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L'Ungheria del sovranista Orban guida i 12 Paesi (in maggior parte dell'Europa dell'Est) che vogliono costruire altri muri
In Europa sono riapparsi i confini difesi e fortificati


La nuova Europa dei muri anti-migranti
Dal Muro di Berlino, frantumato, si passa alle 15 barriere attuali, le ultime 7 installate a partire dal 2015. Dei 28 paesi membri dell'Unione Europea, ben 12 nazioni (Austria, Cipro, Danimarca, Grecia, Lituania, Polonia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia e Repubblica Slovacca) hanno eretto muri sulle proprie frontiere per scoraggiare l'ingresso di migranti. Muri o barriere anche nel cuore dell'Europa come quelle su cui punta l'Austria.

Quello voluto dal premier Viktor Orban al confine fra l'Ungheria e la Serbia è fra i più moderni: un muro ad alta tecnologia per tenere fuori dal paese i migranti che percorrono il corridoio balcanico, tratto determinante del cammino che porta dal medio oriente al cuore dell'Europa. In pochi anni si è via via perso il primato continentale che in fatto di barriere vedeva resistere solo quella nell'isola di Cipro, a divedere la parte greca da quella "indipendente" riconosciuta solo dalla Turcia. Il dopo muro di Berlino sembrava riservare ben altri scenari e invece da Est a Ovest in Europa sono riapparsi i confini difesi e fortificati: ce ne sono già 1.000 chilometri e molti altri sono in allestimento perché la politica anti-migranti è dilagata. Già due anni fa il Transnational Institute (TNI) - un organismo indipendente olandese, ha spiegato in un report che si tratta dell'equivalente di sei muri di Berlino che è stato costruito solo negli ultimi 30 anni, a partire proprio da quel 1989, quando la barriera tra l'Est e l'Ovest divenuta simbolo di tutte le divisioni venne abbattuta a colpi di martello e delle note dell' Inno alla goia di Beethoven.


Il momento della verità
La crisi politica in Europa tra muri e sovranismi
Andrea Bonanni su la Repubblica

Muri ideologici, muri politici, muri di filo spinato. La destra europea, in ripiegamento su tutti i fronti, va all'ultimo assalto contro la Ue e i suoi valori. In Polonia la Corte suprema, su richiesta del governo sovranista e reazionario, decreta che i Trattati europei sono in contrasto con la costituzione nazionale e, ribaltando le fondamenta dell'Unione, proclama che le leggi polacche hanno il primato su quelle comunitarie. Per chi crede nell'Europa, è l'apostasia più grave: la premessa per l'uscita di Varsavia dalla Ue. Ma Lega e Fratelli d'Italia, manco a dirlo, applaudono. Intanto i governi di dodici Paesi, tutti controllati dalle destre (con la triste eccezione della Danimarca) e guidati da Polonia e Ungheria, chiedono che Bruxelles finanzi la costruzione di muri che impediscano fisicamente l'accesso dei migranti sul territorio europeo. Altra bestemmia, altra provocazione, altri applausi di Salvini.

Quello che sta accadendo, all'indomani delle elezioni tedesche che hanno posto fine all'ultimo governo democristiano tra i grandi Paesi dell'Unione, è che le destre hanno finalmente capito come l'Europa e i suoi valori siano diventati uno spartiacque. E che l'agibilità politica entro i confini della Ue sia delimitata dal rispetto di questi valori. Chi vuole governare al di fuori di tale perimetro, o chi vorrebbe farlo come l'estrema destra italiana o francese, finisce inevitabilmente in rotta di collisione con Bruxelles, con le sue regole e con il consesso delle democrazie che le hanno espresse.

La crociata ideologica del governo polacco contro il primato del diritto europeo, sancito nei Trattati che la Polonia ha sottoscritto, arriva al cuore esistenziale della Ue e costringerà tutti i governi, tutte le forze politiche, tutti i cittadini d'Europa a scegliere da che parte schierarsi. Rovesciando il tavolo dei Trattati, il governo polacco erige un muro ideologico e politico che attraverserà tutta l'Europa. Chi non accetta di sottomettere la propria sovranità nazionale alla superiore sovranità europea, sempre più influente nella vita politica di tutti i Paesi, si metterà di fatto fuori dalla Ue. Chi, d'altra parte, accetta il primato politico dell'Europa, avrà sempre meno scuse e meno margini di manovra per frenare un processo di integrazione che sta arrivando al momento della verità.

La lettera dei dodici governi (Polonia, Ungheria, Austria, Cipro, Danimarca, Grecia, Lituania, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia e Slovacchia) che chiedono di erigere una "fortezza Europa" contro i migranti costruendo muri ai confini con i soldi della Ue va nella stessa direzione. Proprio mentre la Commissione obbliga la Grecia e la Croazia ad aprire indagini sulle accuse di respingimenti illegali alle proprie frontiere, le destre europee inseguono il sogno trumpiano e sostanzialmente razzista di un muro che preservi l'integrità etnica e culturale di una presunta "Europa cristiana" mettendo in atto la meno cristiana delle pratiche politiche: quella dell'esclusione e dell'egoismo.
La mossa può sembrare paradossale, ma non lo è poi tanto. Già l'Ungheria ha murato i propri confini con la Serbia, così come hanno fatto la Polonia e la Lituania alla frontiera della Bielorussia (dove ieri si è anche sparato). C'è chi calcola che ormai mille chilometri di filo spinato delimitino i contorni di quell'Europa che è nata proprio in contrapposizione alla cortina di ferro sovietica.

Ma anche quei muri, come lo spartiacque ideologico eretto dalla Corte suprema polacca, finiscono per spaccare l'Europa al proprio interno. Proprio mentre l'Italia e i Paesi del Mediterraneo si preparano a riaprire la discussione sul diritto di asilo e sulle regole di Dublino, nazionalisti e sovranisti rilanciano l'idea distopica di una Ue arroccata su se stessa e timorosa del mondo che la circonda.
Per decenni, l'Europa è vissuta di mediazioni, a volte estenuanti, e di compromessi, non sempre limpidi. Ma erano pur sempre i figli di una riconciliazione che aveva posto fine a secoli di guerre. Adesso si fa avanti l'Europa dei muri e degli aut aut. Il tempo delle mediazioni lascia il posto a quello delle scelte. Non saranno indolori.

  9 ottobre 2021