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Tigre di cartapesta?
di Vittorio Amodeo


tigre
La tigre si agita, ruggisce, manda bagliori e faville, scuote sinistramente le armi ma, per ora, non spicca il balzo. Lo farà, non lo farà, quando lo farà? Nessuno sa le intenzioni nascoste, se prevarrà l'aggressività o la paura.
La tigre americana, questo è ovvio, non è una tigre di carta: spende in armi quanto tutto il resto del mondo, quindi è la più armata tra tutte le nazioni ed è la prima potenza economica. Questa condizione le consente di dettare legge a tutto il resto del mondo e di fare ciò che più le aggrada? A parte l'esistenza di un diritto internazionale che spesso tende a ignorare o aggirare, a fronteggiare tutto il mondo, o una parte rilevante di esso, la tigre non ce la fa. Le manca il fiato, perché s'è ormai specializzata in piccoli assalti mirati su obiettivi precisi. Se questi si agitano, si muovono, si trasformano, si duplicano, la tigre si confonde, esita. Insomma, non è una tigre di carta, questo no, ma neppure d'acciaio. Diciamo di cartapesta?
Le forze armate americane includono 480.000 uomini nell'esercito, 380.000 nella marina, 370.000 nell'aviazione, per un totale di 1.230.000 uomini. Però 400.000 uomini sono costantemente impegnati nelle 800 basi che gli USA hanno disseminato in tutto il mondo, quale rete di controllo globale e di monitoraggio dei propri interessi, per cui ne rimangono circa 800.000. Esercito forte, ma non esorbitante. Per fare un raffronto, la sola piccola Corea del Sud dispone di forze armate per 670.000 uomini anche se, ovviamente, assai meno armate.
Occorre pensare che negli USA, dopo l'esperienza negativa del Vietnam quando i coscritti bruciavano in piazza le cartoline di arruolamento, è cessata la coscrizione obbligatoria e l'esercito è formato da professionisti. I quali, è evidente, costano più dei coscritti, quindi vanno numericamente contenuti (seppure assai più armati).
Comunque sia, se la tigre americana ritiene di dover fronteggiare la crisi irachena mediante circa 250.000 uomini più la logistica di supporto, e tenuto conto che i militari vanno avvicendati, sembra abbastanza evidente che le sue possibilità di attacco sono vicine a essere tutte impegnate. E infatti appare tragicomico il balletto tra minacce e blandizie che s'è instaurato tra USA e Corea del Nord: quest'ultima, già classificata tra gli “stati canaglia”, dispone con probabilità di alcune bombe atomiche, altre minaccia di costruirne, e dispone anche di missili a lunga gittata in grado potenzialmente di colpire gli USA. In altri momenti la tigre dovrebbe ruggire e minacciare di papparsi in un sol boccone lo staterello ribelle. Adesso mugola, si agita, minimizza: è caricata per il balzo sull'Iraq, non può disporre di forze, tempo, denaro per altre “missioni”.
In un'intervista, la moglie del presidente Bush ha ammesso che il marito vive da tempo in “una bolla”. Non vede più gli amici con i quali amava discutere le cose di cui è competente, cioè pesca e base-ball, visto che odia gli intellettuali e anche solo “chi legge libri”. Nella “bolla”, è ovvio, entrano solo i consiglieri (o suggeritori?) con i quali discutere in modo ossessivo dell'Iraq, dei costi crescenti delle forze armate, della necessità di fare in fretta, e certo della stupida “vecchia Europa” che non capisce. Nella “bolla” non entra Pyongyang: aspetti, verrà anche il suo turno.
Insomma, la tigre che fa paura a tutti e pretende il predominio globale ha i suoi limiti. E' sufficiente che qualche altro paese si ribelli per disorientarla. E' bastante che gli antichi paesi civili dell'Europa (di cui purtroppo noi italiani politicamente ora non facciamo parte) si appellino al diritto internazionale, alla ragionevolezza e alle fondamenta dell'ONU volte alla preservazione della pace, perché questi “granelli di sabbia”, o meglio elementi di civiltà, inceppino – così si spera – la macchina bellica americana. Bastano tre o quattro paesi a frenarla. Non sarà che la pretesa superiorità della tigre venga, non tanto dalla sua forza, quanto piuttosto dallo spirito di vassallaggio così diffuso tra i deboli, gli interessati e i pavidi?

Vittorio Amodeo

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  15 febbraio 2003