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Il "dono"
di Franco Isman


Il dono - foto di Franco Isman   Il dono - Carlo Crivelli

Sono stato all'inaugurazione del cadregone.
Ho sentito i discorsi del sindaco e di Luigi Rovati, presidente di Rottapharm e poi la brillante presentazione di Philippe Daverio con il suo eterno sigaro, che al Parco non dava poi fastidio.

Non conoscevo Luigi Rovati, forse di vista, si tratta di un non certo giovane gentiluomo, decisamente all'antica, cui l'arte moderna deve fare un certo effetto, simile a quello che spesso fa a me, come ho scritto ne “Il cadregone”, ma che è stato trascinato, forse più che convertito, dall'amore per una giovane e carina nuora.
Era emozionato, ha detto che si considera monzese essendosi trapiantato qui da quarant'anni (io da sessanta) e che era fiero e felice di fare questo dono alla sua città.
Ha ricordato con orgoglio quando da giovane andava ai convegni in tutto il mondo e ne tornava con la valigia piena di appunti ma anche di accordi che, un po' per volta, hanno portato la sua azienda alla attuale preminente posizione.
Ha raccontato di come ancor oggi quando, nelle più disparate parti del mondo, si trova in mano una scatoletta di medicinali con la dicitura “Rottapharm Monza” si commuove.
Ci ha detto come questo sia merito di tutti i dipendenti, che sono la maggior ricchezza della società e ci ha invitato ad essere fiduciosi nel futuro, nonostante le grandi difficoltà della attuale congiuntura economica.
Ha concluso dicendo che voleva ripetere simbolicamente l'atto del dono al Signore della Città, come si faceva nei tempi antichi, ed ha consegnato al sindaco il modellino del… cadregone, aggiungendo che in antico l'offerente si genufletteva e che lui lo faceva spiritualmente.

Bene. Io non credo che questo dono sia stato fatto per disfarsi di un oggetto, anzi un oggettone, ingombrante, come è stato scritto da qualcuno e non mi vedo proprio questo vecchio gentiluomo che si sollazza a torturare inutilmente i poveri animali, come si potrebbe pensare dallo scatenamento di verdi e animalisti, anche perché, particolare non trascurabile, ma ignorato dai manifestanti, nella sua azienda la cosiddetta vivisezione non è mai stata praticata.

Franco Isman




Carlo Arcari
October 31, 2005 6:51 PM



caro Isman, tu sei padrone di credere anche a babbo natale, ma io so per certo che la Rottapharm sperimenta, come tutte le industrie farmaceutiche, i suoi nuovi farmaci sugli animali. Lo so per certo perché ho letto testi di letteratura medico-farmaceutica, disponibili su internet per chiunque abbia voglia di cercarli, dove sta scritto a chiare lettere che i suoi farmaci antiartrosi sono stati sperimentati su topi, ratti, conigli e cani. Mia moglie ha lavorato anni nell'industria farmaceutica nei laboratori di ricerca e può testimoniare, come migliaia di tecnici come lei, che gli animali che
subiscono i test vengono sempre uccisi per indagare nei loro organi dove sono andati a finire e in quali concentrazioni i principi attivi dei farmaci. Sempre uccisi. I topi e i ratti vengono in genere
ghigliottinati con una speciale macchinetta. Ai conigli vengono provocati tumori per vedere se i farmaci sono efficaci. Devo andare avanti o ti basta così? Mia moglie ha smesso di fare questo lavoro perché la cosa non gli piaceva e oggi fa la farmacista, ma sull'industria farmaceutica ha idee più precise delle tue. Il fatto che il signor Rottapharm sia, a tuo parere, un vecchio gentiluomo e ti stia molto simpatico non basta per convicerci del fatto che nella sua ditta gli animali non vengano "torturati e uccisi" come avviene nelle altre aziende del settore. Come non basta a convincermi che "il dono", cioè il cadregone, non sia in realtà un ben riuscito riciclaggio che fa più comodo a lui che a Monza. Spero tu gli abbia prestato il fazzoletto per asciugarsi le lacrime. Ciao



Franco Isman
October 31, 2005 8:31 PM

Caro Arcari,
non credo a babbo natale e, per essere sinceri, neppure alla verginità della Madonna.
Ma cerchiamo di essere chiari, di non fare confusione e di non ingenerarla negli altri.
Allora, in primo luogo, diciamo che vivisezione e sperimentazione sugli animali sono due cose differenti e non è lecito fare di ogni erba un fascio.
Ho affermato, dopo essermi documentato, che in Rottapharm non si è mai praticata la vivisezione, non che non si sia mai fatta sperimentazione sugli animali.
 
Mi sembra totalmente assurdo scandalizzarsi perché i farmaci, prima dell'utilizzo sull'uomo, vengono sperimentati sugli animali. O pensi che le medicine si possano progettare a tavolino per poi, senza alcuna sperimentazione, immetterle sul mercato?
Oh Arcari, mi sembra sia tu che credi ai prodigi.
 
La sperimentazione sugli animali è, con assoluta evidenza, indispensabile e, quindi, moralmente lecita. Dopodiché è anche evidente che i poverini ne possano soffrire, e che poi vengano tutti uccisi e ne venga fatta… l'autopsia. O no?
Che la cosa ad un cuore sensibile, non sono ironico, possa ripugnare, lo capisco benissimo, anch'io non vorrei farlo e, forse, non ne sarei capace. Ma questo nulla toglie alla ineluttabilità di questa sperimentazione.
 
Comunque legioni di animali vengono costantemente uccisi per altri scopi: per essere mangiati in primis, ma anche per scopi molto più fatui, come per il gusto di cacciarli o per farne delle pellicce, e qui posso condividere l'opposizione degli animalisti.
Quanto alla cosiddetta vivisezione, nel cui termine si comprendono anche crudeli esperimenti che però vivisezione non sono, deve certamente essere per quanto possibile evitata. Ma, ripeto quanto ho già scritto, non credo ad una categoria di sadici che si divertono a far soffrire inutilmente gli animali.

Franco Isman
 

Carlo Arcari
October 31, 2005 9:36 PM

Franco, io la penso così. I Verdi hanno fatto bene a richiamare l'attenzione sulla inopportunità di accettare "il dono" autopromozionale della Rottapharm. Io sono d'accordo con loro perché la
sperimentazione sugli animali mi ripugna, esattamente come mi ripugna quella che viene fatta sull'uomo nel terzo mondo dalle multinazionali farmaceutiche. La vivisezione è altra cosa dici tu, ma allora che cos'è far ammalare gli animali per vedere se poi i farmaci li guariscono? Ma non stiamo a discutere di questo, ognuno ha le sue sensibilità.
Detto questo io non ho dubbi che "il dono" come lo chiami tu sia in realtà un riciclaggio. Hai chiesto al tuo amico, il gentiluomo Rottapharm, perché il suo cadregone non è rimasto a Londra nel parco-museo per il quale
era stato pensato e costruito? Perché mai non è rimasto a Roma dove ha svernato per alcuni mesi? Perché deve rimanere nel Parco di Monza per sempre? La risposta è una sola fino a prova contraria:  non sapeva dove metterlo e ha trovato la giunta Faglia. Buon per lui.



Dario Chiarino
November 01, 2005 12:45 AM

Dono a parte

Dal 1992 l'Italia ha una legge (Decreto legislativo n. 116) sulla protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici. La precedente risaliva addirittura al 1931 ed il nuovo decreto venne promulgato solo per dare attuazione a diverse Direttive CEE, tra cui la n. 609 del 1986; da ciò si può capire il ritardo scientifico dell'Italia su tale argomento. Ma nel D.L. 116 vi è un eccessivo ampliamento dei campi in cui è possibile utilizzare sperimentalmente animali da laboratorio: infatti, se ne autorizza l'uso per "tutti i prodotti che servano".
La maggior parte degli animali non è usata per scoperte mediche ma per prove di sicurezza (tossicologia, cancerogenesi, teratogenesi …) non solo, purtroppo, in campo farmacologico, ma per tutti i prodotti usati quotidianamente, dai detersivi ai pesticidi ai coloranti e così via. Allo stesso tempo però la legge non dà per scontato che l'uso di animali sia l'unico mezzo per procedere nella ricerca scientifica; i meccanismi di autorizzazione implicano infatti che i responsabili della ricerca debbano spiegare perché, in un singolo esperimento, non si faccia uso di metodi definiti alternativi e cioè di un altro metodo scientificamente valido, ragionevolmente e praticamente applicabile, che non implichi l'impiego di animali.
La possibilità di non usare animali, non è dunque generale ed ideologica, bensì concreta e tutelata da una legge che richiede di utilizzare il minor numero di animali, scegliendo quelli con minore sviluppo neurologico (animali appositamente allevati, in stabilimenti autorizzati: l'uso di randagi è severamente proibito). Il Decreto 116 stabilisce inoltre alcune regole su come debbano essere tenuti gli animali da laboratorio (cure veterinarie, misure delle gabbie, temperatura dell'ambiente …), non solo per proteggerli, ma soprattutto per garantire l'attendibilità e la riproducibilità dei risultati. Questa legge riconosce anche gli interessi degli animali, che non sono dunque soltanto dei meri strumenti da laboratorio, e che questi interessi possano entrare in conflitto con quelli degli umani (anche se, ovviamente, in questo conflitto, gli interessi degli animali vengono talvolta in secondo piano). Dal punto di vista teorico, è importante il riconoscimento di un conflitto, di una situazione quindi non scontata, ma problematica, anche dal punto di vista morale, e della presenza di più punti di vista, uno dei quali è quello animale.



Carlo Capuana.
November 01, 2005 3:24 AM

Inserito nel Parco di Monza, dopo essere stato prima a London e poi a Roma, il Cadregone fa pensare a uno di quei "mobiletti" in stile che continuano a cambiare posto in casa in occasione di un nuovo arredo, trasloco o ristrutturazione senza che il proprietario voglia mai separarsene, o per
considerazioni di carattere affettivo, o perchè spera che col tempo acquisti valore. Una volta però capita l'inutilità dell'oggetto il proprietario non potrà fare altro che disfarsene, spacciandola magari come un'opera d'arte.
Acquistata la "patacca", o magari ricevuta in dono di Natale, il nuovo proprietario all'inizio magnificherà l'opera ma una volta compresa l'inutilità, nonchè la bruttura del mobiletto, non potrà che rifilarla a qualche altro sventurato.
A maggior ragione a Monza è proprio il caso di dire che, all'offerta della patacca, "la sventurata" rispose: "si...grazie".
Personalmente dopo aver visto criticamente il Cadregone non mi sembra più squallido di molte altre cazzate che infestano un qualsiasi museo di arte moderna di una qualsiasi capitale europea.
Non conosco per altro le abitudini scientifiche o il curriculum vitae del donante.
Nonostante ciò resta comunque  il fatto che, come rileva Vittone, la collocazione dell'opera stride fortemente con tutto il resto dell'arredamento.
La sensazione è proprio quella di aver utilizzato il Parco di Monza come una sorta di discarica o come un  luogo nel quale "ci può finire di tutto". Oggi il Cadregone, domani il Bottiglione e dopodomani il Puttanone e via dicendo.
E, così, la stessa sensazione si percepisce per la Villa Reale la quale, secondo il progetto Carbonara, sembrerebbe diventare un albergo-foresteria per il Presidente della Regione Lombardia ovviamente con annesso centro di bellezza.
Mi chiedo  perchè questi luoghi non vengono semplicemente restaurati e lasciati, soprattutto, come erano originariamente. Perchè in nome di una falsa modernità si vuole ad ogni costo deturpare
monumenti storici e naturali.
Non sarebbe più logico collocare le opere d' arte moderne o centri achitettonici particolarmente sofisticati in luoghi decentrati per riqualificare le periferie e non per deturpare il centro storico o opere d'arte storiche-naturali. Così la Défènce e Postdamer Platz sono state costruite fuori dal centro storico di Parigi e Berlino. Persino la "scandalosa", per l'epoca, Tour Eiffel non fu costruita in Rue de Rivoli.
Esistono certo rare eccezioni, come Le Centre Pompidou, ma spero che questa città non diventi un'unica grande eccezione con "mobili" e "mobiletti" sparsi inopinatamente ovunque, per il solo orrido gusto di  che "Qui Monza migliora".

Cordialmente.
Carlo Capuana.


Armando Pioltelli
November 01, 2005 9:43 AM

Caro FRANCO, ho mangiato una bistecca e ogni tanto mangio carne di maiale e di pollo, mi piacciono le pappardelle al sugo di cinghiale, mi nutro spesso con dei buoni  crostacei, non disdegno delle ottime orate al cartoccio, ma ti assicuro che non ho assassinato io questi animali.

Come sono tristi alcuni interventi in questo forum che per negare l'evidenza si aggrappano ad ogni cosa, pur di criticare una giunta che, dopo tanti anni di nulla, sta faticosamente rendendo vivibile questa città.
Comunque sabato eravamo in tanti ad apprezzare lo scrittore, credo che i parchi debbano vivere e penso che sia meglio curare l'artrite di tante persone anziane, ma vedo che pur di essere contro FAGLIA si vorrebbe bloccare la ricerca e fermare il futuro. La paura del futuro crea dei disastri, spero che non si finisca come quello che per far dispetto alla moglie che lo aveva tradito si era amputato, lascio a te pensare quale parte del corpo.
CHE TRISTEZZA !!!
Per fortuna siamo in tanti ancora  a sorridere.

Armando
UNITI SI VINCE 


Alfredo Viganò
November 01, 2005 10:24 AM

Il Dono del Bello e dell'Arte

I GUARDIANI DEL PARCO
Avevo preparato per scherzo, come ho scritto a Cornacchia e a Isman, l'altra faccia del problema facendo apparire di fronte, messi in posa  “Quelli del Forum” in costume da Cerbiatto dello Stelvio o novelli “Guardiani del Parco” ( le foto partecipano di un evento artistico), ma la piega assunta dal dibattito mi ha interessato e consigliato di soprassedere al contributo ironico ( se qualcuno me lo chiede in privato lo mando perché divertente per i riconoscimenti).
Infatti non volevo intervenire ma le considerazioni sulla presenza dell'opera di Neri, sviluppate da alcuni interventi mi hanno, come dire, stimolato e stupito. Ancor più perché non sono tra gli strenui assertori del valore dell'opera, di cui però riconosco la professionalità, contenuto ed immagine  artistica.

IL METRO DI GIUDIZIO
La prima considerazione investe il fatto che categorie di giudizio giuste sembrano utilizzate per un evento diverso dal problema posto dal giudizio stesso che diventa pertanto rituale col rischio della banalizzazione sino al rifiuto ( uso apposta questo termine) dell'opera d'arte moderna non solo nel Parco ma anche nelle Città e nei Musei di tutto il Mondo ( e perché no della presenza di prodotti dell'arte moderna in altri parchi e sulle piazze del mondo, comprese quelle medioevali).
Infatti si sta discutendo della collocazione di un evento artistico moderno ed attuale in un grande parco “Urbano e Territoriale”  e non della costruzione di un nuovo edificio o attrezzatura ( si tratti di una scuola, di un ippodromo o di un museo senza pensare al peggio). Cioè non si sta parlando della trasformazione del Parco ad altri usi e destinazioni o di presenze che ne snaturano il ruolo, la funzione, il paesaggio ma della collocazione del prodotto culturalmente riconosciuto di uno scultore . Di conseguenza il metro usato del tipo “il Parco non si tocca perché è un monumento”, “Il Parco non deve diventare ricettacolo di destinazioni improprie e compromissorie”, per alcune cose, pare improprio per il fatto oggetto della discussione cioè la collocazione di un opera d'arte moderna nel Parco. Perché nel Parco e non altro? Si può dire. Convengo, se la discussione fosse questa, che possono ovviamente esserci più scelte ma che sicuramente, data la dimensione dell'opera, la sua finalità per come concepita, il Parco è una opportunità per noi e per l'artista. Per noi  perché il Parco non è prodotto immutabile ma vivo e partecipe del nostro tempo ( stiamo sempre valutando non modifiche di destinazione d'uso ma “presenze” d'arte). Per l'artista anche come luogo prestigioso dalle dimensioni che possono esaltarne il valore.  Anzi presenze che ne valorizzino l'uso con servizi, attrezzature, programmi  compatibili o momenti culturali ( tra cui l'opera di Neri) non possono che essere ritenute opportune e stimolanti la curiosità culturale oltre che la fantasia . Mi sorprende quindi il giudizio tranciante che da per scontato un percorso culturale che scontato non è. Giudizio che sempre si inquina con quello politico-amministrativo e del ruolo delle persone deputate a fare delle scelte. Mi sorprende anche che i giudizi non affrontino nello specifico il dato di una ipotetica compromissione del paesaggio del Parco. In realtà esce dal dibattito che molti ,che ritenevano la scelta come compromissoria, ne valutano ora gli aspetti invece di compatibilità, di richiamo anche solo curioso, di divertimento culturale ed artistico che l'evento ha prodotto.

L'ARTE MODERNA E LA SPAZZATURA  IN DISCARICA
La seconda considerazione è che la sovrapposizione, da parte di alcuni, di giudizi sull'uso del Parco ( sempre opportuna come ho sottolineato) con quelli di “rifiuto” dell'arte moderna, con affermazioni a dir poco discutibili ( pensate se le stesse categorie di giudizio fossero date per la scienza, per la musica, per la medicina, per il pensiero filosofico, per l'architettura etc.), a riprova dei giudizi stessi, non solo mi sorprende ma mi conferma e conforta il parere di cui sopra. Mi fa anche dire che, anche solo a livello di curiosità ( non tutti sono storici o critici d'arte) l'approccio ai valori dell'arte moderna dovrebbe essere più “pudico” e almeno curioso. Dire cioè che il Parco è una discarica perché ci si mette una scultura, pur grande che sia, à estraneo al dibattito culturale. Anzi se il Parco può integrare nel tempo presenze culturali significative permanenti oltre che temporanee è meglio come arricchimento della funzione stessa del Parco e del suo Paesaggio. Lo era alle origini dove l'Idea motrice era anche di grande insegnamento e pertanto ne esprime una scelta di continuità nell'oggi.
Resto del parere che ogni presenza del Parco debba essere “significativa”, si tratti di un corrimano, di un gabinetto o di una panchina e che i prodotti del nostro tempo offrono una scelta moderna, intelligente e bella oltre che funzionale, si tratti di design di oggetti comuni come di “presenze” culturali significative. Da questo punto di vista non posso che sottolineare che la opportunità della donazione della scultura di Neri ha trovato una “casa” adatta e non ve ne erano certo molte nel nostro territorio. Si tratta di una scelta non facile ( coraggiosa) ma che almeno non sposa il rituale di giudizi che rischiano il banale sul Parco. Di una scelta culturale e che al Parco non può che fare bene. Speriamo ve ne siano anche altre occasioni altrettanto significative, in modo che chi va al Parco, anche solo per mantenere la linea, si ponga dei perché sull'arte moderna e magari per questo capendo meglio anche quella del passato ed i valori del Parco stesso.

CURIOSITA' CULTURALE E RIVALSA DEL PENSIERO.
Al di la di polemiche un po' forzate sul caso, tanto di merito a chi ha voluto fare un “dono” di cultura alla Città di contro a chi solo la usa e talvolta la abbruttisce..
Come ho detto all'inizio, anch'io, ora che c'è, quando passo di li a piedi o in bici, mi fermo un attimo e questa presenza mi stimola a molti pensieri sulla dimensione dello scrivere, in passato e nel nostro tempo fatto di computer. Quasi una rivalsa del pensiero, della struttura del linguaggio sulla natura, sulla dimensione umana e sulla stessa tecnica e rapporto culturale tra uomo e natura, tra uomo e paesaggio. Mi offre anche nuove prospettive nel dimensionamento e focalizzazione dei punti di vista, forse perché poco interrompe ma anzi partecipa in trasparenza anche a traguardi visivi più lontani.
Forse sono anche le dimensioni che facilitano questa partecipazione paesaggistica. Non scompare come una cosa piccola ma partecipa alla grandiosità delle dimensioni del Parco stesso. Quando una cosa, tutto sommato è in un posto abbastanza giusto, ci si accorge subito perché, anche solo dopo qualche giorno, appare li da più tempo, nel rapporto con le altre cose, cioè nel paesaggio. Come altri, il mio scetticismo è caduto e la mia curiosità un po' soddisfatta.

Alfredo Viganò


Carlo Vittone
November 01, 2005 11:33 AM

Il Dono del Bello e dell'Arte

Caro Alfredo, il tuo intervento, probabile risposta al mio (ma anche di altri) prende di mira alcuni falsi bersagli e su quelli "veri" indulge in una assai pericolosa piega.
 
Anzitutto i "falsi bersagli". Nessuno dubita del valore dell'arte moderna e dei suoi possibili temporanei inserimenti in contesti storici tradizionali. E' questa una pratica largamente diffusa nel mondo e talvolta il suo pregio sta proprio nell'effetto "dissonante" che si viene a creare, nel melange di epoche e di stili che incuriosisce e stimola. Pertanto non vi è da parte mia nessun "rifiuto dell'arte moderna" in contesti antichi, né ovviamente del valore dell'artista (il quale valore è comunque sottoponibile ad un metro critico individuale).
 
Nel mio pezzo elogiavo le iniziative di Sciola e della collezione Rossini proprio perché mi sembravano segnale di novità e di nuovi percorsi. Se nel caso dello Scrittore di Neri (alias Il Cadregone) si fosse trattato di analoghe modalità, la cosa avrebbe visto ben poche obiezioni, stimolato la curiosità per qualche mese e concorso alle iniziative per il bicentenario. E non saremmo qui a discettarne.
 
Il vero problema è un altro, e qui vedo "pericolosi" cedimenti in direzioni che, detto con estrema franchezza, mi piacciono poco. E cioè nella direzione dell'accettazione della permanenza stabile, dell'inserimento perenne (exegi monumentum aere perennius) del manufatto in un contesto, come mi insegni, di estremo pregio e delicatezza. Siamo cioè in presenza, per usare le tue parole, di una vera e propria "modifica della destinazione d'uso" di una parte, anche se piccola, del Parco.
 
Come sai bene, la storia del Parco nel '900 è interamente costellata di "inserimenti" perenni piccoli e grandi i quali, sia ben chiaro, furono tutti fatti con le migliori intenzioni e con la dichiarata volontà di apportare moderne migliorie in nome della considerazione che "il Parco non è un monumento intoccabile".
 
Sappiamo tutti a cosa mi riferisco e qualcuno potrà anche sostenere che una scultura di 10 metri è cosa ben diversa dall'autodromo, dal golf, o anche solo dall'impianto RAI. Ma è un principio in realtà che è stato leso, non importa in quale proporzione. E poco importa pure se la violazione del principio sia avvenuta tramite l'inserimento di un impianto sportivo o di una scultura moderna.
 
E il principio è che il Parco debba, per quanto possibile, essere sottoposto ad un restauro filologico che, pur facendo i conti con la modernità e le sue esigenze, eviti al massimo compromissioni estranee alla sua storia e alla sua funzione.
 
Se, per fare un esempio, avessero deciso di installare la scultura di Neri al centro del Colosseo per qualche mese, la cosa avrebbe interessato e stimolato, se avessero deciso di lasciarla là in permanenza, tutta Roma si sarebbe sollevata. E io non vedo differenze sostanziali tra il Parco e il Colosseo.
 
Certo, in entrambi i casi, l'opera del tempo e le necessità logistiche hanno prodotto innovazioni, così che nessuno crede che il Parco debba tornare ad una mitica verginità napoleonica o asburgica. Dovremo installarvi dei servizi ( e sono carenti) e oggetti del mondo moderno indispensabili ad una sua piena fruizione secondo piani e progetti condivisi (ne esiste una mezza dozzina almeno, dal Calcagno, al De Vico, a quello regionale) e su questa strada occorre perseverare.
 
Ma cosa c'entra con questi interventi una scultura moderna di imponente mole, offerta quasi per caso in dono, e quasi per caso accettata? Tu stesso apri una breccia nel tuo ragionamento là dove ti interroghi "perché nel Parco e non in altro posto?" senza però accorgerti che in tal modo vai a perdere la peculiare caratteristica monumentale del Parco, che in quanto tale, e qui il mio disaccordo è totale, deve per quanto possibile essere resa immutabile senza indulgere in quel "vivo e partecipe del nostro tempo" che tanti danni ha fatto in passato (e ora li scontiamo noi).
 
Un saluto
C.V.

Alfredo Viganò  
November 01, 2005 3:03 PM

Brevemente semplificando, me ne scuso ma devo uscire.

IL VALORE DELL'ARTE MODERNA COME CONTINUITA' COL PASSATO
Le considerazioni di Vittone, proprio perché in generale condivisibili ( salvo l'applicazione specifica come poi preciso), mi confermano che il dibattito debba assumere il carattere del confronto  su temi ed aspetti della questione senza drammi o impoverimenti culturali sul ruolo dell'arte moderna. Questo va detto da parte di tutti senza assecondare e indulgere con  “compagni di viaggio” momentanei che tutt'altro sembrano affermare con giudizi, per esempio, non solo sull'arte moderna ma anche sui progetti del Concorso  internazionale della Villa, che dimostrano solo che neppure sono stati visti e correttamente interpretati.
Il dibattito culturale ha delle sue regole e non è giusto saltare da palo in frasca o accettare ogni brutalizzazione. Si è persino scomodata la democrazia.
Anche alcuni concetti sul restauro sono problema culturale per molte parti aperte e non ( non sto parlando di Vitton) luoghi comuni presi in prestito per l'occasione. Sembra quasi che su alcune questioni e tanto per dire “Piove , Governo ladro”  tutta l'erba faccia un fascio. Io credo siano importanti i distinguo per cui quello che dice Vitton, sull'arte moderna è importante in riferimento ad interventi di altri. Ciò va rilevato ed andrebbe precisato. Questo è dovere di tutti coloro che hanno a cuore il discorso della cultura, al di là di differenze sul caso. 

STABILE O PERMANENTE? NO PROBLEM.
E' ovvio che il concetto di permanente o stabile è importante ( non solo per il Parco) ma è la dimensione della sua applicazione che divide. Questo è sempre parte del dibattito culturale e penso che categorie “assolute”  sono improponibili.
La stessa “provvisorietà” è discutibile come compatibilità col Parco e non è detto che una cosa stabile sia per sua natura incompatibile così come una provvisoria. Non ha senso il fatto, nel merito del giudizio di compatibilità, che una termina e una invece no. Anche le Concessioni nel Parco sono a termine! Questo lo dico non perché non capisca la differenza tra una Mostra Temporanea all'aperto nel Parco e una Concessione per un Impianto ma per dimostrare che alcuni concetti possono essere stiracchiati o esagerati. La stessa cosa vale per la permanenza anche attrezzature così dette provvisorie poi diventano stabili sputacchiate un tempo qua e la nel Parco e socialmente giustificate.
Nel caso specifico stiamo discutendo non di una modifica di destinazione nel Parco ma di una presenza artistica. Discutibile o ingombrante sin che si vuole, ma che non richiama se non per eccesso le coerenze sul tipo di restauro del Parco.

QUALE RESTAURO?
Non affronto qui nei particolari la questione del restauro che mi riservo di precisare ( per una questione di momentanea disponibilità di tempo), però non mischierei il restauro ( tecniche, finalità, metodologie etc.)di un bene archeologico con quello di un grande Parco in uso o anche della Villa Reale che vanno entrambi ( comprese le altre architetture del Parco)  valorizzate e riproposte nella attualità, sia perché viviamo ora e non nel passato.
Ad esempio non è che il Colosseo deve essere rivestito di marmo, e con colori sgargianti o dorati e illuminato con le fiaccole per una discutibile interpretazione del concetto di restauro filologico tra un bene archeologico e un palazzo dell'800. O perlomeno avrei qualche dubbio.
Non possiamo chiuderci solo nei cattivi esempi del passato ( per il Parco intendo ma gli esempi possono essere molti anche su altre cose ) o su un concetto di restauro, corretto di per se, ma che va visto nelle cose e attualizzato. Nell'ottocento le interpretazioni ideali o idealizzate e totalizzanti del restauro hanno prodotto guai non indifferenti sul patrimonio artistico e architettonico.

I GUAI DEL PASSATO E I PERICOLI FUTURI.
Quindi giusto il richiamo sia ai pericoli del passato ed attuali. Dico solo che proprio non mi sembra il caso della scultura del Neri. La stessa attuazione del Parco non è stata certo istantanea e cose che oggi ci appaiono del tutto scontate, ai tempi della sua nascita, erano disomogenee e di una modernità sconcertante per i contemporanei. Se devo essere sincero penso ad esempio, e per provocazione,  che la “Selva dei Gavanti”, dove stava la Matta Tapina e dove,ancora nel seicento i Monzesi e quelli del contado andavano a fare festa tutta notte per il Ringraziamento ( mi pare), fosse meglio, dal punto di vista della presenza “naturale” ed ambientale, che il risultato “geometrico” del disegno del Canonica. Oggi parliamo di continuità di un cannocchiale prima inesistente. Gli interventi furono tali da distruggere presenze e parte delle vegetazioni storiche e significative preesistenti ( si pensi anche solo al San Fedele citato già agli albori dell'anno mille e demolito) all' 'insegna del nuovo. Spesso si cambiava idea nel percorso di realizzazione ( ad esempio si costruì la latteria e poi la si demolì). Non è ovviamente il nostro caso perché, mi sembra abbiamo superato per ora ( salvo eventuali conseguenze della Deregolamentazione) questo atteggiamento ma resta il fatto di non mettere sullo stesso piano differenti livelli di giudizio e metodologie  relativi al restauro e valorizzazione di un “pezzo di territorio” ( Paesaggio) a Parco, con dentro cento cose , proprie di singoli “pezzi” d'arte o ancora di architettura.

IL DONO E LA OCCASIONALITA'
Sulla occasionalità del dono dico solo che mi sembra cosa irrilevante nel giudizio. Grande parte delle “presenze” artistiche nel territorio o nei musei derivano da donazioni e simili. Non è quindi un caso sporadico ma fortunatamente un riferimento importante nel funzionamento civile e che per fortuna si è ulteriormente arricchito negli ultimi anni anche nella dotazione artistica della nostra Città. Ben venga ogni buona occasione.

UNA SCHERZOSA ESAGERAZIONE
In definitiva non condivido ( mi consenta Vittone, proprio perché amico,  una scherzosa esagerazione), per le cose già dette precedentemente , che questa opera posta nel Parco sia la cerniera di giudizio e di non ritorno di tutti i mali dello stesso o che ne comprometta la monumentalità.
Se poi, per assurdo,  non dovessimo “culturalmente” indulgere alla partecipazione del nostro tempo dovremmo “integralisticamente” chiudere il Parco escludendone l'uso pubblico generalizzato e chissà ripristinare il funzionamento della tenuta di caccia mettendo i cerbiatti nel serraglio, ripopolare di volpi e attivare la Fagianaia , per potere qualche volta, a turno, magari per estrazione democratica connessa ai numeri del lotto , andare a cavallo, con vestiti d'epoca, a sparare ( spero a salve) con un fucile d'epoca. Non mi sembra il caso anche se si potrebbero ricavare risorse cospicue per il mantenimento e restauro del bene. In realtà proprio la capacità di modificare il ruolo del parco nel territorio ne garantisce il restauro ( anche prevalentemente filologico)e la valorizzazione nonché il reperimento di risorse necessarie.
Sempre disponibile ad una “cena di restauro” per continuare la interessante discussione, difendendo l'arte, antica e moderna, Parco, che fortunatamente abbiamo, e il Dono del Bello e dell'Arte ( che penso ci accomuni comunque),

Alfredo Viganò  


Carlo Arcari
November 01, 2005 3:02 PM

caro Alfredo, sei in malafede e lo sai. Nessuno qui rifiuta un'opera d'arte e nessuno dice che l'arte non deve trovare spazio nel Parco.
Tutti però rifiutano le scelte fatte senza un progetto o un'idea culturale. Esiste forse un progetto partecipato e condiviso di realizzare nel Parco un museo all'aperto di scultura moderna?
Parliamone, se c'è, ma non esiste e tu lo sai benissimo. Qui tutti rifiutano i fatti compiuti e le decisioni prese, soprattutto in campo culturale, da chi si riempie da anni la bocca di belle parolone vuote sui "progetti partecipati e condivisi", di chi parla di "concorsi internazionali di idee" e poi decide da solo di sistemare nel Parco un cadregone di acciaio e legno alto dieci metri e di installarlo per sempre. Ma tu queste cose le sai benissimo, devi però difendere tutte le decisioni della tua giunta e del tuo collega architetto sindaco, anche quando sono sbagliate. Leggere il tuo intervento mi ha fatto venire in mente che a differenza di Faglia tu sei un urbanista vero, Hai fatto il sindaco di una città per due o tre mandati, hai scritto decine di Piani regolatori, hai lavorato con i maestri dell'urbanistica e dell'architettura lombardi degli ultimi 30 anni. Chi te lo fa fare di prendere le difese di questa cazzata. Perché vuoi darci ad intendere che anche tu sei d'accordo con una scelta estemporanea e priva di consistenza?



Alfredo Viganò  
November 01, 2005 3:10 PM

Non avevo visto l'intervento di Arcari e la sua amorevole biografia nei miei confronti. Devo però proprio uscire. Ci sentiamo domani.
Alfredo Viganò


Michelangelo Casiraghi
November 01, 2005 3:45 PM
Calder o Moore

Io credo, invece, che bisogna un pò lasciar cadere il luogo comune per cui delle opere d'arte e del loro valore, non si sa perché, non si possa discutere e ogni opinione vale l'altra.
Si DEVE discuterne, invece.
Proprio per evitare che a tendenze effimere che riesumano psuedo-provocazioni passate si attribuisca valore mentre non ne hanno, e se ne stabiliscano collocazioni che sottraggono valore ai luoghi invece di aggiungerne.

Il cadregone é e resterà sempre e solo una enorme cadrega, destinato a far degnamente il paio - eliminati perfino i valori simbolici più o meno convisibili - con il catorcione retorico di Piazza Trento.
Che, a sua volta, era e resta - dal punto di vista artistico espressivo - un ambizioso e megalomane catorcione, se analizzato alla luce delle tendenze antiche, classiche e contemporanee della storia artistica.

Qual'é il problema?
Che - ahimé - le cose belle costano.
Non possiamo avere i "mobile" di Calder, che tintinnerebbero come foglie d'alberi al vento. E nemmeno le arcaicità curvilinee di Moore, che  segnerebbero delicatamente l'ambiente delle loro forme intrecciandovisi. O i dischi solari e le sfere di Pomodoro, capaci di richiamare il tempo del
mito in un luogo che - dovendo esser prevalentemente segno della natura - consente di rivivere quel tempo magico in ogni istante, dall'alba al tramonto, d'inverno o d'estate.

Il cadregone non é neppure un archetipo come Stonehenge, purtroppo, e proprio per questo la quercia centenaria, come scrive Barattieri, diventa al confronto un capolavoro come quelli michelangioleschi: arte e natura hanno le stesse radici se interloquiscono tra di loro.
Se no, é il grottesco o il kitsch singaporiano.

Per questo dare Sogno di una notte di mezza estate nei giardini della Villa ha più senso che recitarvi Sei personaggi in cerca d'autore: perché si valorizzano le sinergie armoniche, le assonanze, le dissonanze anche, ma in un contesto condiviso.
Ogni segno, ogni forma ha un propria origine e in quanto tale dialoga con lo spazio e le altre cose che lo circondano.

Il vuoto, in un parco, può esser MOLTO MOLTO meglio di qualcosa di inappropriato, e anche meglio di qualsiasi altra cosa, poiché non é VUOTO, come ci hanno spiegato poeti (Leopardi...), filosofi (i taoisti), scienzati (i teorici della Gestalt).

Ma come é possibile non capirlo questo fatto semplice semplice? Come é possibile non capire che sarebbe meglio che l'uomo limitasse al minimo, dove può,i segni residuati della propria megalomane invadenza, in un'epoca dove la banalità predomina e si riproduce più fertile di ogni altra cosa?

La risposta é semplice e l'ha data Arcari: qui, invece dei pirandelliani personaggi in cerca d'autore, abbiamo persone di media cultura artistica (ad esser ottimisti), che abusano della politica per darsi una caratura che non hanno. Pensano forse che il cadregone, aumentando le dimensioni della sedia, aumenti anche la loro statura.
Questi personaggi cercano sì qualcosa, ma non l'autore: gli basta un trafiletto sulla stampa.
Qui non c'entra la politica: c'entra l'ignoranza. Ed é di questa che - per fortuna - il cadregone costituirà imperituro monumento.
Chi l'ha scelto, per favore, ci metta sotto la firma, che tra decenni sarà dato ricordarne il nome.

Michele


Matteo Barattieri
November 01, 2005 5:18 PM
e il Parco Parco sia


il dibattito sul cadregone prosegue......

qualcuno ha sottolineato giustamente il valore degli spazi vuoti del Parco...ma un prato vuoto non è tale, contiene esseri viventi ed è un ecosistema a pieno diritto, va da sè...
nella fattispecie, un prato vuoto è parte di un tutto, di un'armonia che l'Architetto Canonica, e chi lavorò con lui e dopo di lui, volle creare.......inserire nuovi elementi in modo definitivo non può non alterare tale insieme....

certo la cubatura del cadregone non è quella dei nuovi box dell'autodromo (tanto per restare a esempi a noi vicini nel tempo), ma la scultura (o installazione? come diavolo di definisce?) è sempre una cosa invadente che altera e disturba panorami e prospettive...così come fanno golf, sopraelevate e compagnia cantante

nessuno vuole riportarci ai tempi delle cacce e simili (per dirla con Alfredo Viganò), il desiderio è quello di poter mantenere quanto è rimasto del disegno originario di un'opera grandiosa e di rinnovarne i fasti.... inserire cose estranee va a mio avviso contro questo percorso....

non ho la profondità e le basi culturali di altri....
nel mio piccolo mi limito a citare quanto scrisse nel '94 sulla pagine di Repubblica Mario Fossati.....
si era al termine della battaglia contro l'autodromo che voleva tagliare oltre 500 alberi (ricordate?)..la battaglia era vinta, le piante erano salve....e il giornalista, che aveva difeso a più riprese il nostro Parco, così scrisse al termine di un suo articolo di commento:
"e il Parco Parco sia"

Mandi
Matteo Barattieri


Michelangelo Casiraghi
November 01, 2005 6:57 PM

Quando si comincia a scrivere con le lettere maiuscole alcune termini, se non vi vedo ironia comincio a preoccuparmi.
Abbiamo impiegato più di cento anni ad allargare il concetto di arte - grazie anche a studiosi come Carandini e a partire dal altri artisti/critici sette-ottocenteschi - non vorrei tornassimo indietro.
Diverse manifestazioni della natura e dell'uomo sono arti e l'uomo a cercato di definirle in vario modo (le sette meraviglie del mondo di storica memoria o gli ambienti naturali tutelati dall'Unesco).
Credo che la seggiola gigante non appartenga né all'uno né all'altro repertorio, mentre il secondo (il parco) sarebbe - se adeguatamente valorizzato e tutelato - inseribile nella seconda categoria, per quanto in piccolo.
Ora vedo che la questione diventa, inopinatamente, se si possa o meno inserire un qualche oggetto definito "artistico" dentro il parco, e se sia o meno opportuno prevederne la permanenza o la removibilità. Evidentemente la domanda, messa così, é alquanto tautologica. Stabilito cosa
sia un'opera d'arte, sì, si può decidere di ospitarvi quelle - in particolare la scultura - che rientrano nella categoria. A patto, però, di non reincaponirsi poi - per giustificare questa o quella scelta di abbater siepi o tracciare sentierini - nel recupero filologico di un disegno preesistente.
Quel che sta accadendo attorno a tutta la Villa Reale, ma direi un pò anche a pari strategiche della città - é invece l'applicazione sistematica non di una strategia in sé organica, ma di occasionalità più o meno valide.
A me, personalmente, sembra a volte di assistere a eventi tipo i 2 x 3 dei supermercati, nel senso che - per coincidenza - o accade qualcosa perché si contratta col privato quel che vuol contrattare (del resto manco si parla) o ci si aggrappa a quanto s'incontra per strada, Rottapharm docet.
Dovere di una amministrazione che si dice democratica e che vuol esser partecipata (non dalle azioni soltanto, spero) dovrebbe essere dirci: guardate, cittadini monzesi, non vogliamo fare del Parco questo e quello (le ipotesi sono tante: un ecoambiente assolutamente protetto, un parco urbano filologicamente costruito con annessi e connessi, una gelateria a sviluppo longitudinale tracciata di albergo in chiosco culminante in beauty far, e via dicendo).
Ecco, scelgano quel che vogliano ma lo dicano una volta per tutte, compreso anche: non siamo in grado di dirvi nulla di preciso perché stiamo facendo un mix di tutto quello che riteniamo pertinente la Villa e il Parco e cogliamo le occasioni al volo.
Quel che mi infastidisce, personalmente, é questa specie di supponenza di voler sempre in qualche modo giustificare l'accaduto a posteriori facendolo quasi rientrare in un disegno complessivo che con ogni evidenza non c'é.
Mi viene in mente il giovane Amadeus di Forman, quando l'imperatore gli chiede di togliere una nota (a suo giudizio c'é qualcosa di troppo, ma non sa cosa...) ad una sonata ed egli si rifiuta, ovviamente.
Ecco, qui a Monza di Mozart non ce n'é, non stiamo neppure assistendo alla esecuzione di una sinfonia perfetta e qualche nota di troppo ogni tanto é talmente evidente che non c'é neanche bisogno di star troppo a cercarla: "canta" da sola.
Stiamo arrangiando, insomma, per restare in tema musicale, e arrangiarsi é termine in bilico appunto tra musica, italianità, napoletanità. Niente di cui vergognarsi, per intenderci, basta non voler sostenere ogni volta che lo spartito é perfetto e non esiste alcuna stonatura, Cadregon
compreso.
Piacerebbe sapere se si é scelto, almeno come riferimento progettuale, una architettura bachiana o una improvvisazione jazzistica giocoforza. Nel primo caso, anche qualche elemento fuori posto ci ritorna per forza, data la meravigliosa rigidità nella variabilità.
Attenti che anche nel secondo, però, la struttura - per quanto libera - c'é, anzi: i "solisti" devono esser ancora più bravi per leggerla e rispettarla, scatenando al contempo la propria fantasia.
Se no viene una session da quattro soldi.... a meno di aver un culo grandioso.
Come dicevo nel precedente msg: magari capita che ti regala qualcosa un nuovo Calder, ma in giro mica ce n'é tanti....

Michele


Giacomo Correale
November 02, 2005 12:24 AM
 
Caro Alfredo, mi sembrava che l'argomento fosse chiuso, ma le tue varie argomentazioni mi inducono a fare qualche precisazione.
 
1. Mi sembra che su "Lo scrittore", definito popolarmente "il cadregone", il dibattito sia stato acceso, ma corretto. Ognuno ha espresso legittimamente il suo punto di cista, e non credo debba pagare pegno per questo.
2. Ci sono state casualmente convergenze di opinioni. Ma non esistono "quelli del Forum", ai quali peraltro apparterresti anche tu dato che, non essendoci oggi alcun altra sede di dibattito on line per Monza, ci scrivi periodicamente ed utilmente. Non mi sembra ci siano stati nemmeno schieramenti tra sostenitori di ciò che è "vecchio" e sostenitori di ciò che è  "nuovo". Credo che tutti conveniamo che "vecchio" non significa "brutto", come ciò che è "nuovo" non garantisce la bellezza. Certamente sul "nuovo" il dibattito sul valore estetico è, più che opportuno, necessario, perchè mentre per le opere del passato il tempo ha già provveduto a una severa selezione, per ciò che è nuovo occorre stare attenti che non si pretenda anche che sia "bello" (e veramente originale, cioè veramente nuovo) a priori.
3. Per quanto mi riguarda, non ho mai messo in dubbio le buone intenzioni di tutti i protagonisti pubblici e privati per i quali ho la massima stima. Ho partecipato all'inaugurazione anche per verificare se con i miei giudizi avevo preso una cantonata. La cerimonia mi ha ricordato che le scelte estetiche non possono non essere strettamente intrecciate con il contesto dei  rapporti sociali. Forse anch'io, se fossi stato un pubblico amministratore nella situazione data, avrei deciso a favore della collocazione della scultura nel Parco, anche se  non  ne avrei garantito la permanenza a tempo indeterminato.
Ma resto comunque convinto che avrei sbagliato, perchè conservo la mia idea iniziale della inopportunità di inserire più o meno occasionalmente cose nuove nel Parco. Penso infatti che il problema attuale del Parco non sia quello di "mettere", ma piuttosto di "levare". Levare i guasti  che, come risulta evidente da tutti gli studi e da tutti i convegni sulla Villa e sul Parco (a meno che li si consideri manifestazioni di facciata, quasi un parlar d'altro), il secolo scorso ha perpetrato a danno della grande opera asburgico-napoleonica. Altro che parlare di "storicizzazione" delle sopraelevate, di cui parla sensa senso la sovrintendenza ai beni culturali della Lombardia! Si tratta prima di tutto di togliere,  restaurare e riutilizzare in modo coerente (cioè con finalità culturali, naturalistiche e di fruizione). In questo quadro, le manifestazioni per il centenario si sono inserite coerentemente e positivamente, indicando una buona strada da battere ancora finchè la Villa e il Parco non avranno la gestione forte e unitaria che si meritano con la Fondazione. L'obiettivo dovrebbe essere quello di far rientrare a pieno titolo l'"Imperial Regio"  Parco e la Villa nel novero delle grandi ville e parchi storici europei, da cui è  oggi ignominiosamente escluso proprio per i guasti novecenteschi.
 
Comunque, come ebbi a scrivere in un mio tema su Napoleone di quando avevo otto anni, "ai prosperi l'ardua sentenza"!
 
Giacomo Correale
 

Giorgio Majoli
November 02, 2005 1:04 AM

Intervengo anch'io brevemente sulla questione seggiolone e tavolone e relativo dibattito.
La prima impressione è che si stia discutendo di una questione marginale: con tutti i problemi del Parco si ha anche tempo di fare polemica (più o meno utile) su questa vicenda.

Voglio ricordare che ci attendono:
1) rinnovo della concessione per il Golf club Milano;
2) rinnovo della concessione dell'autodromo alla SIAS (e relative presenze e ricadute ambientali):
3) questione Villa Reale e concorso annesso;
4) ipotesi di concorso internazionale su tutto il Parco;
5) mancanza cronica di un Piano di Settore per il Parco;
6) stato di degrado grave di alcuni luoghi ed edifici (tra questi, la cascina San Giorgio);
7) scarsità di fondi anche solo per la manutenzione ordinaria del Parco.

Ho già avuto modo di dire che spesso, in Domeus, mi sento come su una panchina di pensionati polemici. Quando poi c'è da muoversi, non si fa neppure la fatica di andare in una sala pubblica per parlarne o per ascoltare (si veda serata sulla "emergenza casa" o quelle sul Parco), salvo
poi invocare la mancanza di democrazia.
Personalmente amo il kitch (il cattivo gusto) e, casa mia, l'ho arredata in questo modo. Diverso è in un luogo di altri. Leggevo molto temo fa che l'arredamento di casa propria, in realtà, uno non lo fa per sè, ma per stupire gli altri (scuola francese di psicologia dell'arredare).
Personalmente, poi, non amo gli accostamenti antico/moderno e viceversa, sia in architettura che nel paesaggio.

Sabato sono stato a Campione d'Italia (gemellato con Monza per il vecchio PRG) ed ho visto l'opera dell'architetto Botta: il Casinò. L'ho trovato come un enorme "forno inceneritore" che spicca con tutta evidenza sulla costa del Lago e sulla montagna verde alle spalle. Un vero monumentale obbrobrio (a mio parere). Ma a qualcuno piace, così come gli interventi, sempre di Botta,
alla Scala di Milano del Piermarini, Sovrintendenza compresa e consenziente.
Credo che in questo dualismo di vedute stia anche la questione sollevata. Su questo potremo discutere per anni, ma credo non andremmo molto lontano.
Peraltro non mi accanirei più di tanto: vale pur sempre il detto che mentre i Romani stavano a discutere, Sagunto venne espugnata. E a me, personalmente, interessa di più salvare Sagunto che discutere di filosofia. Va bene vedere e analizzare le pulci (e farne questione di principio), ma spesso ci si dimentica o non si vede neppure più l' elefante su cui stanno.

Cari saluti.
Giorgio


Michelangelo Casiraghi
November 02, 2005 1:16 PM

A Monza si parla di questioni marginali, spesso, perché quelle meno marginali non vengono affrontate con la stessa tempestività.
Infatti aspettiamo pazientemente di sapere quale sia il disegno complessivo di organizzazione ed uso del parco, indipendentemente da quel che si dice ora di volerne fare in questo o quel convegno, in questa o quella riunione.
Quanto al partecipare: alle primarie abbiamo votato in tanti, forse - per il resto - preferiamo fare i pensionati panchinari che i pensionati "comunali". Del resto, ma forse sbaglio, un ritrovo di simpatici vecchietti vicino a viale Cavriga era soprannominato Montecitorio.
Mio caro Maioli, l'elenco che hai fatto é lungo e pertinente, non é colpa nostra se, prima di quello, ci mettono il seggiolone.
Tutto qui.
Ma é nei dettagli, com'é noto, che si annida il "diavolo", se c'é.

Michele