Igiene lessicale
Umberto Puccio
E' vecchia quanto il mondo la discussione "filosofica" sul linguaggio e le parole. E sul rapporto tra parole, conoscenza e realtà "esterna". Senza voler affrontare tutte le questioni racchiuse nella cosiddetta "epistemologia" o voler abbozzare risposte alla domanda delle domande, se esiste una realtà indipendente dal soggetto pensante e definente, mi sembra che oggi sia necessario (di fronte all'affermarsi della cosiddetta "infosfera" e al mare di parole in cui siamo continuamente immersi e da cui rischiamo di essere travolti) riflettere criticamente sulle parole che usiamo, su COME le usiamo e per QUALE FINE. Insomma, cosi come andiamo periodicamente dal dentista per una seduta di igiene dentale cioè per farci pulire i denti, dovremmo abituarci ad una quotidiana seduta di IGIENE LESSICALE, cioè di pulitura delle parole che entrano dalle nostre orecchie, passano tra i nostri denti o attraverso la tastiera del computer e dello smartphone. Feuerbach, ne "L'essenza del cristianesimo" arrivava alla semplificazione riduttiva materialistica che, grosso modo, può essere banalizzata nella massima: noi siamo ciò che mangiamo. Potremmo ribaltarla affermando: NOI SIAMO LE PAROLE CHE USIAMO? Senza arrivare a questo estremo "nominalistico", possiamo però porci alcune domande: 1) Siamo noi che "usiamo" le parole, oppure siamo noi ad "essere agiti" e condizionati dalle parole stesse? 2) A quale dinamica (o a quali diverse, e talvolta opposte, dinamiche) obbedisce il continuo processo di produzione, eliminazione, manipolazione, trasformazione, svuotamento delle parole? Si può parlare di una "fisica del linguaggio" e quali sono, se ci sono, le sue leggi? 3) Si possono analizzare e definire le parole A SECONDA DELLA FINALITA' CON CUI VENGONO USATE? Come strumento di conoscenza o di "dialogo" e "interrelazione" e comunicazione personale e sociale? O come arma contundente per offendere e annientare l'altro, per sottometterlo alle proprie volontà e per raggiungere una posizione di predominio e di potere? Parto dal fondo, dall'ultima domanda, perché riguarda le PAROLE DELLA POLITICA. Una prima considerazione è che oggi esse vengono usate non nel primo senso e nella prima finalità (cioè per servire alla costruzione di una società "migliore"), ma nel secondo senso e nella seconda finalità. Ormai questo sembra l'atteggiamento "normale" ed è quasi scontato che il confronto politico avvenga tramite slogan e "duelli" verbali all'ultimo sangue, in cui il turpiloquio "politico" è di prammatica. Non esiste più alcuna distinzione di registro e di campo lessicale: le parole vengono estratte dal proprio registro specifico (sportivo, familiare, sentimentale, sessuale, etc.) e ridotte a suggestioni emotive solleticanti le pulsioni più basse e incontrollate dell'individuo. Questa trasformazione è avvenuta con l'affermarsi dei massmedia ed in special modo della televisione come strumento quasi completamente esclusivo della comunicazione politica. E' veramente stupefacente che gli iniziatori e maggiori responsabili di questa trasformazione, i vari "picconatori", contestatori del "politichese" e "sindacalese", fautori del "parla come mangi" e dei vari Ring e "duelli" televisivi si lamentino oggi del basso livello del linguaggio e del comportamento dei politici attuali. Ed è ancor più avvilente che chi non si adegua, viene considerato privo di "carisma" e di capacità comunicativa e persuasiva: insomma un patetico relitto del passato, legato ad una sorpassata visione "romantica" della politica, un inguaribile "idealista" o (il che è peggio!) "moralista". Le parole della politica si possono distinguere in quattro categorie: 1) Quelle che sono state svuotate dei loro contenuti semantici specifici, ma hanno (e vengono usate per la loro) VALENZA POSITIVA "a prescindere" (esempio: democrazia e democratico; popolo e popolare; etc). Queste sono buone per tutte le stagioni e per tutte le bocche: non vogliono dire nulla ma portano fieno in cascina; 2) Quelle che hanno acquisito per convenzione ideologica prevalente VALENZA POSITIVA (esempio: concorrenza, libero mercato, globalizzazione, flessibilità, etc); 3) Quelle che hanno in sé o per "declassamento" storico VALENZA NEGATIVA, a prescindere da un' analisi del loro contenuto semantico (esempio: dittatura e dittatore; totalitarismo; comunismo; pianificazione; etc.); 4) Gli "ismi", che danno VALENZA NEGATIVA, a termini di valenza opposta (esempio: populismo e populista; democraticismo; etc. Rimando a successivi contributi per ciascuna di queste quattro categorie. Umberto Puccio Condividi su Facebook Segnala su Twitter EVENTUALI COMMENTI lettere@arengario.net Commenti anonimi non saranno pubblicati 27 ottobre 2017 |