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Israele e Palestina: i toni del giornalismo
Riflessioni dopo aver partecipato ad una trasmissione televisiva
Barbara Schiavulli su Radio Bullets



Il New York Times ha recentemente cambiato tre volte il titolo di un articolo per mascherare il coinvolgimento israeliano, passando dal definire l'attacco a un ospedale di Gaza, un “attacco israeliano” al descriverlo come un'esplosione” in un ospedale di Gaza.
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“I media occidentali usano volutamente 'eufemismi', mascherando la verità di parole dure che esprimono atti di crimini di guerra israeliani – dice Assad – “Quando i media occidentali usano la voce passiva, ignorano intenzionalmente il principio 'chi' ha fatto 'cosa', e il 'chi' è necessario affinché un'informazione sia completa. Usano la voce passiva per eludere la verità e in qualche modo far sembrare dubbi i crimini di guerra israeliani”.
Assad cita un esempio tratto dalla Reuters, quando ha riferito dell'uccisione del fotoreporter dell'agenzia di stampa Issam Abdullah, il 13 ottobre. Il titolo della Reuters diceva: “Issam Abdallah, un teleoperatore della Reuters, è stato ucciso mentre lavorava nel sud del Libano”.
“In questo modo, i lettori non sanno chi ha ucciso Issam, e ovviamente questo serve per oscurare il fatto che le forze israeliane hanno ucciso il giornalista. Una volta che i lettori vedono questo titolo, “immagazzineranno” il fatto che un giornalista è stato ucciso, ma senza ricordare chi.
Un sistema ampiamente utilizzato è anche l'uso della parola “morire” invece di essere stato “ucciso”.
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“Diverse pubblicazioni importanti hanno deliberatamente utilizzato un linguaggio vago per descrivere gli attacchi devastanti contro Gaza ma, al contrario, il linguaggio per descrivere gli attacchi contro Israele del 7 ottobre era incredibilmente chiaro e descrittivo, “sostenendo implicitamente la causa israeliana”, afferma Gibson. “Termini come 'guerra' suggeriscono una competizione equa piuttosto che il genocidio perpetrato da Israele”.
La definizione di guerra dell' Oxford Languages ??è “uno stato di conflitto armato tra diversi paesi o diversi gruppi all'interno di un paese”.
Secondo un rapporto di Axios dell'inizio di quest'anno, Israele ha un budget militare annuale superiore a 20 miliardi di dollari e ha accesso ad alcune delle attrezzature militari statunitensi più avanzate. Israele controlla anche i cieli e gran parte del mare intorno al suo territorio. Israele afferma di essere a Gaza per “eliminare Hamas”, tuttavia, i soldati hanno utilizzato bombe, attacchi di droni e bulldozer per colpire i civili. Nel frattempo, il braccio armato di Hamas, le Brigate Qassam, fa affidamento su strategie di guerra in stile guerriglia utilizzando razzi, cecchini ed esplosivi artigianali.
Usare il termine “guerra” implica che sia le Brigate Qassam che Israele, detengano un potere simile, e che Gaza sia un paese invece, che un'enclave assediata, oscurando la natura della violenza in atto, sostiene Gibson. “Il termine 'militante di Hamas' è stato ulteriormente utilizzato come arma da Israele poiché usa questa parola liberamente per giustificare il massacro di civili palestinesi”, dice. Poi da militanti, si è passato a “terroristi” per giustificarlo ancora di più.
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Durante questi ultimi due mesi si è raccontato a chi sta dentro a Gaza quello che sta accadendo, grazie alla presenza di giornalisti, 101 dei quali sono stati uccisi, ma anche operatori umanitari, mentre poco è stato riferito dai media internazionali e in particolare da quelli italiani, su cosa stia avvenendo negli stessi giorni in Cisgiordania.
Raid notturni con centinaia di arresti, scontri a fuoco, paesi completamente isolati, attacchi dei coloni a civili palestinesi aumentati e sotto la supervisione dell'esercito. Pochi si sono chiesti quale fosse il motivo visto che Hamas non controlla Gaza.
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La denigrazione di un gruppo di persone normalizza la sensazione che non meritino diritti umani e serve a giustificare l'inflizione della violenza nei loro confronti. Questa non è una novità: in effetti, gli oppressori hanno consapevolmente manipolato il linguaggio per legittimare i genocidi nel corso della storia.
È noto che l'impresa coloniale britannica considerava gli indiani come barbari incivili che costituivano il “fardello dell'uomo bianco”. I nativi americani venivano descritti come “selvaggi spietati” e “animali senz'anima” che dovevano essere uccisi affinché i colonizzatori potessero possedere la “terra promessa” dell'America.
Dal genocidio ruandese del 1994 ai sistemi di apartheid sudafricani, la politica del linguaggio ha fortemente influenzato il dibattito su chi merita di vivere, di avere accesso alle risorse e ai diritti umani. I nazisti si riferivano agli ebrei come “ratti” e “parassiti”, legittimando i loro omicidi di massa. La propaganda americana durante la seconda guerra mondiale chiamava i giapponesi “parassiti gialli” e li descriveva come “bestie” che capivano solo il linguaggio della violenza quando sganciarono la bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki.
Il linguaggio disumanizzante ha accompagnato i massacri, la schiavitù e tutte le storie di oppressione, e continua nel genocidio dei palestinesi in corso. 

  27 dicembre 2023