truffa aggravata e peculato, che in concreto consiste nella destinazione ad altro scopo dei fondi destinati ad un progetto. E il tribunale ci ha creduto, calcolando per giunta al centesimo ogni singolo scostamento. Quello che dal severissimo dispositivo di condanna non traspare è dove siano finiti quei soldi. Ma la risposta è nei capi di imputazione e nella storia di Riace, incluso in quella della lunga corrispondenza fra amministrazione, prefettura e Viminale.  

In paese non si badava molto ai confini fra progetti e strutture, il "modello Riace" era una macchina unica e tutti i fondi che arrivavano venivano gestiti come se fossero un unico tesoretto. Traduzione, quelli destinati alla mediazione linguistica, ad esempio, finivano al frantoio sociale, gli altri destinati ai laboratori andavano nell'ambulatorio, o magari nella ristrutturazione di una delle vecchie case del borgo, salvate così da crolli e abbandoni. Anche aver permesso di rimanere a Riace ai lungopermanenti usciti dai progetti è stata considerata una truffa, nonostante Tar e Consiglio di Stato abbiano bollato il rilievo come inconsistente. Ma burocraticamente, era un caos. E ha acquisito rilevanza penale, anche perché quel "sistema Riace" in cui tutti i progetti e i programmi si tenevano insieme e per questo è diventato modello, è stato letto come un'associazione a delinquere.

Nessuno si è messo in tasca un euro, ha riconosciuto in sede di requisitoria anche la procura che ha contestato a Lucano un "guadagno politico" a dispetto delle tante candidature rifiutate. Eppure, per Lucano e i suoi più stretti collaboratori è stata disposta una confisca in solido per oltre 700mila euro. Qui solo le motivazioni, attese entro 90 giorni, potranno spiegare il perché.  
Carte d'identità consegnate gratuitamente ad alcuni richiedenti asilo, una concessa ad una mamma nigeriana che ne aveva necessità per ottenere la tessera sanitaria, un certificato di stato civile considerato non veritiero consegnato a Lemlem Tasfauhn sono stati considerati abuso d'ufficio. E così è stato inquadrato anche l'affidamento della differenziata alle coop che usavano gli asinelli per spostarsi fra i vicoli di Riace, inizialmente bollato persino come turbativa d'asta, tecnicamente prescritta. Per la Cassazione però quell'affidamento era perfettamente regolare, non a caso gli ermellini avevano rispedito la "pratica Lucano" davanti al Tribunale del Riesame perché riconsiderasse se mantenerlo "in esilio" o meno. In più, nell'elenco di reati che i giudici hanno messo insieme c'è anche uno sgarbo alla Siae, per aver negato che a Riace ci fosse stato un concerto. All'ex sindaco costerà anche 7600 euro di risarcimento. 

Una ricostruzione surreale punita con durezza inspiegabile per molti, non solo in Calabria, ma in tutta Italia. Anche per questo, oggi saranno in tanti - promettono - a scendere in piazza per manifestare solidarietà a Lucano a Riace, Firenze, Roma. La lista dei presidi programmati si allunga di ora in ora, mentre Milano già si è mossa: ieri un gruppo di attivisti si è presentato di fronte alla prefettura con le bandiere della pace e  cartelli scritti a mano.  Parola d'ordine, "Resistenza"


Mimmo Lucano, l'ex sindaco di Riace condannato a 13 anni e 2 mesi per immigrazione clandestina: «Nemmeno a un mafioso»
Nel 2018 Domenico Lucano era stato travolto dall'inchiesta della procura di Locri nell'ambito dell'operazione «Xenia». L'accusa aveva chiesto 7 anni e 11 mesi. La compagna condannata a 4 anni e 10 mesi
Carlo Macrì, inviato a Locri sul Corriere della Sera

Il tribunale di Locri ha condannato Mimmo Lucano — l'ex sindaco di Riace — alla pena di anni 13 e 2 mesi di reclusione. I giudici lo hanno ritenuto colpevole di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, truffa, peculato e abuso d'ufficio. Dovrà restituire anche 500mila euro riguardo i finanziamenti ricevuti dall'Unione europea e dal governo. Inoltre è stata disposta la sua interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. Il Tribunale ha condannato anche la compagna di Lucano, Lemlem Tesfahun, alla pena di 4 anni e 10 mesi (per lei il pm aveva chiesto 4 anni e 4 mesi).

Il collegio presieduto da Fulvio Accurso, dopo una camera di consiglio durata 75 ore, ha aumentato di sei anni la pena richiesta dalla pubblica accusa che era stata di 7 anni e 11 mesi. L'ex paladino dell'accoglienza e dell'integrazione era stato arrestato e posto ai domiciliari il 2 ottobre del 2018 nell'ambito dell'operazione «Xenia» condotta dalla Guardia di Finanza e coordinata dalla procura di Locri. I magistrati nelle 1.200 pagine della richiesta d'arresto definirono Lucano un sindaco «spregiudicato» per aver «favorito matrimoni di comodo» tra cittadini riacesi e donne straniere e per aver consentito a due cooperative, prive di requisiti, di assicurarsi il servizio della raccolta dei rifiuti urbani. I magistrati gli contestarono anche un ammanco di 5 milioni di euro che sarebbero finiti nelle tasche di privati, anziché favorire l'integrazione dei migranti.

«Non ho parole, non me l'aspettavo. Questa vicenda è inaudita e non ho neppure i soldi per pagare gli avvocati», ha detto Lucano, subito dopo la lettura del dispositivo della sentenza di condanna. Prima di lasciare il tribunale di Locri ha ribadito la sua estraneità alle accuse: «Ho speso la mia vita per rincorrere ideali, ho lottato contro le mafie, anche per riscattare l'immagine negativa della mia terra e non lo so se per i delitti di mafia vi siano pene così pesanti... Oggi sono morto dentro, non c'è giustizia. Mi aspettavo un'assoluzione. Sarò macchiato per sempre per colpe che non ho commesso».

«Mimmo Lucano vive di stenti, la sua condizione è incompatibile con la commissione di qualsiasi reato. È innocente» — ha obiettato l'avvocato Giuliano Pisapia nella sua arringa in difesa dell'ex sindaco. «Questo non è stato un processo politico, ma è indubbio che un certo accanimento contro Lucano c'è stato», aveva tuonato il penalista invocando l'assoluzione per il suo assistito. La condanna comminata a Lucano peserà certamente sulla sua candidatura alle elezioni del prossimo 3 e 4 ottobre per le regionali in Calabria. L'ex sindaco di Riace ha— infatti — aderito al progetto politico di Luigi De Magistris, candidato a presidente della Regione e si è presentato come capolista in tre circoscrizioni nella lista Un'altra Calabria possibile, a sostegno del sindaco di Napoli.

  1 settembre 2021