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MONZESI
Pier Franco Bertazzini
Intervista di Carlo Vittone sul  libro MONZESI - cinquanta personaggi della città


Pier Franco Bertazzini    Nato ad Asti nel 1921, sposato con due figli dai quali ha avuto tre nipoti. Studi al Liceo classico “Zucchi”, poi laurea in Lettere all'Università Statale di Milano. In guerra è sottotenente di artiglieria sul fronte francese e dopo l'8 settembre ripara in Valtellina. Docente di Materie Letterarie per quasi quarant'anni nelle scuole statali monzesi, chiude la carriera come preside dell'Istituto Magistrale “Carlo Porta”. In seguito è preside della scuola media “Artigianelli” (da lui fondata) e dal 1985 al 2000 del Liceo Linguistico “Oxford” . Entra giovanissimo nella Democrazia Cristiana, dapprima come semplice militante di base. Nel 1969 è vicesegretario della sezione di San Gerardo e l'anno seguente è eletto consigliere comunale con un alto numero di preferenze, assumendo la carica di Assessore all'Economato e Patrimonio. Nel giugno 1971 diventa sindaco di Monza in una giunta monocolore democristiana, carica mantenuta fino al 1975. Alle successive elezioni riceve 5800 preferenze e diventa assessore alla Cultura e Sport nella giunta Chiarino, poi è ancora assessore alla Cultura e Sport dal 1979 al 1983 nella giunta Cirillo. Dal 1983 abbandona ogni carica. Negli anni si è conquistata una solida fama di critico d'arte contemporanea, con numerose rubriche e recensioni sulla stampa locale. E' membro Lions del Monza Host presso il quale ha curato il “premio di arti plastiche e figurative per giovani artisti”, una vetrina nazionale che ha visto diciannove edizioni tra il 1976 e il 1997. E' stato per circa vent'anni rappresentante del Comune di Monza presso il consiglio d'amministrazione della SIAS. Rettore dell'Università per Anziani di Monza dall'a.a. 1984/85, anno di fondazione, ad oggi. Autore di libri per la scuola, il Ministero per i Beni Culturali lo ha nominato Ispettore onorario per la tutela dei beni monumentali per la provincia di Milano. Nel 1983 riceve l'”Ambrogino d'oro” del Comune di Milano per meriti culturali. Nel 1996 gli viene conferito il “San Giovanni d'oro” dal Comune di Monza.

foto di Fabrizio Radaelli


E' certamente una delle figure più note di Monza, sia nel mondo della scuola che in quello della politica. In entrambi ha occupato ruoli fondamentali per molti decenni. Ma si presenta sempre con grande semplicità e privo di qualsiasi traccia di albagia. Quando gli chiediamo di parlarci della sua Monza di gioventù, ci pare che un velo di malinconia attraversi i suoi occhi ancora ben vispi.

Eh, sì, me la ricordo la Monza d'un tempo. Una città di sessantamila abitanti, la metà di oggi, con la sua vasta periferia ancora rurale e i grandi campi dove si coltivavano il frumento e il mais. Pensi che talvolta capitava di vedere i cavalli e talvolta qualche mucca che giravano per le strade del centro. Era una città più piccola, più umana, ci si conosceva tutti. Poi, nel corso degli anni sono arrivate due grandi ondate migratorie, che l'hanno fatta crescere fino alle dimensioni attuali.

Perché due?

Beh, non solo la grande massa di lavoratori dal sud Italia, negli anni '50 e '60. Bisogna anche considerare quella che io chiamo l'ondata dei “colletti bianchi”, il ceto impiegatizio che magari lavorava a Milano, ma sceglieva di vivere a Monza perché riteneva che qui ci fosse una migliore qualità di vita.

Ma Lei ricorderà bene anche la Monza precedente la guerra. Per esempio la Monza del periodo fascista.

Sì, certo. Per esempio il mio maestro di scuola, che cercava in tutti i modi di indottrinarci. Devo dire che in apparenza il regime godeva di grande consenso. Quasi tutti a parole si dicevano fascisti. Però ricordo bene anche qualche oppositore, gente che allora rischiava molto. Io ero di condizioni sociali modeste e abitavo in una grande casa popolare. E due condòmini di quel casermone, uno del PCI e uno del PPI, distribuivano materiale clandestino ai vicini di casa. E poi ricordo un sacerdote della parrocchia di San Biagio che non voleva si andasse a catechismo vestiti da balilla. Ecco, quelli erano sprazzi di antifascismo, il cui valore si sarebbe capito dopo.

E poi scoppiò la guerra.

Io ero ufficiale di artiglieria e facevo parte delle truppe di occupazione italiane in Francia. Fu la mia fortuna.

Perché?

Perché l'8 settembre mi trovavo in una zona lontana dai tedeschi. Così il nostro comandante ci disse semplicemente che eravamo sciolti dal giuramento e di cercare di metterci in salvo. Ci liberammo delle divise e tornai a piedi fino ad Asti e poi a Casale Monferrato. Lì riuscii a salire su un treno per Milano, ma dovetti saltar giù prima di entrare in stazione, perché temevo che qualcuno potesse aspettarci. Arrivai infine a Monza e poi mi rifugiai per qualche tempo in Valtellina.

Contatti con la Resistenza?

Quando avevo attraversato il Piemonte per tornare a casa avevo visto i primi nuclei partigiani in formazione a Boves e anche a Sondrio ebbi qualche contatto. Ma nei giorni della Liberazione ero già tornato a Monza.

E l'interesse per la politica?

Nell'immediato dopoguerra mi sono dedicato solo al lavoro e alla famiglia. Avevo sì la tessera della Democrazia Cristiana, ma non pensavo certo ad un impegno politico in prima linea. Solo alla fine degli anni '60 ho cominciato ad assumere alcuni incarichi, prima nel partito poi in Comune.

Nel pieno del boom economico.

Oh, sì. E se penso a cos'era Monza in quegli anni e alla successiva terribile deindustrializzazione! Si immagini che negli anni '70 a Monza la Philips aveva 5000 dipendenti, la CGS ne contava 1200, la Sada 400, la Pastori e Casanova 400, la Singer 1400 e potrei continuare ancora. Anche in conseguenza di alcuni episodi di tensione sociale, in Comune si decise di istituire una “partita” al Lavoro, una sorta di informale assessorato, e fu affidato a me. Così spesso mi trovai a mediare tra imprenditori e sindacati, in situazione a volte assai delicate.E lo stesso accadde quando ero sindaco.

Già, ci parli della sua esperienza politica al vertice della città.

Quando sono stato nominato sindaco la mia giunta fu chiamata “il monocolore del cemento” perché la città cresceva a dismisura e noi dovevamo far fronte alla richiesta di case e servizi con nuove costruzioni. Credo di aver governato, nel bene e nel male, in un periodo molto difficile in cui il boom demografico aveva sconvolto l'equilibrio della città. Anche il mondo della scuola, da cui provenivo, aveva enormi problemi. Le scuole “scoppiavano” e si doveva ricorrere ai doppi e ai tripli turni.

Ma l'accusa che vi veniva mossa era giustificata?

No, non credo. E' vero che rilasciavamo molte concessioni ai privati, ma ci sforzavamo anche di creare grandi progetti di edilizia popolare, che forse oggi si farebbero diversamente, ma che all'epoca cercavano di sanare la “fame” di case. E poi introducemmo il pagamento degli oneri secondari di urbanizzazione, per cercare di dotare quelle case dei necessari servizi. Mi ricordo ancora che qualcuno mi attaccava in pubblico dicendo che così davamo le case ai “terroni”.

Come accade oggi per gli extracomunitari?

Sì, più o meno.Comunque la mia amministrazione (assessore l'ing. Giuseppe Galbiati) concesse sempre e soltanto licenze sulla base delle leggi e dei regolamenti in vigore.

E poi perché dopo il 1983 ha abbandonato ogni incarico amministrativo e politico?

Beh, un po' perché ho cominciato a sentire “strani” discorsi che non mi piacevano, un po' perché dopo circa 13 anni di attività a quei livelli mi sentivo un po' come un limone spremuto. Le due cose sono coincise. Ma soprattutto perché non mi sono mai sentito un politico di professione, non ho mai aspirato a una carriera politica, ma ho sempre inteso il mio impegno come spirito di servizio per la collettività. Io ero solo un insegnante prestato alla politica, e una delle cose di cui più vado fiero è che anche negli anni in cui ero sindaco e assessore non ho mai smesso di insegnare odi fare il dirigente scolastico. Quello era il mio vero lavoro.

E comunque si sarà anche creato anche tanti nemici per questo suo impegno.

Nemici no, avversari sì. Ma veda, erano anche altri tempi. Pensi che quando ero sindaco uno dei miei più acerrimi avversari era Vladimiro Ferrari, capogruppo consiliare del PCI. Un avversario spesso scomodo per me, perché era sempre molto puntuale, preciso, aggiornato. E ci scontravamo spesso, anche se in un clima di grande rispetto. Oggi Vladimiro Ferrari non sta bene, è a casa malato e io vado molto spesso a trovarlo e a interessarmi delle sue condizioni. E sa perché lo faccio?

No, ce lo dica.

Perché so benissimo che lui avrebbe fatto la stessa cosa con me. Insomma ci si rispettava e ci si stimava.

E oggi è del tutto in pensione?

Certo ho ridotto il mio impegno, ma un poco lavoro ancora. Dirigo l'Università degli Anziani di Monza e ci tengo un corso annuale di letteratura italiana. Quest'anno, per esempio, leggo e commento le più belle liriche di “Alcione” di Gabriele D'Annunzio. Da alcuni anni il Comune di Arcore mi ha incaricato di dirigere gli analoghi corsi istituiti da quell'amministrazione. Inoltre continuo a collaborare con giornali locali e riviste specializzate, trattando in particolare argomenti di educazione, di storia locale e di arte con particolare attenzione alla pittura lombarda contemporanea.

Beh, professore, per essere un pensionato….

Carlo Vittone


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 18 gennaio 2003