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RIFLESSIONI
Umberto Puccio


Ogni anno alla fine di agosto si torna a parlare della scuola italiana in occasione dell'inizio del nuovo anno scolastico: naturalmente il ministro di turno estrae dal cilindro "nuove" proposte con cui nascondere e bypassare il problema di una riforma organica dell' Istruzione PUBBLICA italiana a tutti i suoi livelli. Problema che, per la Secondaria superiore, ci trasciniamo dalla fine degli anni Sessanta del secolo scorso: o meglio, che si sta "liquidando" attraverso un processo strisciante di progressiva PRIVATIZZAZIONE.

A parte il problema della formazione, reclutamento e distribuzione del personale insegnante e del funzionamento o meno delle "novità" introdotte dalla cosiddetta "Buona scuola" (che non riesce affatto a sciogliere il nodo gordiano di una pluridecennale gestione clientelistica e al ribasso del meccanismo di cui hanno goduto e su cui hanno proliferato i sindacati del settore), ecco la proposta di portare a quattro gli anni delle Superiori, senza però toccare la struttura attuale, in termini di lezioni frontali e orari di cattedra, ripartizione in classi di età e anni scolastici, contenuti e finalità dei vari "insegnamenti", organizzazione del lavoro (individuale e/o di équipe), modalità delle verifiche (compresa la finale, quell' "Esame di Maturità" che si continua a cambiare in maniera velleitaria e inutile!) e, last but not least, finalità generale (quella che un tempo si definiva "asse culturale").

Si discute invece, più o meno dottamente, di "compiti a casa", di diritti delle famiglie in relazione ai pasti scolastici, di abbigliamento degli studenti in un' ottica sempre più individualistico-familistica di contrapposizione e di impossibile mediazione con l' interesse generale di cui dovrebbe farsi interprete un'Istituzione dello Stato (vedi anche la questione dell'obbligatorietà o meno dei vaccini!).

Eppure sul piano della teoria e della pratica pedagogico-didattica le soluzioni ci sarebbero. Per esempio, la strutturazione in "moduli" della Secondaria superiore che: 1) responsabilizzerebbe il singolo studente nei confronti del proprio percorso di studio; 2) risolverebbe il problema delle "bocciature" e dei ridicoli "debiti e crediti formativi"; 3) abituerebbe lo studente a porsi nei confronti degli altri non in termine di coetaneo, bensì di compartecipe di una finalità comune (e quindi lo educherebbe ad un effettivo lavoro di gruppo, cosa che ora manca nella mentalità e nel comportamento degli italiani, a parte lo slogan propagandistico del "fare squadra").

E' però evidente che tali (o simili) soluzioni sono destinate a rimanere lettera morta, se non si risponde alla domanda più generale: cosa vuole la società italiana (i suoi cittadini e la sua classe politica) dalla Scuola? Farne un parcheggio o un luogo di occupazione lavorativa per gli addetti e di divertimento per gli studenti? Farne un puro e semplice serbatoio di mano d'opera più o meno adeguata alle esigenze del "mercato"? Oppure, un luogo e uno strumento della trasmissione culturale intergenerazionale? Ho paura però che, oltre che verso "una società senza padre", si stia andando verso "una società senza trasmissione culturale". O meglio, verso una società che, spogliandosi dell' onere della responsabilità pedagogica, la affidi, per comodità ed ignavia, ad Internet e alla Rete.

Umberto Puccio


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  30 settembre 2017