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Apocalisse
di Carlo Arcari


Finalmente la grande stampa di informazione se ne è accorta, forse in ritardo, ma oggi la realtà è sotto gli occhi di tutti. La nostra società si sta sgretolando nelle sue tradizionali strutture e rischia seriamente il tracollo. Dopo la scomposizione e atomizzazione di quella che una volta si chiamava "classe operaia", un processo che si è sviluppato negli ultimi vent'anni e si è concluso con la scomparsa o quasi del soggetto, è la volta del "ceto medio" di passare per il tritacarne di un modello produttivo, economico e culturale "globale" che non riconosce più ruoli e classi, ma riduce tutta la società a livello di mera "risorsa".
Il ceto medio italiano un tempo era rappresentato da quella classe di cittadini di cultura borghese, fatta di colletti bianchi, professionisti, insegnanti e docenti, ricercatori, piccoli imprenditori, tecnici, quadri aziendali, commercianti, intellettuali, amministratori e funzionari, in possesso di un'alta scolarità e fino a pochi anni fa, di un solido reddito garantito e da una più elevata capacità di risparmio: caratteristiche che ne hanno fatto fino a pochi anni fa l'architrave del nostro sistema.
La globalizzazione dell'economia italiana, il suo declino industriale, il livello sempre più basso del valore tecnologico della sua produzione, ha eroso in questi ultimi dieci anni, assieme alla nostra capacità competitiva nel confronto internazionale, anche le figure sociali del ceto medio che più la esprimevano con la loro attività, creatività, produttività e cultura, togliendo loro reddito e ruoli, ricacciandole brutalmente nella moltitudine senza qualità dei non garantiti che ogni giorno di più si trovano a dover vivere "senza rete" di protezione.
Il fenomeno non è nato ora; gli economisti e gli imprenditori più seri, non quelli ubriachi di ideologia neoliberista, i sindacati e una parte della sinistra lo denunciano da anni. Non è dunque solo responsabilità del centro destra se oggi il ceto medio si trova in brache di tela a fare i conti con la dura realtà darwiniana del "mercato". E' il vecchio modello che non tiene più, in Italia e in Europa, anche se le condizioni locali essendo diverse fanno emergere con più violenza la contraddizione da noi che altrove. Le responsabilità in Italia sono collettive, di chi negli anni 90 ha preteso di affermare che produrre magliette fosse la stessa cosa che produrre robot, purché diminuissero le tutele e le garanzie in nome della flessibilità e dei profitti, come di chi ha pensato che con un po' di privatizzazioni, un po' di COCOCO e un inasprimento della fiscalità nei confronti,guarda un po', del ceto medio, sarebbero stati la ricetta giusta: non è stato così.
Come siamo arrivati a questo punto? Per gradi come avviene sempre, un cedimento dopo l'altro. Il ceto medio, che aveva partecipato o che aveva subito senza ribellarsi, la decadenza e la corruzione degli anni 80, si è degradato negli ultimi 10 anni perché è stato incapace di guardare avanti, riformare se stesso e il suo sistema di rappresentanza politica, dividendosi tra una parte minoritaria che ha tentato di farlo con le armi della giustizia e della Costituzione e una maggioranza che non ha avuto la forza morale di accettare la medicina del ritorno alla legalità. La guerra ancora in corso di mani pulite ne è la prova.
La paura del ceto medio in Italia, preoccupa tutti perché storicamente non è mai stata senza conseguenze. Come ne usciremo stavolta? Difficile fare previsioni, ma una cosa è certa non è tirando la coperta corta del welfare da una parte e dell'altra che troveremo un rimedio. Ci vorrebbe un new deal, una nuova frontiera. Questa estate dopo il grande black out che ha lasciato al buio l'Italia per quasi 24 ore ho intervistato per un grande settimanale femminile il prof. Roberto Vacca, autore 30 anni fa di un famoso libro: "Il Medioevo prossimo venturo" sulla crisi dei sistemi complessi. Ho chiesto a lui una ricetta contro il degrado e la decadenza in cui ci stavamo impantanando. Questa la sua risposta: "Il medioevo che ci minaccia è quello dell'ignoranza, della mancanza di innovazione, di scuole avanzate, di sperimentazione e di invenzioni. La ricetta per la salvezza è ben nota: studiare, innovare, stare all'avanguardia. Io la chiamo ricetta finlandese. Il Finlandia con 5 milioni di abitanti hanno 32 politecnici e 20 università. Noi con 57 milioni abbiamo in tutto 66 università e pochi politecnici. La loro economia cresceva del 6% l'anno quando noi stavamo al 1,2%. Ora noi siamo a zero e loro continuano a crescere, noi compriamo telefonini e loro ce li vendono".

Carlo Arcari



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  24 novembre 2003