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da: Giacomo Correale
inviato il: 26/08/01 21.01
Soggetto: Buttiglione sulla scuola

Nell'intervista  di ieri a Repubblica sull'argomento della scuola, Buttiglione fa questo ragionamento:

"Uno studente oggi costa allo Stato 10-11 milioni l'anno...La retta in un istituto privato molto qualificato, mettiamo il Leone XIII a Milano o il Massimo a Roma, si aggira intorno agli otto milioni... Se lo Stato paga  anche per la privata, per esempio i due terzi, diciamo intorno ai sei milioni, lo Stato risparmierebbe il posto-scuola lasciato vuoto dall'alunno che non frequenta gli istituti pubblici".

Evidentemente Buttiglione non è molto forte nelle questioni gestionali. Altrimenti avrebbe dovuto seguire quest'altro ragionamento:

Se lo Stato perdesse un certo numero di alunni nelle scuole pubbliche, i suoi risparmi sarebbero scarsi o dilazionati nel tempo. Infatti gran parte dei costi dell'istruzione sono fissi, cioè non variano con l'aumentare o il diminuire degli allievi. Tra l'altro la Moratti  ha garantito l'assuzione in pianta stabile di 60 mila insegnanti,  aumentando i costi fissi. Conclusione: i risparmi dello Stato nel caso che pochi o molti alunni passassero dalla scuola statale a quelle private sarebbero insignificanti.

In compenso lo Stato si addosserebbe una spesa in massima parte aggiuntiva, (o un mancato introito fiscale) di sei milioni per ogni studente privato. Per questi ultimi il costo della scuola si ridurrebbe da circa otto milioni a circa due milioni. Ma due milioni sarebbero ancora una cifra eccessiva per tante famiglie di reddito medio-basso (oggi le tasse scolastiche si aggirano sulle 150mila lire), che già sono oberate dal costo dei libri (almeno 500mila lire annue per figlio studente). Quindi queste famiglie, anche se cattoliche, continuerebbero a mandare i figli nelle scuole pubbliche.  In sostanza il provvedimento si risolverebbe in un aumento della spesa pubblica,  ma ad esclusivo vantaggio dei ceti più ricchi.

Se il governo volesse insistere su questa linea, ma senza aumentare la  spesa pubblica, avrebbe due sole vie da battere: la prima, licenziare parte del personale del Ministero della Pubblica Istruzione. La cosa potrebbe anche avere senso,  ma in pratica sarebbe difficile da accettare e attuare, almeno nel breve termine.

L'altra soluzione, di più rapida attuazione, sarebbe quella di ridurre gli standard della scuola pubblica, che al contrario richiederebbe ulteriori stanziamenti (quanto meno per aumentare gli stipendi  degli insegnanti, investire massicciamente nella loro fomazione, premiare il  merito, eccetera). In sostanza, per ridurre la spesa per l'istruzione pubblica e finanziare chi può permettersi la scuola privata, occorrerebbe peggiorare  il livello della scuola pubblica. Come volevasi dimostrare.

Così Buttiglione, forse per troppa fede, rischia di apparire in malafede.

Giacomo Correale



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