I manichini di Cattelan
di Mauro Reali
Che dire sui tre manichini impiccati da Cattelan in piazza 24 maggio a Milano e successivamente abbattuti da un giustiziere (a metà tra Zorro e Fantozzi) che all'atto dell'audace impresa è pure caduto e finito all'ospedale? Non molto, in verità. È roba più da comiche da Fantozzi, appunto o da filmetti natalizi Vanzina-Boldi-De Sica che da critica d'arte. La bagarre politico-culturale che ne è seguita è poi ancora più deprimente, e ha visto improvvisati schieramenti bipartisan a favore o contro lo scultore, ma anche l'autorevole coinvolgimento della Polizia Municipale sul rapporto arte-viabilità stradale
Chi scrive non ha un'opinione del tutto formata in merito, e lo dichiara. Pensa però che tutto ciò sia l'indizio della povertà culturale di questi tempi, con un artista furbacchione (già noto, è vero, ma mai così a lungo inseguito dai giornali!), con la gente del Ticinese che forse a ragione non vuole vedere manichini di bambini impiccati, e neppure sentire i predicozzi moralistici di Cattelan (sono angeli, ecc
): già troppe sono le violenze fisiche e morali che i minori subiscono nella realtà, come attesta purtroppo la cronaca quotidiana!
In mezzo c'è in Comune di Milano che, temendo con eventuali divieti di fare la parte anacronistica del censore, ha pilatescamente acconsentito alla performance. Le sculture, intendiamoci, a me non piacciono, ma avrebbero potuto benissimo essere esposte in luogo chiuso (come sarà in futuro), lontano dagli occhi più sensibili di una parte della pubblica opinione.
Comprendo pertanto da garantista, libertario ecc
quale sono i timori dell'assessore Carruba nell'apparire severo censore; proprio lui che pure in un clima di ristrettezze economiche è fautore a Milano di una più che dignitosa politica culturale (le nostre recensioni sull'Arengario lo attestano). Ma se l'Autorità Municipale avesse detto la sua in merito, e avesse suggerito per le provocatorie statue un'altra collocazione, non sarebbe stato a mio avviso un segno di censura: ma un atto di responsabilità e buon gusto.
«Tutto il resto è noia», come dice una canzone di Franco Califano, un tempo ritenuto cantante da piano bar ed oggi diventato (altro segno dei tempi
) una specie di guru.
Mauro Reali
15 maggio 2004