prima pagina pagina precedente



Una vignetta per la Palestina
Barbara Schiavulli per Radio Bullets (per gentile concessione)


RAMALLAH (Cisgiordania) – Ha sempre amato disegnare. Era come se riuscisse a ricreare il mondo e a parlarne attraverso la sua matita. Ed è riuscito a fare della sua passione un lavoro. Disegnare, pubblicare, vedere le sue vignette stampate sui giornali.
 Osama Nazzal è un fumettista e artista visivo palestinese. Laureato in Norvegia. È diventato fumettista grazie all'ispirazione che ha trovato nel lavoro di fumettisti precedenti come Naji al Ali e Baha Boukhari. Ha pubblicato la sua prima vignetta nel 2004 sul nuovo quotidiano Al Mubadars. È anche membro dell'associazione Cartooning for Peace.

Ma Osama, ha anche un passato pericoloso. Di lotta e resistenza. Nel 2005 quando aveva 22 anni è stato condannato a 7 anni di prigione. “Ero un combattente nella seconda intifada”.
Lanciavi pietre? “No, ero armato”.
E improvvisamente, quel ragazzone noto in Palestina per le sue vignette satiriche, mostra un lato, che sembra impossibile immaginare in un artista. Ma, questa terra assetata di calma e pace, ha poche persone che non sono toccate dalla violenza. Che la si crei o si subisca, è un posto dove spesso i confini sono labili nella vita di una persona.


La prigione

Osama, trascorre due anni e mezzo in prigione, dove cerca di capire il suo posto nel mondo. “Prima di essere arrestato parlavo dei detenuti, poi ho capito che ero uno di loro e questo mi ha motivato molto”.
“Ogni giorno era segnato da un'umiliazione o da una tortura, mio padre poteva venirmi a trovare, ma mia madre no, mi controllavano la cella in continuazione. Prima ero un ragazzo libero, dopo il mio unico sogno era di mangiare un pomodoro”.
Ricorda il freddo e il caldo nella cella punitiva dove lo mettevano esposto alle intemperie, non c'erano finestre, solo delle fessure per l'aria. “Le guardie erano la cosa peggiore per come ci trattavano”.
Osama che già disegnava, si è concentrato su questo, parlava della sua detenzione e quella dei suoi compagni e poi dava i suoi fogli ai familiari quando lo venivano a trovare o a qualche detenuto che veniva rilasciato.
Che cosa hai imparato in prigione? “Che volevo che il mio messaggio arrivasse fuori. Che non avremmo mai lasciato la Palestina – e lo insegno ogni giorno ai miei figli – e che chi mi circondava erano degli occupanti, e non ci poteva arrendere perché in fondo ci aspetta la libertà”.
Osama, trascorre due anni e mezzo in prigione, dove cerca di capire il suo posto nel mondo. “Prima di essere arrestato parlavo dei detenuti, poi ho capito che ero uno di loro e questo mi ha motivato molto”.
“Ogni giorno era segnato da un'umiliazione o da una tortura, mio padre poteva venirmi a trovare, ma mia madre no, mi controllavano la cella in continuazione. Prima ero un ragazzo libero, dopo il mio unico sogno era di mangiare un pomodoro”.
Ricorda il freddo e il caldo nella cella punitiva dove lo mettevano esposto alle intemperie, non c'erano finestre, solo delle fessure per l'aria. “Le guardie erano la cosa peggiore per come ci trattavano”.
Osama che già disegnava, si è concentrato su questo, parlava della sua detenzione e quella dei suoi compagni e poi dava i suoi fogli ai familiari quando lo venivano a trovare o a qualche detenuto che veniva rilasciato.
Che cosa hai imparato in prigione? “Che volevo che il mio messaggio arrivasse fuori. Che non avremmo mai lasciato la Palestina – e lo insegno ogni giorno ai miei figli – e che chi mi circondava erano degli occupanti, e non ci poteva arrendere perché in fondo ci aspetta la libertà”.


La famiglia

Dopo due anni e mezzo viene rilasciato durante uno scambio, ha messo su famiglia, si è dato una calmata ma non ha smesso di disegnare e di fare resistenza attraverso le vignette scoprendo ogni giorno la forza delle parole.
“Voglio che i miei figli sappiano cosa sia la resistenza, ma nessun genitore vuole che un figlio muoia. Tuttavia dobbiamo combattere, perché anche se non lo vedremo noi, alla fine i nostri figli o i figli dei nostri figli possano vivere tranquillamente”.
Che cosa rappresentano per te le vignette? “E' il mio modo di esprimermi, come per i giornalisti a Gaza che raccontano ogni giorno, nonostante tutto quello che sta accadendo, le vignette sono un modo per diffondere conoscenza su quello che sta accadendo qui da noi”.
Disegnare per resistere
“Ho fatto molte vignette sulla pace, ma ora non ci riesco proprio, dopo il 7 ottobre, qualcosa si è rotto, ed è di vitale importante tenere alta l'attenzione sul massacro che è in corso. Faccio anche parte di Cartooning for Peace, e dentro ci sono anche colleghi israeliani, ma temo in questo momento di non riuscire ad averci a che fare”.
“Non mi fraintendere non ho problemi con gli ebrei, ma con gli israeliani, e ci sono state molte vignette contro di noi”.
Nel 2014 Netanyahu lo ha accusato di antisemitismo per una vignetta. “Ma parlava dei diritti violati dei palestinesi”. Nello stesso anno ha ricevuto il Premio Anti-Corruzione dal presidente palestinese Mahmoud Abbas.
Nel 2016 è stato minacciato dai coloni sui social media, perché firmava i disegni. “Ora se posso evito di farlo”. Nel 2017 gli israeliani hanno fatto irruzione in casa sua, hanno preso i disegni, distrutto l'archivio, strappato i fili di internet. “Io non c'ero, così hanno arrestato mio fratello, dicendo che dovevo recarmi dalla polizia”.
Si era appena sposato e non voleva problemi, ha lasciato che lo interrogassero per ore. “Era un periodo particolare perché molti ragazzi si avvicinavano ad Hamas”. D'allora ha tenuto un profilo basso, ma continua a disegnare. Perché col disegno riesce a tradurre la sua rabbia, la frustrazione di quel ragazzo che come migliaia di altri in Palestina, non trova pace.



  22 gennaio 2024