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Gocce di intolleranza
4. Monza che cambia
Umberto De Pace


E' un pomeriggio qualunque. In bicicletta percorro via Borsa. Di fronte a me, una donna in auto, rallenta, per poi sorpassare con un colpo di clacson, l'auto ferma sulla carreggiata.
L'autista, a cui era indirizzata la suonata – un signore distinto in giacca e cravatta – scende di scatto dalla macchina, imprecando contro la signora, addebitandole l'antico mestiere, per poi risalire borbottando con la signora che sedeva al suo fianco.

Manca poco alle sette di mattina. Sto tornando dalla stazione lungo via Foscolo. Non c'è ancora grande traffico sulla strada. Presso uno degli attraversamenti pedonali, un anziano signore con il bastone da passeggio è in attesa di attraversare. Mi fermo tranquillamente e lo lascio passare. Come sbucato dal nulla, un furgone, mi scarta di lato e oltrepassa in velocità le strisce pedonali. Benché fosse ancora lontano, poco più di un metro, l'anziano signore si guarda intorno spaventato, per poi proseguire guardingo l'attraversamento.
Riprendo in modo sostenuto la marcia, lampeggiando con gli abbaglianti al pirata della strada, raggiungendolo e accostandolo al successivo semaforo, in cui il rosso intimava l'alt.
“Ma non ha visto che c'era una persona che stava attraversando!” – esclamo al guidatore del furgone – un tipo normalissimo sui 35-40 anni il quale, in modo calmo e naturale, mi risponde:
“ Certo. Ma non pretenderà che mi fermi di fronte a ogni cosa. E poi come facciamo a lavorare?” Ero pronto a tutto, ma francamente la risposta mi lascia senza parole … il tempo di riprendermi, una frazione di secondo – “Ma cosa sta dicendo ….” – scatta il verde, il furgone parte, più nulla gli impedisce di macinare lavoro.

La incontro per strada. E' un po' di tempo che non ci vedevamo e quasi non la riconosco.
“Ma da quand'è che porti il velo? Non te l'ho mai visto indossare” – le chiedo mentre l'abbraccio e la bacio, salutandola, come sempre.
“E' da un po' di tempo. Sai sono una donna sola, con figli. Non è così semplice per me ”.
“Perché, ti è accaduto qualcosa? Chi ti ha importunato?”.
“Italiani, certo. Ma anche miei connazionali. Ti vedono sola e si sentono autorizzati ad essere invadenti, se non maleducati. Con il velo, sta tranquillo che non mi si avvicina più nessuno. Mi sento più sicura”.

Poco tempo fa un nonno, in un paese della Brianza, con il nipotino sul passeggino, percorreva un marciapiede ai margini di una strada. Lungo il percorso, un furgone di un'azienda – elettrica o telefonica, non ricordo – gli blocca il passaggio, parcheggiando a ridosso del marciapiede. Il nonno, costretto a scendere sulla strada, superato il furgone, incrocia l'operaio intento a lavorare subito lì vicino e lo richiama, dicendogli di posteggiare in altro modo il suo mezzo, per permettere alla gente di passare.
In tutta risposta, l'operaio – in stretto dialetto brianzolo – rimbrotta il nonno, dicendogli che è stufo di andare a lavorare per mantenere la pensione a quelli come lui.

E' da domenica scorsa, dopo aver appreso la notizia dell'uccisione di Abdul a Milano, che mi tornano alla mente queste banali storie di vita quotidiana. Vissute qui a Monza o che raccontano della nostra Brianza. Gocce di intolleranza, certo, semplici gocce. La scommessa è fare in modo che non diventino né un rigagnolo, né un ruscello, né un torrente, né tantomeno un fiume in piena.

Umberto De Pace

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1. Sicurezza e informazione
2. Volontari alla sicurezza e ronde
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  21 settembre 2008