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L'America e il governo del Mondo
di Michele Casiraghi


Le parole in-Crociate

Trovo una vera e propria ironia della storia che - in un secolo del tutto despiritualizzato come il nostro, nel quale, esplicitamente, tutti deprecano le guerre di religione - in realtà immagini e parole che si brandiscono come armi o  si agitano come  argomenti siano soprattutto di origine religiosa.
Bush prega meditando che fare - ma pare abbia già deciso - gli imam lanciano anatemi sugli Usa, il Papa cattolico rispolvera Komeini e definisce satanico chi sostiene la guerra. Bossi aveva già dato un contributo italiano ricercando le mistiche e pagane radici del dio Po. Martino - da par suo, volendo far vedere d'esser  persona più colta - chiude rivelando che si vanno riaprendo le porte del tempio di Giano: automaticamente, s'intende, come i cancelli Farc.
Fassino, in una inedita e simmetrica versione di Bush, chiede al governo di non esser reticente e dichiarare apertamente che intende fare: sono in pochi, in Italia, a non averlo capito.
Rutelli - bravo ragazzo -  pensa alla Rai: un servizio di Mieli da Bagdad bombardata può fare la differenza?
Il problema casalingo - governo o opposizione - non sembra tanto quello di evitare la guerra con ogni mezzo democraticamente disponibile - quanto quello di trarre in qualche misura vantaggio politico dalla sua "ineluttabilità".
E anche, se è comprensibile, costituisce anche una implicita ammissione di impotenza a scala internazionale che non riguarda la destra o la sinistra, ma l'incapacità stessa di adattare le proprie analisi e le proprie azioni ad un contesto di relazioni geopolitiche nuovo, abbandonando quello che non c'è quasi più e che è - peraltro - un obiettivo non certo collaterale del possibile conflitto.


Nuovi riti, vecchi miti

E' tutto un profluvio globalizzato di minacce , affondi, parate, schermaglie, tocchi di punta  e tacco. A nessuno si rifiuta una dichiarazione.
Focault, nella tomba, può ben dire che i sistemi della sorveglianza e della punizione, mutate le mutande tecniche, sono lì sempre uguali:  il bastone missilistico, la gogna mediatica, la carota bancaria.  
Sulla pelle degli indifesi - nel cui corpo sta inscritta come sempre l'assenza di potere vero - si sperimenta il futuro del mondo e il presente di una genia approssimativa di politicanti, al cui cospetto Chirac e Putin finiscono per sembrare - e, ahimè, sono -  personaggi d'altro livello.
A che serve sapere se le motivazioni di Reagan e Blair  puzzino di petrolio o d'altro? Sono domande tardive.
La china intrapresa dal sistema Usa e dalle sue strutture di governo  e puntualmente denunciata dai liberal e radical Usa -  così come da quello inglese e da parecchi altri - è tale da tempo: almeno dagli anni Settanta le lobby governano, pochi votano, l'impotenza regna.
Che strana democrazia quella Usa che - puntualmente - per dimostrarsi tale ha bisogno di sbagliare prima di correggersi.
E che strana acquiescenza  da tappetino - non persiano, che ha più dignità - anche la glorificazione Usa a prescindere, simmetrica e rovesciata rispetto a quella sovietica d'un tempo. Vabbé il culto della personalità per Mao Tze Dong, sbagliato forse ma spettacolarmente accettabile, dopo 50.000 chilometri di lunga marcia: ma qui abbiamo un presidente ranchero, che si muove tutt'al più per qualche centinaio di ettari con in braccio il cagnolino. Suvvia, è una riedizione di Dallas, la telenovela.
Eppure quale mito abbiamo cullato, mentre dall'interno di quel paese gli occhi più vigili già ci segnalavano il pericolo incombente di quel che la Costituzione statunitense "sublima" da sempre in verbo mistico: l'elogio della supremazia "per il bene di tutti", che, chissà per quale filosofica alchimia, dovrebbe coincidere a priori con il proprio.


Una Tragedia americana

Non si può certo ripercorrere la storia di quel paese in poche righe, ma, senza sforzi particolari, basta riandare col pensiero a qualche film per esser un po' più analiticamente sospettosi:   Nascita di una nazione di Griffith,  Furore di John Ford, Apocalipsys now e Mississipi Burning in anni più recenti. Non dico che questi ricordi debban costituirsi in pre-giudizio: ma, almeno, debbono aiutare a non cristallizzarsi n sospensione del giudizio.
Per quale motivo, invece, se non per questioni casalinghe rivestite di smoking internazionali  i Veltro d'alemo fassiniani si sono associati a chi ha eletto a paradigma della libertà una nazione così evidentemente capace di intrinseca violenza? E per quale motivo, ora, dovremmo continuare a farlo?
Questi signori - nel loro sogno perverso, qualunque esso sia e di qualunque ragione voglia farsi forte - stanno esponendo il mondo intero ad un rischio atroce che non è quello, tanto paventato, della ritorsione terroristica: essi stanno sperimentando, non sappiamo quanto consapevolmente, la consistenza reale delle proprie aspirazioni, come in una cinica e allo stesso tempo sprovveduta partita di poker.
Un bluff, un povero e banale bluff - direbbero i diplomatici che parlan fino, un ballon d'essai - che finge di fare astrazione dal fatto che, se in un conflitto a dimensione regionale e tattica senz'altro la superiore capacità di mobilitazione e d'intervento statunitense può esser vincente - anche se non sappiamo a quale prezzo - altrettanto non si può dire di qualcosa che si va rivelando sempre più come una divergenza di dimensione strategica. Tale da portare Francia e Russia e forse Cina a veti in sede Onu.
Non a caso Chirac, nel suo discorso "censurato" dalla Rai che pure ne aveva annunciato la diretta, non cita quasi l'Irak - che c'entra come il cavolo a merenda - ma dichiara che è in questione se il mondo debba essere unipolarmente o multipolarmente governato.
Qualsiasi essere senziente è in grado di dargli - e darsi - la risposta. Perché l'iperpotenza esiste solo nei fumetti e nelle pratiche collettive di psicanalisi consolatoria, come la vernice che rende invisibili.


Atomiche vecchie e nuove, imperi vecchi e nuovi

Per quale insania di fanciulli smemorati, infatti,  stiamo dimenticando che circolano nel mondo, come elementi di potenziale regolazione delle divergenze quando altri strumenti non sono  più alla pari - decine di migliaia di testate atomiche?
Per quale motivo abbiamo creduto - e ci han fatto credere - che le testate nucleari cinesi o russe, per il fatto d'esser forse meno accurate nella mira, siano  dimostrazione non di una potenza comunque possibile e spaventosa, ma di una impotenza? Anzi: si fanno più minacciose in maniera inversamente proporzionale al ruolo di potenza che vien loro riconosciuto.
Quale analista impazzito e prevenuto ha potuto pensare che nazioni con 10.000 testate nucleari nei propri arsenali fossero davvero potenze "regionali"?
Ora lo scontro all'Onu e in Europa evidenzia che così non è. Che se si tratta di mandare in fretta bravi soldatini in Afghanistan, nessuno lo sa fare meglio della nazione a stelle e strisce e del maggiordomo inglese che qualcuno scambiò per essenza della modernità quand'era, semplicemente, simbolo vivente dell'assenza di pudore, degno d'esser come tale citato nelle enciclopedie (multimediali, per carità, se no si offende!).
Se la questione si fa dura, come dice il mitico detto, i duri cominciano a giocare. L'era che si inaugura, che gli Usa vincano o meno la battaglia irachena, non é tanto e semplicemente quella di un nuovo terrorismo: ma quella di un nuovo confronto a distanza nel quale le armi di distruzione di massa - egualmente letali che siano tecnologicamente avanzate o arretrate - diverranno di nuovo le regolatrici del mondo, a piacimento di chi le possiede. E di chi - non possedendole - correrà veloce a dotarsene.


Le amnesie di Bush e le Memorie di Adriano

Grazie a zio Bush per questo Ritorno al futuro, con i suoi cassetti colmi di incubi e angosce.
Il terrorismo sarà, eventualmente,  solo la ciliegina sulla torta...
Rileggo in questi giorni le Memorie di Adriano della Yourcenar. Curioso imperatore, sensibile al punto da comprendere che gli imperi sopravvivono, quando sopravvivono  per la capacità che hanno di felicemente e inevitabilmente "contaminarsi" con quanto li circonda. L'impero vive e prospera non dell'incessante processo dell'appropriarsi dell'altro, ma perché, in realtà,  si lascia "assorbire" da ciò di cui si "appropria".
Poiché se la contaminazione non avverrà per via di incontro, si trasformerà presto in un virus letale.
L'impero che non ha idee e forza e valori, ma solo carote e bastoni  per asservire despoti locali, non espande il proprio potere.
Come ben sanno tutti i teorici e gli analisti dei sistemi complessi, lo consuma e lo dissipa, fino al proprio collasso.
Così è finito ogni impero, a memoria d'uomo. Più indietro, come scrive Plutarco, esistono solo le illusioni del mito. Favole, racconti, nebbie.
Ma Bush non ha letto Plutarco, e Blair , probabilmente, pensa sia il nome di un Chianti DOC.

Michele Casiraghi

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  10 marzo 2003