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Il procuratore Melillo:
“Intercettazioni fondamentali anche per i reati non di mafia”
Il Forum a “Repubblica” del procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo all'indomani dell'arresto del super latitante
Conchita Sannino su la Repubblica



Giovanni Melillo, come procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, pensa sia corretto dire che Cosa Nostra è sconfitta, dopo la cattura di Matteo Messina Denaro?
"Partirei da questo assunto. Le mafie sono strutture complesse in grado di assorbire qualunque colpo. Cosa Nostra ha una vitalità che prescinde dalla sorte dei singoli capi. Ma, prima di questo, mi lasci dire che al procuratore di Palermo e ai magistrati che hanno condiviso con lui questi mesi di paziente e silenzioso lavoro va tutta la mia ammirazione e la mia affettuosa solidarietà. A loro e ai carabinieri del Ros deve andare la riconoscenza del Paese"…

Il risultato raggiunto lunedì mattina quale lezione ci consegna?
"Dimostra ancora una volta la forza di un metodo di lavoro che del rigore, del coordinamento, della prudenza e della determinazione fa le sue leve fondamentali. E ci ricorda che la direzione delle indagini affidata al pm è un valore fondamentale".

A dispetto di una riduzione del suo ruolo, come sembrava volere questa destra?
"Credo che anche questa vicenda dovrebbe aiutare a riflettere sulle solidità di certe opzioni, secondo cui il magistrato della pubblica accusa dovrebbe essere una sorta di avvocato delle forze di polizia: e credo che invece anche queste ultime riconoscano l'importanza di una funzione di controllo e di garanzia già durante le indagini, per orientarne tecniche e obiettivi verso rigorose finalità processuali. A maggior ragione quando, come in questo caso, le indagini si avvalgono di strumenti delicati come le intercettazioni".

Il ministro della Giustizia Nordio aveva annunciato "una profonda revisione" del sistema intercettazioni. Da lunedì dice: per i reati di mafia le teniamo. Ma ci sono tante altre condotte spia.
"Si tratta di un campo delicato e complesso che interroga tutti i sistemi nazionali. Innanzitutto perché nell'era digitale nelle indagini e nei processi confluiscono masse informative incomparabilmente più grandi e delicate rispetto al passato, ciò che obiettivamente pone la necessità di rigoroso governo di strumenti e tecniche di indagini che coinvolgono diritti fondamentali. Dunque, tocca al legislatore tracciarne i confini, trattandosi di materia propria della sfera della responsabilità politica. Da procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ho tuttavia la responsabilità di sottolineare che oggi le mafie parlano innanzitutto il linguaggio della corruzione e delle frodi fiscali, che è linguaggio praticato largamente dal mercato e nel mercato, fungendo da saldatura di interessi eterogenei".

Quindi, sottrarre alla corruzione lo strumento delle intercettazioni significa indebolire quella lotta?
"Non c'è dubbio che sarebbe un danno serio. Perché una parte non secondaria delle conoscenze che costruiamo quotidianamente sulle mafie nascono da indagini su più rilevanti fenomeni di corruzione e di frode fiscale e perché dalle indagini di mafia emergono elementi importanti per individuare gravi fatti di corruzione. Non solo, ma l'esperienza rileva che spesso è più difficile penetrare la segretezza degli accordi corruttivi che quella di una riunione di mafiosi. Le intercettazioni. Capita frequentemente, ormai, di dover prendere atto che un incontro con fini illecito fra un pubblico ufficiale e un imprenditore sia circondato da cautele e tecniche di elusione dei controlli da far invidia alla segretezza dei movimenti che siamo abituati a considerare ossessiva precauzione di mafiosi. In alcuni casi, la polizia giudiziaria ha dovuto registrare persino il ricorso a tecniche di contropedinamento da terroristi in clandestinità".

Di fronte alla gravità dei sospetti, vanno difese anche le captazioni più invasive: col trojan, per intenderci?
"Sul versante della corruzione, credo sia necessario anche quello strumento. Che naturalmente va ancorato a parametri rigorosi, perché esiste un oggettivo problema di innalzamento delle garanzie, ciò che impone di rafforzare il ruolo del giudice e non di rinunciare allo strumento. Ma, naturalmente appartiene alla responsabilità della politica definire queste scelte, così come valutare il tempo di queste scelte".

La stagione del Pnrr suggerirebbe prudenza?
"Dico solo che fui molto colpito dalle parole di Mario Draghi, quando lo scorso settembre volle incontrare me e gli altri magistrati della Dna nella nostra sala riunioni dedicata a Giovanni Falcone. Parlando del Pnrr, l'ex Presidente del Consiglio volle sottolineare, ritengo guardando anche alla responsabilità sociale della magistratura, che la credibilità dell'Italia subirebbe gravissimi danni se soltanto si diffondesse la percezione che una parte delle risorse finanziarie destinate al nostro Paese, ma finanziate dalla tassazione di cittadini e imprese di altri Paesi europei all'Italia finiscano nelle mani delle mafie o nei mille rivoli della corruzione".

Torniamo alla cattura di Palermo. La vera inchiesta, per paradosso, è iniziata da lunedì. E ora tanti auspicano che l'ultimo stragista corleonese si penta.
"A Messina Denaro è attribuita la responsabilità di pagine sanguinose della storia delle organizzazioni criminali, alcune delle quali hanno avuto un evidente significato eversivo: penso alle bombe di Roma, Milano e Firenze. Che ci sia una dimensione politica dell'agire mafioso eclatante è evidente. E di questa dimensione "politica" egli è di certo a conoscenza. Quindi ritengo che alcune vicende, penso all'omicidio di Piersanti Mattarella ad esempio, penso alla campagna stragista del '93 nel continente, o a storie anche più risalenti nel tempo, meritino di essere approfondite, del resto fino a quando ci sarà la possibilità umana di farlo. D'altro canto, non sono io a stabilire l'imprescrittibilità di alcuni delitti. Soprattutto perché penso che una democrazia non possa permettersi di avere paura di conoscere la propria storia: e di farlo secondo le regole dello stato di diritto".".

Ma ci sono trent'anni di coperture eccellenti, di connivenze, false piste e zone grigie da individuare. Se il boss decide di non parlare, fin dove si può arrivare?
"Non faccio vaticini e non mi interessa iniziare adesso...".
Ma esistono nodi mai sciolti fino in fondo. Nel rapporto tra il boss corleonese, quell'ala stragista e la politica.
"A Messina Denaro è attribuita la responsabilità di aver scritto alcune delle pagine più sanguinose delle storia delle organizzazioni criminali, alcune delle quali hanno avuto un evidente significato eversivo, ciò che senz'altro rivela una dimensione politica dell'agire mafioso con il metodo delle stragi. E di questa dimensione "politica" egli è certo conoscenza. Ma noi abbiamo comunque il dovere di continuare ad indagare su quei crimini, del resto imprescrittibili per tradizionale scelta legislativa. Una democrazia non può avere paura di conoscere la propria storia e di farlo secondo procedure regolate dalle leggi dello Stato".

Per questo non si può dichiarare né sconfitta Cosa Nostra né chiusa l'aziome di contrasto?
"Trovo frettoloso e anche pericoloso il semplice pensare di chiudere considerare sconfitta Cosa Nostra e di rinunciare alla comprensione profonda di quelle vicende, sulle quali invece bisogna continuare a lavorare".

Di cosa c'è bisogno per andare avanti su questa strada?
"Sostenere gli uffici che sono impegnati su questo fronte, assicurando il coordinamento delle loro piattaforme informative e delle loro iniziative. È ciò che tocca al mio ufficio fare".

La decisione della premier Meloni di volare a Palermo: giusto riconoscimento, facile ricerca di consenso o impegno necessario da cui si attendono scelte coerenti?
"Io ho molto apprezzato la scelta del Presidente del Consiglio di essere ieri a Palermo e anche le sue parole di apprezzamento verso le istituzioni giudiziarie polizia. Per due motivi. Innanzitutto, perché quella presenza esprime simbolicamente il principio che il contrasto alle mafie non è questione riservata alla magistratura e alle forze di polizia, ma questione nazionale che interroga il complesso delle politiche pubbliche".

Il secondo?
"Perché quel gesto e quelle parole aiutano a ricostruire un clima di fiducia e rispetto fra le istituzioni. E ben venga anche un giorno di memoria delle vittime delle mafie e del terrorismo dedicato alla riflessione collettiva, anche se più che un giorno di festa preferirei 365 giorni l'anno di reciproco rispetto e di fiduciosa collaborazione delle istituzioni. Bisogna svelenire questo clima che consuma le istituzioni repubblicane".

Messina Denaro non è solo l'ideologo delle stragi nel continenti del '93. È anche l'incarnazione della mafie in affari con borghesia, imprese, pubblica amministrazione e massoni. È il volto delle mafie di oggi?
"Le mafie oggi sono componenti strutturali del tessuto sociale ed economico, non solo delle regioni meridionali. Sono uno degli assi portanti dei circuiti organizzati della frode fiscale e della corruzione. Ed è questa una realtà che emerge particolarmente nelle indagini delle procure distrettuali delle regioni centro-settentrionali: dove banalmente non ha alcuna credibilità l'immagine del mafioso con la coppola sul capo e il fucile in spalla. Il mafioso è oggi un agente fondamentale del sistema delle false fatturazioni, delle frodi IVA, della corruzione delle funzioni di controllo sulle imprese: ed è così che si consolida la connessione tra i circuiti del riciclaggio da traffici criminali e le imprese che mafiose non sono, ma si avvalgono di quei servizi. Suggerisco, a questo proposito, la lettura di un ormai risalente ma ancora illuminante saggio, Mezzogiorno e intermediazione impropria, di Piero Barucci, un economista certo non incline ad aderire a visioni e eccessi inquisitori".

Che effetto le fa leggere di illazioni su presunte trattative, su una consegna di Messina Denaro?
"Nessuno. Anche se occorrerebbe riflettere sugli effetti perversi di certe ricostruzioni fantasiose".

Ma la domanda serve a lasciare che i cittadini si facciano un'idea.
"Certo. Ma c'è in questo Paese un rischio di contaminazione irrecuperabile con l'irrealtà. Allora: se non si arrestava, c'era una trattativa per consentirgli la latitanza sine die. Lo arrestano: e allora c'è stata un'altra trattativa. Banalmente penso che ai magistrati spetti restare coi piedi per terra e procedere con rigore a distinguere tutto ciò che è razionalmente controllabile e ciò che non lo è e non contribuisce a colmare il debito di verità e giustizia che abbiamo verso le vittime della mafia".

Il boss ha lasciato scritto del  rispetto con cui è stato trattato.
"Come dovrebbe essere sempre, per qualsiasi uomo la vita e la dignità del quale spetti allo Stato tutelare".

Questo arresto è stato il "riscatto" dei Ros, dopo le inchieste e le ombre?
"Non è il caso di fare paragoni col passato. questa struttura di élite dei Carabinieri è oggi molto cambiata, non solo negli uomini, come è ovvio, ma anche e soprattutto nei metodi di lavoro e nella filosofia del rapporto con il pubblico ministero, del quale ricerca e rispetta la funzione di direzione delle indagini, come la vicenda dell'arresto del latitane dimostra".

Possiamo dire che la magistratura italiana e gli apparati di sicurezza sono cresciuti più della politica?
"Sarebbe una facile provocazione. Su certi versanti, poi, direi che la magistratura è cresciuta poco: ci sarebbe  bisogno di massicce dosi di trasparenza, di responsabilità sociale sui problemi della trasparenza e dell'efficienza della macchina giudiziaria, ma il clima di continua contrapposizione polemica non aiuta a vincerne le resistenze corporative".

Quegli applausi, lunedì in strada, possono riconnettere il sentimento degli italiani con la giustizia?
"Non servono gli applausi per questo. Ma la ricostruzione di un clima generale di fiducia e di rispetto che spetta a tutti contribuire a ripristinare e difendere".

  18 gennaio 2023