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Le nostre vite
a cura di Umberto De Pace

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Ci sono storie di uomini e donne che vale la pena raccontare, leggere o ascoltare. Attraverso le loro semplici e dirette parole scopriamo quello che alle volte si nasconde tra le pieghe delle nostre vite o che accade oltre la siepe delle nostre certezze e paure. Sono storie di vita, fiabe dei nostri tempi, testimonianze irriverenti, poesie sussurrate, lacrime versate, tracce di strade inesplorate. Sono fonti di gioia, dolore, tenerezza, disperazione, felicità e tristezza, specchi in cui è riflessa l'umanità del nostro tempo.
Libero di navigare sulle onde
“Mohammed”
racconto breve di Elena E. Grebaz
tratto dal libro il “Il profilo delle voci
edizioni Rupe Mutevole – collana Poesia 2013


Adesso il giudice mi guarda da sopra gli occhiali. Allora, Mohammed, come stai? Sto bene, signora. E lei? Sorride. Ho ricominciato la scuola. Va tutto bene. Ho rivisto i miei compagni di classe per un attimo, ma ora sto a un piano diverso. Mi hanno spostato. Nuove facce, stessi discorsi. No, davvero, non mi dispiace, meglio così. Del resto l'ho combinata grossa l'anno scorso. Quello là non lo lasciavo in pace. Però hanno detto anche cose non vere. Sì, lo so, sono stato dispettoso, ma mica me ne accorgo, sa? A me sembra tutto un gioco, poi esagero e tac! La prof di storia me l'ha detto un milione di volte. Stai attento, Mohammed, qui non si scherza, ci sono regole da rispettare. Ci provo io, ma poi non so cosa accade, ci casco sempre. Mi provocano in continuazione. Mi fanno sentire diverso. Ti guardano con occhi cattivi, come a puntarti un dito in mezzo alla fronte per marchiarti col fuoco del loro odio. Mio padre dice che dobbiamo vivere qui, che c'è lavoro per lui e così tiriamo avanti bene con mamma e i fratellini. Ma a me manca il mio paese. Vedesse, signora, il cielo del mio paese. I suoi grandi occhi scuri se ne starebbero lì spalancati a guardare su, in alto. Fa caldo, certo, ma soffia un vento che ti avvolge come le braccia di una madre. Vedesse, signora, il mare del mio paese.

mare del Marocco

Un oceano azzurro che non si può immaginare, sabbia finissima su cui mi sdraio e passo le ore guardando le navi in lontananza. Vorrei essere un pesce in quell'acqua o un uccello in quel cielo. Libero di navigare sulle onde, di volare tra le nuvole. Le città, i volti, la mia gente. Là, anche per strada mi sento a casa. Sono uno tra i tanti. Inosservato cammino sui marciapiedi, entro nei negozi. Qui mi guardano con sospetto. Al supermercato c'è sempre qualcuno che mi segue, che mi controlla. Sono un sorvegliato speciale. Leggono sul mio volto, la differenza. Il colore della pelle. Il mio italiano insicuro. Misurano il mio respiro. A volte mi prende una rabbia che vorrei spaccare tutto. A nulla servono i discorsi dei professori. Oh, ne dicono di cose quelli! Meravigliose parole che riempiono le loro bocche e svuotano il mio cuore. Alcuni si arrabbiano con me, altri cercano di parlarmi. Nessuno mi capisce fino in fondo. Vedesse, signora, con quanta cura si occupano della propria coscienza. E poi c'è lei. Lei che è rimasta al piano superiore. Lei che non riesco più a vedere. Che forse non pensa nemmeno più a me. Va tutto bene, signora. Quest'anno farò il bravo. Nessun casino. Ho promesso. Davvero. Vedesse, signora, con quanta tristezza la mattina me ne vado a scuola.


Ragazzi di scuola
Elena E. Grebaz (dall'introduzione ai suoi racconti)

Una scuola media di provincia,
come ce ne sono tante.
Pareti scrostate e porte sbattute.
Campanelle e intervalli.
Sempre uguali
e sempre diversi i giorni del calendario.
Tanti volti nelle classi affollate.
Occhi che guardano, bocche che attendono.
Libri sul banco, sogni nella testa.
A volte li puoi sentire,
come il ticchettìo della pioggia sui vetri sporchi.
Altre volte non li ascolti.
Di certo ci sono, palpitano come lucertole al sole,
come rane nelle pozzanghere.
Crescono silenziosi come funghi dopo un temporale.
Appassiscono se nessuno li coglie.

Nove ragazzi raccontano i loro risvegli.
La vita è altrove.
Questo è il momento per soffrire.




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  13 luglio 2013