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L'Ulivo e la giustizia
di Giacomo Correale


Il tema della giustizia è tra quelli per i quali l'Ulivo ha tutti gli elementi per definire la propria strategia (o programma che dir si voglia), una strategia diametralmente opposta a quella della CDL, e ciononostante non è capace di metterla a fuoco, di enunciarla, dando l'impressione di brancolare nel buio, sempre in attesa di “definire il proprio programma”.

Basterebbe porsi due domande: 
- Cosa c'era scritto nel programma dell'Ulivo del 1995?
- Quali sono gli aspetti della giustizia per i quali l'Italia è stata messa frequentemente sotto accusa da organismi internazionali come Amnesty? 

Le tesi di Prodi si possono riassumere in sei punti fondamentali: migliorare l'organizzazione giudiziaria; migliorare la formazione dei giuristi (magistrati e avvocati) “per giungere a una cultura della giurisdizione comune ad entrambi” pur nella separazione dei ruoli anche all'interno della magistratura (giudicante o inquirente); accelerare e dare maggiore certezza alla giustizia civile, penale e amministrativa; migliorare le condizioni di detenzione e di pena (ridurre l'affollamento nelle carceri, migliorare il trattamento dei detenuti, le forme di educazione e di recupero); lotta dura alla criminalità organizzata (“rappresenta una minaccia per lo stato democratico”); “poter uscire di casa tranquillamente”.

L'Italia è stata ripetutamente messa sotto accusa nelle sedi internazionali per la durata dei processi e della detenzione. Non mi risulta che sia stata mai accusata di una maggiore frequenza degli errori giudiziari a danno delle persone inquisite. Anzi, è probabile che, essendoci tre livelli di giudizio invece di due, come avviene in molti paesi, gli imputati abbiano già in partenza una maggiore tutela. 

In base a quanto sopra, e considerando a parte la lotta alla criminalità organizzata e il problema della sicurezza quotidiana, il programma dell'Ulivo dovrebbe avere come obiettivo prioritario e qualificante, su cui misurarsi:  
la riduzione della durata dei processi e della detenzione e la certezza del diritto. 
Riduzione dei livelli di giudizio (competenza del Parlamento), riorganizzazione della macchina giudiziaria (competenza del Governo), formazione dei giuristi (compito del Parlamento e della Magistratura, non certo del Governo) sarebbero gli obiettivi di secondo grado per conseguire il primo obiettivo. 
Ora, qual è la strategia perseguita dalla CDL, cioè da Berlusconi e dalla sua squadra di avvocati, fin dal 1994, strategia che sono riusciti ad imporre alla maggioranza di centro-sinistra, evidentemente inconsapevole della posta in gioco? Esattamente l'opposto. Essa si può infatti riassumere così: 
DIFENDERE OLTRE OGNI LIMITE ED ESCLUSIVAMENTE I DIRITTI DELL'IMPUTATO. 
Ciò è stato fatto in primo luogo con lo slogan e le norme del cosiddetto “giusto processo”, in realtà profondamente ingiusto perché ha determinato uno squilibrio tra la tutela dei diritti degli imputati e quella dei diritti delle vittime, a favore dei primi. Successivamente con le leggi che tutti conosciamo (depenalizzazione del falso in bilancio, intralci alle rogatorie internazionali, legge sul legittimo sospetto), che ancora vanno a vantaggio di imputati eccellenti, dotati di ampi mezzi finanziari per volgere la giustizia a proprio favore, a cominciare dal Presidente del Consiglio e della sua squadra, e potenzialmente di tutta la criminalità finanziaria e la criminalità organizzata. 
Perché questa strategia è radicalmente opposta a quella che l'Ulivo dovrebbe perseguire? Perché l'esito della strategia berlusconiana è stato ed è inevitabilmente l'allungamento dei processi e la minore certezza del diritto. Si pensi all'introduzione della figura del GUP (giudice per l'udienza preliminare) che interviene nel processo dopo il GIP (giudice delle indagini preliminari): un ulteriore, sia pure secondario, livello di giudizio che ne allunga inevitabilmente i tempi. Si pensi alla legge Cirami. Del progetto Pittelli di riforma della giustizia il Segretario di Magistratura Democratica (che, ironia della sorte, si chiama Claudio Castelli) afferma che “se quel progetto diventasse legge, i tempi del processo diventerebbero una vera odissea”. Purtroppo egli afferma anche che si tratta dell'”unico progetto organico di riforma presso il Parlamento” E l'Ulivo? Lavora sempre e solo di rimessa, in permanente difesa? 
Insomma, la strategia potrebbe essere segnata, ma l'Ulivo non coglie neanche le linee programmatiche che ha o potrebbe avere.  
Lo hanno dimostrato sia Rutelli che Fassino, a proposito della condanna di Andreotti, affermando tutti e due che quella sentenza dimostrava l'urgenza di porre mano alla riforma della giustizia. Che c'entra quella sentenza con la riforma della giustizia? Se mai, ha solo un aspetto che è scandaloso: che arriva dopo 23 anni, e non è ancora finita. 
Molto più correttamente ha parlato Mancino, dicendo di non credere nella colpevolezza di Andreotti, ma che la giustizia deve fare il suo corso. 
Oggi veniamo a sapere che i DS (si noti, non l'Ulivo, sempre alla ricerca di un programma sotterrato chi sa dove) hanno depositato in Parlamento ben 19 proposte per riformare la giustizia. Dalle informazioni di stampa sembra che l'accento sia posto sulla separazione delle funzioni dei magistrati, sulle carriere dei magistrati, sulla “spettacolarizzazione” dei processi, eccetera eccetera! Cioè sui paraventi usati dalla maggioranza per dare una parvenza di ragionevolezza alla strategia di immunità degli imputati eccellenti. Non sorprende che il modo dimesso e conciliante con cui Fassino ne ha parlato ha fatto dire incredibilmente a qualcuno della CDL che finalmente il centro sinistra mostra qualche segno di resipiscenza!  
Due divagazioni: 
- Le reazioni della maggioranza della classe politica, e non solo, alla sentenza Andreotti mi ha fatto pensare a ciò che avviene normalmente in un rione dove una persona nota ai vicini viene arrestata. Cosa dicono i vicini? “Non è possibile! Era una persona così ammodo!”; “Veniva sempre al bar a prendere il caffè! Non può essersi macchiata di un delitto così grave”; eccetera. Debbo dire che anche a me capita di ragionare, o meglio sragionare, in questo modo. Ma poi rifletto e mi allineo con Mancino. 
-    Fino alla fine degli anni ottanta, la stima dei cittadini verso la magistratura era a livelli molto alti, vicina a quella per i carabinieri. Il culmine si è avuto nel periodo di mani pulite, con riflessi positivi anche sull'immagine internazionale dell'Italia (v. www.transparency.it). Da quel momento è stato un continuo e inarrestabile declino. Questo crollo non è dovuto a un peggioramento dello standard dei magistrati (che anzi è migliorato, perché è diminuito il rispetto e il timore per gli intoccabili), bensì alla campagna martellante a cui sono stati sottoposti da imputati eccellenti come Berlusconi e la sua squadra di avvocati. Altro che accanimento giudiziario! A parte qualche comprensibile, anche se non giustificabile, “fallo di reazione”, questo drammatico calo di fiducia è il frutto avvelenato dell'arroganza e dell'improntitudine di persone che non vogliono sottoporsi al giudizio, anzi che pensano di essere – anzi ormai per molti versi sono – al di sopra della legge.

Giacomo Correale


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  27 novembre 2002