Ritorno all'Argentiera
a cura di Giorgio Casera
a causa dei recenti sviluppi della guerra in corso, la Società ha deciso di sospendere l'attività estrattiva La miniera de l'Argentiera viene chiusa e viene pertanto a cessare il rapporto di lavoro in corso La Direzione si riserva di eventualmente contattarla al termine del conflitto Questa lettera che avevo trovato nelle carte di mio padre, perito minerario, era datata giugno 1943. Gli Alleati erano già sbarcati in Sicilia e si temeva che un prossimo obiettivo fosse la Sardegna. Allora mio padre, libero da impegni di lavoro, trasferì la famiglia nella casa dei nonni, in provincia di Belluno, dove aspettammo la fine della guerra. Io, che all'epoca avevo circa sette mesi, mi allontanai così dal luogo natio senza conoscerlo. Alla fine del 1946, alla ripresa dell'attività estrattiva, mio padre fu destinato alle miniere del sud della Sardegna (vedi Ingurtosu e Piscinas) dove si formarono le mie prime radici così dimenticai l'Argentiera. E' uno dei più antichi giacimenti di piombo e zinco (argentifero, da qui il nome della località) della regione: così recitano le guide del Touring nella zona, infatti, sono stati trovati resti di forni fusori di epoca romana. Lo sfruttamento moderno comincia intorno al 1880 e prosegue fino alla metà del '900. Scendendo verso il paese ritrovo nella memoria i racconti sulla vita a l'Argentiera dei genitori e dei fratelli maggiori nelle lunghe serate invernali degli anni '50 (senza TV, che nostalgia!). Sulla sinistra si vedono i resti di alcuni pozzi di estrazione; il principale e più vecchio (pozzo Podestà) è più in basso dietro l'abitato, verso la montagna. Per arrivarci bisogna attraversare il villaggio. Le case sono di un'architettura molto semplice, costruite nell'arco di un'ottantina d'anni senza variazioni. Sono posizionate senza un ordine prestabilito, mescolandosi con gli impianti della miniera. Ma l'edificio più rappresentativo della miniera è la laveria meccanica, costruita in legno pregiato, che fu preferito alla pietra perchè più leggero e più facile da assemblare e sostituire. Il nucleo centrale è di origine ottocentesca, e lo si individua nel disegno dei cornicioni e nella lavorazione delle finestre. La osservo da diverse posizioni e ne ammiro le dimensioni, la tecnica costruttiva, l'originalità (si potrebbe dire anche il coraggio) nella scelta del materiale di costruzione. Sebbene alla fine del XIX secolo fossero già disponibili l'acciaio, la ghisa, il cemento etc, i progettisti hanno voluto utilizzare il legno per praticità, sicuramente, ma in questo modo hanno lasciato ai posteri un bell'esempio (unico?) di archeologia industriale. La laveria è situata nel fondo della stretta valle, a dominio di un bell'arco di spiaggia ghiaiosa cinta da rupi, la spiaggia di S. Nicola. La sabbia è, come detto sopra, piuttosto grigia, il mare è blu, molto profondo. Il minerale proveniente dal pozzo Podestà veniva portato nella laveria. Qui passava attraverso i frantoi, poi al crivello e infine al reparto di flottazione, tra polvere e frastuono che rendevano le condizioni di lavoro nella laveria non meno insalubri che nelle gallerie. Dalla laveria il minerale frantumato e setacciato passava sul pontile di roccia e di qui, nei tempi più recenti, sulle banchine in cemento armato, che consentivano il carico su imbarcazioni con più di cinque metri di pescaggio. Di queste banchine non c'è ormai quasi traccia. I carrelli carichi di minerale scorrevano lungo due bracci ricurvi, che ancora si intravedono, e scaricavano il loro contenuto direttamente nella stiva delle imbarcazioni. E' ancora visibile il percorso fatto dai vagoni carichi di minerale verso l'approdo sulla spiaggia. Il minerale veniva caricato su barche a vela che attraccavano sulla spiaggia di S. Nicola e trasportato a Porto Conte. Qui veniva trasferito su battelli che lo trasportavano verso i porti del Nord. A ridosso della laveria si trovavano altri edifici, sia funzionali all'attività della miniera (la falegnameria, l'officina meccanica, i magazzini delle lampade a carburo e degli attrezzi) sia abitazioni. Nella piazza adiacente (il centro del villaggio) la residenza del direttore, circondata da un giardino di palme, e altre abitazioni: riconosco con una certa emozione, dalle descrizioni che ho ricevuto, la casa dove sono nato. Non dura a lungo: riprende il sopravvento la curiosità del turista, ancorchè speciale. Continuo a passeggiare, a lungo, per stradine ed edifici diroccati fino alla parte alta del paese. Da qui posso osservare l'intero ambiente naturale che circonda l'Argentiera, la macchia mediterranea in terraferma e, girate le spalle, letteralmente, al passato, il sempre fascinoso mare della Sardegna. Percorro una vecchia strada di miniera che porta a Capo dell'Argentiera, uno sperone a picco sul mare, appena più a sud, che domina splendide rocce e mi godo una magnifica vista sulla costa da Capo Caccia (Alghero) a Capo Falcone (Stintino). Soffia un forte e fresco vento primaverile ma rimango un bel pezzo a guardare il panorama: così l'immagine mi resta impressa per molte ore dopo la ripresa del viaggio. 3 aprile 2005 |