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l'arrivo in piazza grande


Corso Canalchiaro a Modena
Dal portico alla Piazza
a cura di Enzo Lodesani


Corso Canalchiaro a me è sempre sembrato un nome un po' pretenzioso. Infatti, definire “corso” questa strada dall'indirizzo e dalle dimensioni irregolari che si insinua verso il centro della città non é altro che un maldestro tentativo di rivaleggiare con Corso Canalgrande la strada della nobiltà modenese. Ma non è di questo che voglio parlare. Datemi la mano e vi accompagnerò dentro il cuore di Modena proprio passeggiando per Corso Canalchiaro, ma mi raccomando piano piano perché la lentezza è maestra di vita.

modena dall'alto

Imbocchiamo dunque il corso da dove una volta c'era la porta di ingresso alla città e dove i “padlòt” esigevano il dazio. Subito costeggiamo il Seminario Metropolitano che si appoggia alla Chiesa S.Francesco e guardando avanti vediamo spuntare tra i tetti la Ghirlandina, è là che arriveremo alla fine della nostra passeggiata. In questo tratto il Corso deve ancora prendere forma, è un largo e asimmetrico incrocio di strade che si addentrano lateralmente nella città. Non importa il loro nome, basta dire che richiamano la vita medioevale della città. Per me non sono altro che un ricordo lontano, di quando mi parevano rami di una intricata foresta urbana piena di segreti, di possibili avventure, di fughe, di scorribande. Ma stiamo all'oggi, proprio all'inizio del lungo portico che ci condurrà nel cuore della città ha sede da quasi un secolo il ristorante Fini: un vero tempio della gastronomia modenese. Il negozio di generi alimentari da cui partì l'avventura dei ristoratori mantiene inalterati, ancora oggi, gli arredi. Fu lì che iniziarono a fare i tortellini da vendere alla borghesia modenese e fu lì a fianco che venne aperto il ristorante. Ma non facciamoci tentare e andiamo; il portico ci proteggerà dal sole. Prima di proseguire è bene dire che la strada, così anomala nella struttura urbana dell'antica Mutina, nasce sul percorso di un canale che scorre sotto la sede stradale. La strada non è quindi stata disegnata da un urbanista che aveva alzato il gomito con il lambrusco. A proposito, e le osterie? Ce n'erano parecchie in questa zona e il lambrusco la faceva da padrone. Certo, questo non è un portico, per così dire, sontuoso, le colonne sono fatte con i mattoni e rivestite dal tipico intonaco color ocra e solo nelle case che rivendicano una qualche pretesa nobiliare sono decorate nei capitelli. Il susseguirsi delle colonne sono anche un ottimo nascondiglio per sfuggire alla caccia degli avversari o per tendere agguati, specie nei pomeriggi invernali quando la nebbia nascondeva tutto e acquattati dietro la colonna ascoltavamo il rumore dei passi della nostra vittima che si avvicinava inconsapevole e sicura. Il portico, come vedete, segue la frammentazione delle case che nella maggioranza dei casi mostrano l'appartenenza alla modesta borghesia dei mestieri. Infatti, avevano sede le botteghe delle corporazioni poi sul finire dell'ottocento il portico divenne la vetrina dei commerci. Ricordo bene una di queste, metà laboratorio artigiano e metà bottega dove facevano bella mostra candelabri, brocche e altri mille oggetti di ottone, si trovava nella laterale che vediamo qui a sinistra. Un vero artista dell'ottone. Il negozio aveva un retro adibito ad officina che dava su un angusto cortiletto ove erano ammucchiati materiali non utilizzati. Oltre al titolare vi lavoravano alcuni apprendisti, bambini che l'orfanotrofio della città indirizzava al lavoro. Ricordo bene questi bambini con la divisa dell'orfanotrofio e i capelli tagliati quasi a zero, mi colpivano quelle teste rasate, non sapevo perché ma soffrivo per quella che a me sembrava una umiliazione. A volte Anceschi ci faceva entrare nel retro a guardare i torni, le frese che funzionavano grazie una serie di trasmissioni a cinghia. I bimbi rasati ci guardavano ma non dicevano mai nulla. Non so per quante generazioni hanno lavorato l'ottone, certo è che negli anni sessanta la bottega chiuse per sempre.

corso canalchiaro

foto d'epoca di canalchiaro

Come vedete sono numerose le strade che incrociano il corso. Per questo lo spazio ridotto tra una incrocio e l'altro ha impedito l'affacciarsi sul corso di palazzi prestigiosi. Le case cercavano spazio verso l'alto e sul retro dove i cortiletti interni sono numerosi. A volte sono veri e propri budelli dove il sole riesce ad entrare solo a mezzogiorno. Riconoscerei ancora quell'odore di muffa che si avvertiva quando entravamo nei cortiletti durante le nostre scorribande, per non parlare dei passaggi segreti tra una casa e l'altra, un vero intreccio che legava intimamente la comunità. Siamo quasi a metà del corso e la strada si incurva verso destra e in questo tratto lo spazio tra le strade laterali si fa più ampio ed ecco che i palazzi iniziano a distinguersi. Qui c'è un bel fabbricato del '400 di fronte due palazzi di fine ottocento e a seguire due bei palazzi settecenteschi. Per la cronaca nel secondo ci abita il nostro Big Luciano. Certo, oggi non ci sono le botteghe che rispondevano a tutte le necessità della città, il portico è un susseguirsi di negozi di abbigliamento, di profumerie, di bar, di gioiellerie e di poco altro. Però quello che non è cambiato è il piacere di passeggiare sotto i portici. Specie al sabato pomeriggio Canalchiaro diventa la strada che conduce i modenesi al centro. Non è ancora lo struscio che si fa lungo la Via Emilia, ma, come dire, è l'invito, è il predisporre all'incontro, al piacere di ritrovare conoscenti, di fermarsi a parlare. Ora però il corso si restringe, il portico rimane solo sul lato destro, anche le strade laterali si fanno più anguste. Non vi ho ancora detto dell'acciottolato. Un tempo le strade del centro erano tutte pavimentate con i sassi di fiume. Secchia e Panaro fornivano questo materiale e non c'era bisogno di trovare altre soluzioni. Poi con la ricostruzione del dopo guerra è arrivato l'asfalto e i sassi sono spariti. Da un po' di anni si sta tornado indietro e quando saremo alla fine di questo percorso potrete vedere com'era Modena prima della ventata modernista.

antico negozio in canalchiaro

Siamo arrivati alla fine del portico, non c'è più spazio e i palazzi si confrontano a pochi metri di distanza, la strada piega decisamente verso destra e si restringe come il cannello di un imbuto. Prima di andare avanti spostiamoci sull'altro lato per ammirare questo fabbricato del quattrocento con delle logge che gli danno un'aria austera e assieme briosa. Oltrepassato il palazzo il corso si divide in due per finire da un lato dentro Piazza Grande e dall'altro per dare vita a Corso Duomo. Ecco amici siamo in “Piazza”. Questa è la piazza per definizione: “A vagh a Mòdna” (Vado a Modena) questa è la frase che i modenesi pronunciano per dire che si recano in “piazza” ed in ciò che vi sta attorno, questa piazza e non altre. Frase che vuole indicare il centro, il cuore, il luogo che racchiude la storia della città, ove si svolgono tutti gli eventi importanti per la città. Ecco, mettiamoci in questo angolo: abbiamo lasciato alle spalle Corso Canalchiaro e possiamo abbracciare con lo sguardo tutta la piazza.

mercato in piazza grande

Non voglio parlarvi del Duomo che è patrimonio dell'umanità, della Ghirlandina che lo sovrasta, né del Palazzo del Comune, né della “Preda Ringadora”, né della “Buonissima”, voglio solo ricordare che su questo acciottolato ho combattuto battaglie, ho costruito pupazzi di neve, ho sventolato bandiere, ho alzato cartelli, ho ascoltato oratori, ho cantato canzoni di lotta, ho buttato coriandoli, ho fatto il vitellone, ho tirato notte con infinite chiacchiere, ho pianto per la perdita di persone care, questa è la Piazza! Proprio un “bel momento” per i modenesi.

una antica metopa del duomo


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  11 dicembre 2004