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Perché non posso non dirmi americano
di Lanfranco Orsatti


marine (la Repubblica)
 
Ho nel cuore e nella mente le immagini della manifestazione di sabato a Roma, mi infondono fiducia e speranza.
Ho anche l'immagine della foto del lunedì de la Repubblica: un marine saluta la figlia prima d'imbarcarsi per il Golfo. Stringe il cuore, è una immagine tragica. Mi ricorda la scultura di Michelangelo nella Sacrestia Nuova: la Madonna con il Bambino, un presagio funesto sembra incombere su di loro.
Il 25 aprile del 1945 era il mio quarto compleanno; non ricordo quindi quegli uomini che varcarono l'Atlantico per cercare di riportare pace ed ordine in un continente in preda alla sua ennesima follia. Ma so che molti di loro giacciono nei cimiteri di guerra di mezza Europa, in paesi di cui ignoravano l'esistenza e non avrebbero saputo individuare su una carta geografica.
Ripenso a mio padre che una domenica mattina si trovò nel bel mezzo di una adunata di camicie nere, lui in camicia bianca, finì a botte, nel senso che lui le prese. Non lo fece per spavalderia o per dispregio, ma solo per rispetto di se stesso. Penso che quegli uomini varcarono l'Atlantico anche per lui.
Conosco quel paese, vi sono stato decine e decine di volte, ho amici. Parlo la loro lingua ma non sempre comprendono le mie parole e non sempre io comprendo le loro.
Un abisso di cultura ci divide, quella grande cultura che abbiamo creato nei millenni, concimandola con il sangue delle innumerevoli vittime dei nostri innumerevoli conflitti.
Sono franchi e diretti, talvolta ai limiti della scortesia, non conoscono le mezze misure, quella vasta area grigia tra il bianco ed il nero in cui ci muoviamo volentieri. Questo ci fa inorridire, noi specialisti non solo di mezze misure, ma anche di decimi, centesimi, millesimi di misura.
Detesto la linea della attuale amministrazione Usa, provo imbarazzo nello scrivere una simile ovvietà, ma non cederò mai alla subdola tentazione di confondere un popolo con i suoi governanti.

Lanfranco Orsatti


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  17 febbraio 2003