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Pino Lella e il lago che non c'è
Franco Isman


Pino Lella alla Casa Alpina di Motta, dopo l'otto settembre 1943, non c'è proprio stato, lo so per conoscenza diretta, perché io c'ero, l'ho già scritto, e Lella non è stato in grado di esibire nemmeno una fotografia del soggiorno a Motta suo e del fratello Mimmo.

Ho già scritto anche della totalmente assurda descrizione della discesa dal Pizzo Groppera di Pino con gli sci, con la violinista miracolosamente appiccicata alla sua schiena.
Sullivan racconta che i due erano arrivati con gli sci fino a “meno di una pallata di neve” dagli alberi e cioè dal confine.
In realtà, la discesa fino al lago che non c'è, già perché la diga è stata costruita dopo la guerra ed inaugurata nel 1962, può avvenire soltanto fino al punto segnato sulla carta, e qui infatti c'è attualmente un impianto di risalita, e non può certamente arrivare fino all'attuale diga, oggi ma non allora, enclave svizzera in territorio italiano, attraversando cinque o sei profondi valloni. Lo si vede ancora meglio dalla fotografia, scattata con l'attuale lago.

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Tre chilometri in linea d'aria con circa1200 metri di dislivello la discesa fino a fondo valle, poi sei chilometri nella neve per arrivare al sentiero che da 1790 metri sale ai 2169 del passo della Furgga, unico valico sulla cresta di confine. Altro che “poche decine di metri”.

Un romanzo dovrebbe essere più verosimile, ma non è questo il punto.
La cosa grave ed inaccettabile è che Sullivan abbia la pretesa, assecondata da Pino Lella ed ora cavalcata dal figlio di questi Mike, che sia tutto vero, creando così un eroe che non c'è.

Sullivan si è ispirato, oltre che ai miei articoli, al libro, ancor più fantasioso del suo, “Don Luigi Re nella leggenda” di Enrico Bertazzi, pubblicato nel '97 ad oltre trent'anni dalla morte di don Luigi, dove si fantastica di un rastrellamento delle SS. Ed allora anche Sullivan parla di questo rastrellamento, al comando addirittura del colonnello Walter Rauff, capo della Gestapo di Milano, arrivato a Motta con una camionetta ed alcuni camion pieni di SS. Del tutto simile nei due libri la reazione ammirata del comandante tedesco alla vista della francescana cameretta di don Luigi.
In realtà la carrareccia da Madesimo non era percorribile da auto, nemmeno fuoristrada e, cosa più importante, si era effettivamente ipotizzato e temuto questo rastrellamento che invece non c'era stato, come racconto nel capitoletto “IL TESORO” di un mio vecchio e altre volte citato articolo. Tutta fantasia.

La storia dell'arruolamento di Pino Lella nella nazista Organizzazione Todt, a parte l'enorme svarione di considerare che ci fosse ancora l'armata italiana in Russia quando la sventurata campagna si era conclusa un anno prima con la battaglia di Nikolajewka, di cui abbiamo parlato nell'articolo precedente, è anomala.
Lella, classe 1926, compiuti i 18 anni il 1º giugno 1944, non aveva alcun obbligo militare, infatti il famigerato Editto Graziani del 9 novembre 1943, che stabiliva la pena di morte per chi non si fosse arruolato nelle file del nuovo esercito della RSI, oltre a rappresaglie contro le famiglie, riguardava le classi 1923, 1924 e 1925.
Ma, secondo Sullivan, Pino Lella si arruolò volontario, anzi si fece raccomandare per entrare, nella nazista Organizzazione Todt.
Che Pino e Mimmo Lella facessero parte della Resistenza, come dice il libro, non ha alcun riscontro oggettivo, nessun attestato e negli archivi dell'ANPI (Organizzazione Nazionale Partigiani d'Italia) non ne esiste traccia.

Qui non si intende esprimere alcun giudizio morale. C'era la guerra che aveva appena visto la terribile Ritirata di Russia con centomila morti, c'erano i bombardamenti: a Gorla, un sobborgo di Milano, una scuola elementare era stata sventrata dai B24 americani con 184 bambini morti oltre a 20 tra insegnanti, bidelli e la direttrice. C'era anche la guerra di Liberazione contro i nazisti e la repubblica di Mussolini.
Ognuno faceva quello che riteneva suo dovere fare o anche soltanto cercava di sopravvivere.
Così molti partigiani erano andati sulle montagne per liberare l'Italia dalla dittatura fascista, ma altri solamente per sfuggire all'editto Graziani. E fra coloro che combattevano per la RSI c'era chi, nato sotto il fascismo, considerava Mussolini un dio e combatteva per rimanere fedele all'alleato tedesco, tradito dall'armistizio, e chi si era rassegnato ad arruolarsi per evitare guai peggiori.
Nessun giudizio morale ma, di nuovo, non inventiamo eroi che non ci sono.

Franco Isman


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  9 novembre 2019