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Le ville gentilizie lombarde
Anna Marini


Villa Arconati

Martedì 13 giugno, alla Casa del Volontariato di Monza, l'ingegner Edoardo Radaelli ha esposto al pubblico gli interventi che ha realizzato e quelli in progetto per le ville gentilizie lombarde. Un evento di grande interesse, questo organizzato dal Gruppo Botanico Amici del Verde, che ha rappresentato un'occasione per promuovere la conoscenza delle meraviglie architettoniche locali.

Il patrimonio di tutta la regione, sostiene il relatore, è molto ricco e per la conferenza sono stati selezionati alcuni edifici che insistono sull'area compresa tra le province di Milano, Monza e Lecco. Nella cultura, in Italia, si investe solo l'1% del PIL, constata Radaelli: una cifra irrisoria, se paragonata al 6% della media europea; un dato allarmante, che costituisce una forte criticità per chi è chiamato ad occuparsi della conservazione e della gestione dei beni culturali. E nonostante si tenti di reperire le risorse con attività organizzate all'interno degli edifici storici, gli strumenti a disposizione risultano sempre troppo scarsi.

Pur sorgendo in siti tra loro poco distanti, le ville gentilizie presentano differenze piuttosto consistenti. Tuttavia molte di loro sono accomunate da un tratto distintivo, da una particolare tecnologia costruttiva con cui venivano realizzate le volte: è il “cannicciato”, costituito da una struttura portante in legno (le centine) e da uno stuoiato di canne, successivamente rivestito da strati di intonaco.

Villa Arconati

Il primo edificio, al quale l'ingegnere dedica gran parte dell'esposizione, è la Villa Arconati di Bollate. Splendida e maestosa, è nota anche come la piccola Versailles. Nell' imponente facciata domina oggi un tassello giallo ardente: è il risultato delle campionatura di colore eseguita per il restauro, spiega Radaelli. Di fronte ad una serie di stratigrafie cromatiche risalenti ad epoche differenti, il tecnico si chiede quale sia la tinta più appropriata da riproporre per l'edificio e la scelta del colore è tutt'altro che marginale.
Nel cortile d'onore, ai lati dello scalone che conduce al piano nobile, spicca un elemento di grande impatto visivo: due balaustre appaiono subito nella loro imponente bellezza. Tuttavia, mentre una è stata realizzata in pietra di Viganò da Pietro Pirovano, l'altra, pur richiamando la geometria della prima, è un trompe l'oeil cioè consiste in un dipinto a parete. Si introducono così le illusioni di Villa Arcontati che si mostrano in tutta la loro magnificenza nella sala Galliari. Il superbo affresco del mito di Fetonte rivela immediatamente la professione dei suoi autori: scenografi, i fratelli Galliari, come il padre, che aveva curato la scenografia della prima della Scala.

Villa Arconati

Ma non si esauriscono qui le particolarità della villa. La sua biblioteca ha infatti custodito il Codice Atlantico di Leonardo da Vinci (oggi all'Ambrosiana) e quando è stata recentemente ampliata, ha accolto la struttura della nuova copertura sopra quella precedente: le travi seicentesche non sono state rimosse e risultano così tuttora visibili.

Villa Arconati

Restaurando la Legnaia della villa si è proceduto ottemperando alle prescrizioni dettate dalla normativa antisismica. Il solaio, perché potesse contrastare le spinte orizzontali generate dal sisma, è stato irrigidito con doppi tavolati di legno e rinforzato con bandelle in acciaio; i travetti, ammalorati, sono stati affiancati da nuovi profili metallici.
Nella Corte Nobile il prolungamento dell'ala settentrionale della villa è costituito dalla Limonaia. Il fronte monumentale dell'edificio, scandito da superfici vetrate, ospita al centro la Nicchia di Bacco. Gli scavi condotti sotto la pavimentazione in terra battuta hanno rinvenuto, a circa 20 centimetri di profondità, una rete di canaline impiegate nel sistema di riscaldamento ed una caldaia alimentata a legna per la produzione di vapore, da utilizzare come fluido termovettore. La copertura, interessata da crolli parziali, è stata sostituita e mantenuta trasparente grazie all'impiego del vetro; gli intonaci a base di calce sono stati rimossi e ripristinati con altri a base cementizia.

Villa Bagatti Valsecchi

Lo stile dell'ottocentesca Villa Bagatti Valsecchi di Varedo è molto sobrio: lo rivelano sia i prospetti esterni, che gli interni. Anche qui, come in numerosi altri casi, le cartoline d'epoca testimoniano decorazioni che oggi non esistono più: ne è un esempio lo splendido mosaico della fontana, di cui resta solo qualche lacerto.
Per la villa comunque agibile, si prevedono, anziché un restauro totale, una serie di interventi parziali. Alcune colonnine della baltresca hanno subito un crollo e richiedono un'opera di messa in sicurezza. Alla galleria delle armi l'intonaco della volta, ormai decoeso, è stato ripristinato con bisturi ed altri strumenti di piccola dimensione.
L'intervento sulla pavimentazione, in origine alleggerita e coibentata con gli scarti della lavorazione del mais, ha previsto la rimozione e il trattamento degli apparati lignei.
Le statue, in buona parte in pietra arenaria, e diffuse in tutto il parco, sono state pulite con acqua.

Villa Greppi

Alla Villa Greppi di Monticello le colonne sono un elemento caratteristico: ottogonali e in pietra, sembrano contraddire le tradizioni costruttive locali, che prevedevano per questi elementi l'impiego del laterizio. Al piano terra le stanze sono dipinte con tinte forti, che si attenuano invece ai livelli superiori: qui lo stile dominante è il neoclassico e nelle raffigurazioni alle pareti spiccano i riferimenti ai giardini romantici. Caratteristica dell'intero edificio è la varietà cromatica e di stile nei diversi ambienti.
Destano apprensione le attuali condizioni dei soffitti, che, enormemente critiche, richiedono un intervento immediato: al piano terra il cannicciato è in parte crollato e nella stanza nobile un medaglione è caduto.

Villa Brivio

I materiali e i colori della cinquecentesca Villa Brivio Crosti Colombi a Nova Milanese richiamano quelli della Reggia di Monza. La facciata è neoclassica, il giardino in stile romantico è vivacizzato dai rilievi prodotti da movimenti di terra artificiale. Nella sala della biblioteca è stata introdotta una soluzione efficiente e di notevole impatto: le cosiddette “librerie strutturali”, che, assicurate tramite pendini alle travi di ferro, non gravano sul pavimentazione.

Villa Borromeo d'Adda

La settecentesca Villa Borromeo d'Adda ad Arcore testimonia ovunque la ricerca minuziosa del dettaglio da arredamento dell'architetto Emilio Alemagna, nonché il suo inconfondibile stile barocchetto. Il verde reca invece la firma di Balzaretti, al quale si deve la progettazione dei giardini in via Palestro a Milano. Nel salone di ingresso è rimasto solo un tavolo dell'arredamento studiato da Alemagna: tutti gli altri pezzi sono stati venduti dalla proprietà. Sulla volta in muratura l'affresco richiama i falsi architettonici e le illusioni di Villa Arconati. Nel salone ovale la tappezzeria è andata interamente perduta, rimangono invece i tondi e gli elementi decorativi, su cui si sta attualmente operando. Sono stati messi in sicurezza e a breve saranno restaurati i lampadari in vetro di Murano e nel contempo si sta procedendo al recupero di modanature, pitture e gessi. Nella sala da pranzo si apprezza un dispositivo dall'evidente utilità: un montavivande; un altro elemento che contraddistingue la villa è il palchetto dei musicisti. Anche il parco, molto esteso e popolato da numerose e pregiate essenze, sarà presto oggetto di intervento.

Un vero e proprio gioiello del complesso architettonico è la Cappella “Vela”, unico bene rimasto tuttora di proprietà dei Borromeo. La cupola ottagonale è stata progettata sull'impianto di quella di San Satiro a Milano, e a Lorenzo Vela si deve la decorazione delle pareti con otto lesene che alternano la colonna del bene e quella del male. Di Vincenzo Vela sono invece la Madonna addolorata e la formella alla base dell'altare: uno stiacciato, ossia un rilievo appena accennato.

Cappella “Vela”

Il monumento funebre dedicato alla contessa Maria Isimbardi è stato restaurato nel 2002-2003, tuttavia, nonostante il trattamento, alcuni dettagli non sono potuti emergere. Così la famiglia Borromeo ha ritenuto opportuno sostenere un ulteriore intervento, che, unitamente a quello compiuto per la Limonaia di Villa Arconati, rappresenta il cavallo di battaglia dell'ingegner Radaelli. La mano destra della statua manca infatti delle dita. Questa “mutilazione” sottrae alla figura gran parte dell'espressività conferitale, nell'intenzione del suo autore, anche dagli arti superiori: la donna infatti è effigiata nel momento del trapasso, ma non ancora irrigidita nella morte. L'intervento di ricostruzione, possibile solo grazie all'esistenza del gesso originale con cui è stata realizzata la statua, è stato risolutivo senza essere irreversibile. Le dita, infatti, sono state applicate con una calamita e una punta di colla rimuovibile con acetone. Il monumento a Maria Isimbardi torna finalmente ad esprimere tutta la sacralità del momento nel quale la contessa è stata immortalata, senza che venga intaccata la materia originale dell'opera.

Anna Marini


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  12.06.2016