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Consiglio europeo, a Bruxelles torna l'egoismo
L'effetto è duplice: la paralisi dell'Unione, e quindi l'impossibilità di agire, e il nuovo ossigeno fornito ai sovranisti e agli antieuropeisti
Claudio Tito su la Repubblica


Bruxelles, i leader al summit Ue (reuters)


Dopo il vertice dell'Ue che si è chiuso a Bruxelles, tutti sono autorizzati a chiedersi: è davvero questa la normalità dell'Europa? È questa l'Unione che ci aspetta nel prossimo futuro? Interrogativi, in realtà, che la classe dirigente del Vecchio Continente sarebbe obbligata a porsi. Perché quel che è successo rappresenta davvero un salto indietro. Anzi, l'ennesima occasione persa.

Negli ultimi diciotto mesi, i 27 Paesi avevano mostrato un sussulto d'orgoglio e di iniziativa. Di capacità e di risoluzione. L'emergenza della pandemia aveva costretto tutti ad assumere delle responsabilità collettive. Gli ideali europei si erano finalmente calati in una realtà priva di burocratismo e colma di solidarietà. È stata certamente una stagione eccezionale. Non è stata l'unica. Altre volte l'Ue è riuscita ad affrontare le crisi che la attraversavano nel modo più efficace. Ma è possibile che questa realtà possa esprimersi soltanto in questi frangenti? I cittadini di questa Comunità devono sistematicamente trovarsi di fronte un'Europa entusiasmante nell'eccezione ed un'altra deludente nella normalità? 

Ieri (venerdì 22 ottobre) è improvvisamente precipitata nella "normalità" dei veti e degli interessi nazionali. È caduta in una sorta di limbo dell'inanità. Nessuna decisione su come affrontare l'emergenza migranti. Nessuna decisione su come mettere al riparo i cittadini in futuro da un'altra eventuale esplosione dei prezzi dell'energia e quindi delle bollette elettriche. Nessuna decisione operativa sull'oltraggiosa posizione assunta dalla Polonia sui trattati europei e sul concetto di democrazia. Nessuna decisione concreta su come convincere gli alleati più reticenti nel processo di vaccinazione della popolazione a cambiare strada. 

Improvvisamente gli occhi e la mente si sono chiusi. La prospettiva di un ritorno al passato della "normalità" ha fatto scattare per intero tutti i vecchi tic e tutti i vecchi luoghi comuni. Nel 1984, in uno dei suoi ultimi discorsi al Parlamento europeo, uno dei padri dell'Unione Altiero Spinelli ricordava: "Venuti dalla vita politica e sociale dei nostri Paesi, siamo tutti consapevoli della necessità di farci carico dei problemi propri dei nostri rispettivi Paesi. Ma la nostra vocazione istituzionale è vedere prioritariamente le cose nella loro prospettiva europea".
 
Ecco, la prospettiva europea si è persa nella prevalenza degli egoismi. Nella sensazione che tutto possa tornare a quel "prima" inadeguato. Intendiamoci: alcuni aspetti della dimensione passata vanno ovviamente recuperati e tutelati. Quelli del ritmo di vita non condizionato dal virus. Della condizione economica positiva - per chi ce l'aveva - e di una relazione sociale degna di questo nome. Tutto questo, però, non può e non deve essere confuso con la rinuncia ad un progetto europeista che sembrava finalmente prevalente.

L'Europa rischia di perdere un'occasione e di smarrire la sua anima. E di riconquistare l'immagine negativa che la accompagnava fino a circa due anni fa. Tutti i sondaggi più recenti hanno fatto guadagnare posizione nel giudizio che i cittadini hanno dell'Ue. Soprattutto nella aspettativa di avere sostegno e tutela. Di avere un centro di risoluzione dei problemi e non una base di accumulo seriale delle difficoltà. Ritornare alla "normalità" precedente, insomma, significa rigettare su Bruxelles l'idea di essere una matrigna malefica nei confronti dei suoi figli bisognosi. 

L'effetto conseguente è duplice. La paralisi dell'Unione e quindi l'impossibilità di agire. Una situazione che contiene al suo interno il germe della disunione. Una vera e propria malattia in grado di compromettere anche una delle recenti conquiste continentali: il Recovery Fund e la prima forma di debito comune. 

Il secondo effetto è persino più allarmante. È quello di fornire nuovo ossigeno ai sovranisti e agli antieuropeisti. Al populismo e alla demagogia. A Orbán e a Morawiecki. Ma l'Europa non può aspettare un altro virus per tornare alla sua autentica normalità. Quella eccezionale.

  23 ottobre 2021