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Riforme, la verticale del potere
L'antagonismo permanente della destra al sistema che pure governa, la sua alterità rispetto al costume democratico repubblicano, indicano il vero e principale obiettivo di Giorgia Meloni con il premierato
Ezio Mauro su la Repubblica



«Questa riforma costituzionale cambia radicalmente il nostro sistema di governo fondato sul Parlamento. Tecnicamente è un vero sconvolgimento che ha l'effetto di indebolire le Camere e di prosciugare il Capo dello Stato nella sua figura di garanzia». Il presidente emerito della Corte Costituzionale, Giuliano Amato, illustra rischi e limiti del premierato elettivo approvato ieri dal Consiglio dei ministri. E si augura che in corso d'opera la riforma viri in un premierato alla tedesca che rafforza il primo ministro ma non altera l'architettura disegnata dai padri costituenti. Quanto alle polemiche sulla sua nomina a presidente della commissione che esamina l'impatto dell'Intelligenza Artificiale sull'editoria, ribatte ai suoi critici: «A 85 anni non sono stato chiamato a costruire un algoritmo, ma ad affrontare le domande che l'Intelligenza Artificiale solleva sul piano del diritto, dell'etica, della filosofia. Invece di sprecare energie su di me, i nostri commentatori dovrebbero mettersi a studiare questi problemi perché è in gioco, tra l'altro, la libertà dell'informazione».

Presidente Amato, perché il premierato elettivo rappresenta uno strappo rispetto al sistema parlamentare che abbiamo fin qui conosciuto?
«È uno sconvolgimento proprio in termini tecnici. Il nostro sistema di governo è fondato sul Parlamento come interprete primo della sovranità popolare e quindi fonte di legittimazione degli altri organi costituzionali, dal governo alla presidenza della Repubblica e in parte alla stessa Corte Costituzionale. Quindi introdurre per uno di questi organi una diretta legittimazione popolare significa squilibrare un'architettura che è fondata tutta sul Parlamento».

L'elezione diretta del presidente del Consiglio altera in sostanza il rapporto tra i principali poteri dello Stato: avremo un premier più forte rispetto al Parlamento e al Capo dello Stato che ne escono indeboliti.
«Il presidente della Repubblica perde nella sostanza due poteri fondamentali, quello di nominare il presidente del Consiglio - al quale si limiterà a conferire l'incarico con atto puramente notarile - e il potere di sciogliere le Camere. Il disegno di legge prevede inoltre che, in caso di crisi di governo, il capo dello Stato sia vincolato a dare il mandato al premier dimissionario o a un nuovo premier espresso dalla stessa maggioranza: francamente dubito che questa disposizione sopravviva alla discussione in Parlamento trattandosi di una norma che depotenzia ulteriormente il Quirinale e restringe ancora di più il ruolo del Parlamento come fonte di legittimazione. Ma tutto questo non basta per mettere a fuoco il vero grave vulnus impresso dalla riforma: un argomento che tende a passare sotto silenzio».

Quale?
«Chiunque abbia un minimo di cognizione della politica non può ignorare il punto centrale: una istituzione che deriva la sua legittimazione dal Parlamento messa a confronto con un'altra istituzione legittimata dal corpo elettorale è paragonabile a un palloncino sgonfiato. Questa riforma va a minare proprio l'autorevolezza di cui ha finora goduto il presidente della Repubblica in quella funzione di garanzia che esercita attraverso atti formali e atti informali. “Un magistrato di persuasione e influenza”, lo definì il costituente Meuccio Ruini: i tre quarti del suo lavoro consistono nei discorsi, nelle lettere, negli interventi pubblici che rientrano nel cosiddetto potere di esternazione. Un ruolo fondamentale per la vita democratica del Paese che nella storia della Repubblica è andato crescendo man mano che le forze politiche hanno manifestato debolezza e litigiosità».

Questo è il ruolo che viene più minacciato dall'attuale riforma?
«Ma certo. Se due cariche si siedono una davanti all'altra, l'una con mandato popolare l'altro senza, sarà la prima a essere preminente sulla seconda, al di là della divisa e del nome indicato dall'ordinamento. Non è stato valutato a sufficienza il rischio di tutto questo: se oggi la Costituzione e il nostro sistema di governo sono ben accetti dalla collettività è in primo luogo grazie al Capo dello Stato. È la figura che svetta sulle altre proprio perché i cittadini vi colgono la garanzia rispetto alla mutevolezza e alla fragilità delle istituzioni più direttamente politiche».

Tanto più una società appare divisa e conflittuale, quanto più abbiamo bisogno di una figura super partes, garante dei valori comuni.
«Proprio così. Questa funzione di garanzia fu voluta dai padri costituenti. La principale fonte di ispirazione era “il potere neutro” di Benjamin Constant, come dissero Costantino Mortati, Egidio Tosato e altri membri dell'Assemblea Costituente. Poi nella storia repubblicana ci sono stati presidenti più politici come Giovanni Gronchi, ma nel tempo si è sempre più consolidata la figura di garanzia, al di sopra degli schieramenti. E la storia ha voluto che a incarnarla negli ultimi anni sia stato il presidente Mattarella, la cui propensione al ruolo è particolarmente spiccata. Un personaggio molto amato dagli italiani, che vi riconoscono il rappresentante dell'unità nazionale: l'unico che possa imporre qualcosa a quei discoli della politica. In questo la sua autorevolezza sarebbe minata davanti a un primo ministro eletto direttamente».

In questo primo anno di governo della destra, davanti alle sortite improvvide sull'antifascismo, sui migranti, sull'emergenza climatica, il presidente Mattarella è stato il solo vero baluardo della cultura costituzionale.
«Questo è innegabile. Ovviamente nessuno potrà impedire al capo dello Stato di dire quello che vuole. Ma chi sarà l'eletto a Palazzo Chigi? Qui bisogna stare attenti. Perché un domani a fronte di un presidente del Consiglio carismatico potremmo avere un presidente della Repubblica che non solo avrà perduto la forza dell'organo di garanzia, il magistero di “persuasione e influenza”, ma potrebbe non avere neppure l'attitudine personale per svolgere quel ruolo».

Ora il presidente Mattarella è stato messo nelle condizioni di non poter intervenire pubblicamente su un tema che lo investe personalmente.
«Per parlare, dovrebbe dire prima “domani mi dimetto” , in modo da affrontare una questione che non lo riguarda più: quindi ci auguriamo tutti che non parli».

Abbiamo detto dell'indebolimento della figura del Presidente, ma anche il ruolo del Parlamento ne esce sminuito.
«E di questo proprio non avevamo bisogno. Abbiamo vissuto una lunga stagione nella quale i governi hanno deformato le regole e i principi esistenti cancellando in sostanza la legge come fonte del diritto: il ricorso frequentissimo a decreti legge e ai voti di fiducia ha dato vita a unilaterali legislazioni governative. Oggi dovremmo recuperare la funzione legislativa del Parlamento, non solo riconducendo all'eccezionalità l'uso del decreto legge ma anche restituendo alle procedure parlamentari il loro significato sostanziale che è quello del confronto tra punti di vista diversi. Oggi i parlamentari sono diventati spettatori di decisioni già prese. Sa qual è il paradosso? Nei pochi giorni dedicati alla sua conversione, il decreto legge preparato in fretta dall'esecutivo subisce emendamenti più dallo stesso governo che dai parlamentari, che in questo modo vengono umiliati nella loro funzione».

C'è una soluzione?
«Due sono essenzialmente le cose da fare. Ricondurre la decretazione d'urgenza alle sue ragioni originarie, dando però alla legislazione un orizzonte temporale certo. E l'altro terreno su cui lavorare è la riforma della politica. La premier giustifica il premierato elettivo con l'argomento che serve a dare stabilità al sistema. Ma quando un sistema è diventato instabile perché le sue fondamenta sono passate da un terreno solido come quello dei vecchi partiti alle sabbie mobili dell'attuale elettorato più mutevole di una piuma al vento, la soluzione non può essere rafforzare il vertice. Se appesantisci l'attico, il rischio è che il palazzo già fragile crolli con maggiore facilità».

Carlo Galli ha scritto che dare un vertice forte a una società disgregata è un disegno insieme populistico e autoritario.
«Sono vere entrambe le cose, anche se non è detto che chi lo fa ne sia consapevole. E questo è parte del problema. Vi sono conseguenze inevitabili in questa riforma che portano al rischio denunciato da Giovanni Sartori a proposito del premierato elettivo adottato in Israele ma poi fortunatamente abbandonato. Non si sa che cosa possa succedere se si mantiene in carica un primo ministro a cui non corrisponde più una maggioranza di cittadini perché intanto le cose sono cambiate».

Sempre secondo Galli il retroterra politico e culturale di questa riforma va cercato nell'antiparlamentarismo della destra radicale, con la sottomissione delle Camere all'esecutivo.
«È un argomento che ha le sue ragioni, ma io non so quanto questi filoni culturali influenzino oggi un personale politico che si è formato sul Signore degli Anelli».

Ma insieme alla passione per Tolkien la presidente Meloni non rinuncia a vasti programmi. “Abbiamo una responsabilità storica”, ha detto. “Traghettare l'Italia nella terza Repubblica”. Vogliono rifondare lo Stato italiano, eliminando le sue fondamenta antifasciste?
«Insisto, non escludo che in questa riforma intervengano ragioni identitarie, ma non ne sono sicuro. E preferisco concentrarmi sul risultato. E qui interviene il mio ottimismo, nonostante ciò che sembra prevalere al momento».

Perché ottimista?
«Io penso che persone politicamente addestrate come Giorgia Meloni scelgano alla fine soluzioni che le espongano a minori rischi. E quando capiscono che la ragione identitaria potrebbe condurli a un referendum pericolosissimo per il loro futuro politico, preferiscano imboccare una strada più ragionevole, quella che io mi auguro».

Che cosa si augura?
«Ma è possibile che in Parlamento non si riesca a convenire su un premierato alla tedesca? In questo modo si potrebbe rafforzare la posizione del presidente del Consiglio – cosa che io auspico da tempo – ma senza modificare l'architettura di fondo del nostro sistema parlamentare. Nell'assetto tedesco il Cancelliere è l'unica figura a cui il Parlamento dà la fiducia: questo lo rafforza anche rispetto ai suoi ministri e per esperienza diretta posso dire che è bene che il primo ministro possa avere il potere di revoca sugli altri membri del governo».

Prima ha definito il referendum molto pericoloso. Dà per scontato quindi la bocciatura degli italiani?
«Il testo come è stato approvato non avrà la maggioranza parlamentare dei due terzi, quindi non potrà evitare il referendum confermativo. E questo tra i referendum mi pare il più pericoloso per chi lo subisce, perché gli oppositori possono legittimamente sostenere che la riforma manomette la Costituzione e mette a repentaglio la figura più amata del sistema costituzionale. La vittoria del No diventerebbe una sconfitta politica che pare davvero imprudente subire. Diversamente, un disegno di legge costituzionale approvato all'unanimità o quasi del Parlamento non esporrebbe a quel rischio che ha colpito in passato Berlusconi e Renzi. “Non c'è due senza tre” è una regola che la storia tende sempre più a confermare».

La riforma sul premierato elettivo è peraltro vincolata all'altra riforma sulle autonomie regionali, promessa da Meloni a Salvini. Quali sarebbero le conseguenze?
«Se passasse anche quella riforma, avremmo un'Italia squilibrata da più punti di vista. Allo squilibrio istituzionale si aggiungerebbe un più accentuato squilibrio regionale, tra regioni iperfinanziate e regioni sottofinanziate».

Non ci resta che rivolgerci all'Intelligenza Artificiale. S'è chiarito il caso politico della sua nomina a presidente della commissione?
«Sì. È emerso che la presidente Meloni ha espresso disappunto non sulla mia nomina ma sul fatto di non essere stata informata».

Molti opinionisti le rimproverano di aver accettato l'incarico a 85 anni.
«È quasi imbarazzante perché parlo di persone che stimo. A parte che lavoro da anni sull'intelligenza artificiale con il Cortile dei Gentili, ma lo sanno che sono proprio gli ingegneri, i genieri e i geni dell'IA a invocare il nostro aiuto? L'ha detto Brad Smith, successore di Gates al vertice di Microsoft: “Abbiamo tra le mani potenzialità enormi per lo sviluppo umano ma anche prospettive terribili di manipolazione: da qui la necessità di un dialogo continuo con esperti di etica, filosofia morale, diritto e religione”. Eguali parole sono state pronunciate da Sundar Pichai, amministratore delegato di Google, e da Kate Crawford, studiosa di Intelligenza Artificiale. Ma poi arrivano i nostri commentatori, che spesso commentano cose che non conoscono, che mi rimproverano l'età perché non sono in grado di costruire un algoritmo. Magra figura, direi».

Diciamo anche che anche i nostri commentatori non sono proprio giovanotti, veleggiando in media intorno ai sessanta/settant'anni.
«E farebbero benissimo a occuparsi di IA, visto che le grandi piattaforme si stanno orientando a produrre notizie attraverso l'Intelligenza artificiale generativa. Chi controllerà queste notizie? Dove finirà la pubblicità che oggi sostiene i principali siti di informazione?».

Lei ha scritto che è il diritto che deve stabilire quando l'Intelligenza artificiale ci può sostituire e in quali attività ci deve essere la decisione umana. Nell'editoria quali sono i limiti?
«La raccolta delle notizie può essere fatta da una macchina, ma l'organizzazione e la circolazione delle notizie devono restare saldamente nelle mani dei giornalisti. L'intelligenza artificiale ci pone poi davanti al rischio di una concentrazione di potere assoluto nelle mani dei detentori delle macchine, da qui anche la necessità di limitare le potenzialità dei singoli sistemi informatici. La scienza deve smette di giocare a fare Dio perché il rischio è davvero di perdere il controllo sulle macchine come nel film di Kubrick. Anche per questo noi abbiamo la responsabilità di lavorare sull'IA».

Senza limiti d'età.
«L'intelligenza artificiale è la più adatta a capire per prima il momento in cui sarò affetto da demenza senile. E quando me lo dirà, giuro che smetto».

  4 novembre 2023