prima pagina pagina precedente



La dimensione del sacro in architettura
Anna Marini



Il 22 aprile e il 6 maggio scorsi, si è svolto, all'Università Cattolica del Sacro cuore di Milano, il convegno dedicato al rapporto tra spazio sacro e architettura. Un percorso articolato in due incontri, organizzato dalla Fondazione Crocevia, in collaborazione con Costruire per il Sacro associazione culturale, Domus Europa centro studi di geocultura e con l'Ordine Architetti PPC di Milano, nonché arricchito dagli interventi di autorevoli voci provenienti dal mondo accademico e religioso. L'iniziativa, patrocinata dall'Arcidiocesi di Milano e dall'Università Cattolica, e segnalata dal Collegio architetti e ingegneri di Monza, ha offerto interessanti spunti di riflessione nell'approfondire, in un'ottica interdisciplinare, tematiche estremamente attuali e che coinvolgono diversi attori nelle trasformazioni territoriali. Dei diversi argomenti, qui vogliamo trattare quello incentrato sulla conservazione e sull'innovazione dell'ambiente urbano relativamente agli spazi riservati al culto.
Come testimonia l'esperienza dell'architetto Edoardo Milesi, titolare dello studio Archos, fondatore e docente della Scuola permanente dell'abitare, Siena - Bergamo – Haiti, l'architettura risponde a due bisogni primari dell'uomo: l'alloggio e il linguaggio. Essa interviene creando e modificando spazi, che possono divenire, in un secondo momento, luoghi. Benché in apparenza sinonimi, questi termini afferiscono a due concetti profondamente diversi: se lo spazio, infatti è misurabile, il luogo non lo è di per sé, ma lo diventa quando consente l'instaurarsi di relazioni.
Questa differenza infatti sussiste tra la dimensione prettamente geometrica e l'altra, che sottende la presenza fisica di individui coinvolti in un dialogo non solo verbale.

In ambito religioso le relazioni interagiscono sensibilmente con le forme del costruito, con i volumi e le masse, con i materiali e con quell'elemento fondamentale dalla grande valenza teofanica: la luce. Proprio in questo è chiamato ad intervenire l'architetto, nel'offrire ad una comunità uno spazio che le relazioni renderanno luogo sacro, luogo di catarsi. Un edificio di culto assolve due funzioni principali, quella liturgica in cui i fedeli si riuniscono nell'assemblea, nell' ?êêëçóßá (ekklçsía, da cui il termine “chiesa”) e quella territoriale, nell'identità in cui si riconosce la popolazione locale. I due aspetti trovano espressione nel concetto di forma, negli episodi stilistici che divengono landmark di un territorio, ma racchiudono anche in sè i principi di un costruire bioclimatico. Il campanile che, ad esempio, svetta, e sulla verticale anela a raggiungere il divino, non è solo un elemento di grande enfasi simbolica, ma, funzionando come una perfetta torre del vento, anche un ottimo sistema di raffrescamento.

Lo spazio riservato al culto ospita momenti di grande coinvolgimento e per questo al progettista spetta un compito tanto delicato quanto complesso. Come testimonia l'architetto Francesca Leto, progettista e liturgista, la funzione religiosa si esplica concretamente nel rito, nella ripetizione di formule e di azioni stilizzate, che divengono fortemente simboliche e trasformatrici. Il rito è una performance, esattamente come il teatro, ma a differenza di questo, comporta sempre una trasformazione di stato e non solo emotiva. Ne sono esempi la celebrazione del matrimonio e quella eucaristica. All'altare i futuri sposi giungono celibe e nubile e al termine della funzione sono congiunti; Il momento solenne della consacrazione, tramutando il pane e il vino nel corpo e nel sangue di Gesù Cristo, unisce i fedeli in comunione con il Signore.

Le parole, ma ancor più il corpo, abitano lo spazio sacro, permangono in quella dimensione intima e collettiva, che attraverso la ripetitività e la stilizzazione, permuta le azioni quotidiane in gesti trasformatori. In ambito religioso l'architetto non deve solo creare uno spazio adatto ad ospitare questi gesti, ma anche permettere che in un determinato ambiente si parli simbolicamente.

chiesa de la Consolacion, a Cordoba

La splendida chiesa de la Consolaciòn, a Cordoba, con la sua apertura in copertura che veicola la luce in direzione dell'altare, dimostra quanto l'azione del progettista diventi strumento della potenza divina: è attraverso la sua mano, infatti, che si compie la simbologia trasformatrice. Dalla realizzazioni di imponenti cattedrali, fino alle moderne chiese avveniristiche, la figura dell'architetto è cambiata profondamente nel corso dei secoli, così come rilevanti modifiche hanno interessato anche le tecniche costruttive in edilizia. Con esse sono mutate anche le forme di partecipazione della comunità alla costruzione dei templi e di conseguenza le relazioni del manufatto religioso con il territorio su cui insiste.

Se fino al Rinascimento, infatti, l'architetto era anche sacerdote, e la popolazione era coinvolta in tutte le fase del processo realizzativo, in seguito interviene un nuovo elemento a rivoluzionare i compiti affidati ai diversi attori impegnati nella costruzione di complessi religiosi. A regolare la fase esecutiva si inserisce quindi un nuovo elemento, articolato e custodito nelle mani dell'architetto: il progetto. Annunciata dall'Alberti nel De pictura, la dicotomia tra elaborato grafico e “fabbrica” (le maestranze qualificate e non più la comunità che realizza la chiesa) costituisce un punto fondamentale quanto cruciale nella storia del'architettura, e nel processo edilizio si rivela come generatore di possibili incoerenze tra l'edificato e il contesto nel quale l'insediamento, o il solo manufatto, si inserisce. Se non rispondenti alle necessità dei fedeli, i luoghi di culto si impongono come contenitori vuoti nei quali è sempre più difficile percepire la presenza del divino. Se trascurati in fase meta progettuale, certi vincoli dettati dalla devozione popolare, come il'ubicazione di una statua votiva, troppo spesso considerati di secondaria rilevanza, possono creare importanti criticità alla fruizione dello spazio da parte dell'utenza.

Sono problemi con cui ci si scontra quotidianamente questi, afferma don Valerio Pennasso responsabile dell'Ufficio nazionale dei beni culturali e della nuova edilizia. Sono problemi, questi, che, se emergono in ritardo, possono ostacolare una serena partecipazione alla vita liturgica della comunità. Per questo occorre che il progettista, il liturgista e i fedeli compiano un processo di convergenza e sviluppino assieme soluzioni adeguate. Ma il compito dell'architettura non si esaurisce al presente, al contrario, deve prevedere uno spazio adatto anche alle esigenze di domani.

E con il restauro di un tempio cristiano, per adeguarlo ai dettami del Concilio Vaticano II, si è cimentata l'architetto Jessica Astolfi, docente al Dipartimento di Architettura, ingegneria delle costruzioni e ambiente costruito al Politecnico di Milano. L'architetto Astolfi ha tradotto il passaggio dall'antico al nuovo nella chiesa di Santa Maria in Lacchiarella, in un intervento durato sette anni, seguito da quattro parroci diversi e che ha regalato una sorpresa iniziale. La piccola chiesa del XVII secolo nascondeva sotto il pavimento in beola di fiume un meraviglioso travertino, sotto la navata centrale un camposanto e sotto l'altare, un secondo dedicato al dio Mercurio. Il tempio cristiano insisteva su un precedente pagano. Nell'adattare lo spazio del culto alla liturgia prevista dal Concilio Vaticano II l'architetto si è trovata ad intervenire innanzitutto sulla balaustra, ritenuta un ostacolo, oggi, nella relazione tra il sacerdote e i fedeli. Il secondo elemento ad esigere un intervento radicale è stato l'altare. I materiali hanno giocato un ruolo da protagonisti in questo lavoro di restauro: un blocco in Candoglia dei primi del '900, trattato con una bocciardatura grossolana alla base e sempre più sfumata lungo il manufatto, intercetta in un' allusione simbolica la luce, conferendo l'adeguata illuminazione all'altare. Grande rilevanza è stata riconosciuta all'illuminazione artificiale, grazie alla realizzazione di tre differenti impianti, per supportare efficacemente i diversi momenti delle celebrazioni, evitando i fastidiosi fenomeni di abbagliamento.
Il restauro della chiesa si è rivelato un'ottima occasione per dare un nuovo volto ad uno spazio non più adatto ad ospitare lo spirito della comunità cristiana consentendo altresì di svolgere anche durante i lavori di restauro i momenti solenni della vita liturgica della comunità.

Anna Marini


EVENTUALI COMMENTI
lettere@arengario.net
Commenti anonimi non saranno pubblicati


in su pagina precedente

  26.05.2016