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Trattare con il Terrore?
di Vittorio Amodeo


Hamas
 
I terrorismi, nelle loro varie forme, non possono che essere condannati perché implicano violenza verso esseri incolpevoli e per lo più ignari. Ma è possibile tentare una suddivisione dei terrorismi in base a quelle che possono essere le loro motivazioni.
C'è il terrorismo che nasce dalla pura follia o dalla volontà perversa di nuocere, non importa a chi e perché, volto solo a promuovere sofferenza con la contemporanea esaltazione occulta dell'autore del gesto: è il caso dei vari Unabomber, dove magari una bambina perde un occhio per lo stupido criminale di turno. Lo studio di questi casi non può che essere demandato alla psicopatologia criminale; se si ha qualche traccia dell'autore una falsa trattativa può essere impostata al solo scopo di farlo uscire allo scoperto.
Ma c'è l'altro e ben più consistente filone di terrorismo che si riconduce a motivazioni di carattere politico-religioso: anzi possiamo dire politico tout court, perché la religione, se compare, funziona per lo più da collante tra i terroristi per determinarli all'azione, non come fine. La mente corre al terrorismo palestinese di Hamas, dove l'organizzazione estremista immola i suoi uomini al fine di contrastare il disegno egemone di Israele.
I metodi di Hamas sono chiaramente inaccettabili, ma le sue finalità andrebbero studiate. Purtroppo non sono chiare, perché non esiste un portavoce unico (che potrebbe essere incriminato). Vanno desunte. Alcuni osservatori sostengono che finalità di Hamas sia la scomparsa di Israele, in realtà più probabile sembra sia il ritiro di Israele dai territori occupati (così non fosse, non avrebbe senso l'offerta di una tregua fatta da Hamas). Altro scopo implicito di Hamas è di offrirsi come alternativa religiosa alla guida di una Palestina islamica, in concorrenza con l'Anp laica di Arafat. E per accrescere il suo peso, Hamas vuole inserirsi di forza nelle trattative per la road map. Con le schiere e la minaccia dei suoi “martiri”, Hamas fa intendere che nessuna pace è possibile se non si tengono in considerazione le sue richieste.
Qual è la reazione di Israele e americana? “Distruggete Hamas”, è quanto viene richiesto al governo di Abu Mazen come condizione per proseguire sul cammino della road map. Dunque nessuna trattativa, anche se solo un cieco non vede che tentare di eliminare Hamas con la forza porterebbe a una guerra civile palestinese in quella già tormentata regione.
La posizione israelo-americana ripropone un dilemma che puntualmente si presenta quando azioni terroristiche si propongono finalità di forte impatto politico: si può trattare con il terrorismo, o questo va solo combattuto al fine di eliminarlo?
Si può dire che i gruppi terroristici impiegano mezzi inaccettabili (la violenza) per finalità che possono essere politicamente lecite: la liberazione della Palestina per Hamas, il ritiro delle armi americane dai luoghi santi per Al Qaeda. Il rifiuto di trattare spesso nasconde solo l'opposizione nel merito delle richieste politiche, che in realtà si avversano.
Va da sé che la mancanza di trattativa prolunga, spesso esaspera, le azioni terroristiche, con danni conseguenti a ostaggi incolpevoli. Si può ricordare la trattativa con i terroristi che avevano occupato l'ambasciata a Lima, nel Perù, facendo numerosi ostaggi: una trattativa particolarmente lunga (ben tre mesi) ebbe infine ragione dei terroristi liberando gli ostaggi. Al contrario la mancanza di trattativa nel caso del sequestro Moro portò alla morte, forse evitabile, dello statista.
In definitiva, che ci piaccia o meno, un gruppo terroristico è un'entità reale con la quale fare i conti appare necessario: rifiutiamo i suoi metodi, ma le richieste possono (a volte devono) essere discusse. La trattativa può stemperare le richieste estreme, diluire le contrapposizioni, giungere a compromessi possibili anche per la stanchezza delle parti, laddove la mancanza di trattativa può indurre disastri irreparabili.
Diciamo anche che noi condanniamo i terrorismi perché impiegano l'arma della violenza: ma gli Stati che propendono alla guerra facile, cosa fanno se non minacciare e usare l'arma della violenza che ricade per lo più verso inermi civili? Anche se al secondo viene dato un appannaggio di legittimità, i due terrorismi sono poi tanto diversi?
Un gruppo terroristico ritiene, magari sbagliando, di non avere altri mezzi fuori dal terrore per ottenere le finalità cui aspira. Uno Stato dispone sempre di altri mezzi: la trattativa internazionale, la moral suasion, i criteri di compensazione, le Corti di giustizia. Ecco perché il terrorismo di Stato, quando c'è, può apparire moralmente più ripugnante del primo.

Vittorio Amodeo

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  28 giugno 2003