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Cosa sta avvenendo in Iraq?
di Michele Casiraghi


Cosa sta avvenendo in Iraq? A fronte di una quotidiana e copiosa messe di collegamenti con  corrispondenti di tutte le reti pubbliche e private, il quadro che emerge non è in grado di rivelare nulla, se non un buco nero caotico e confuso, quasi si volesse imprimere, in questo modo, il marchio della confusione connaturata e originaria a tutta una regione e a un insieme di popoli e culture.
Persino dell'eccidio di Berslan abbiamo immagini copiose, nonostante sia avvenuto alla periferia di un impero, quello russo, che non brilla per trasparenza.
Sull'Iraq invece, molto spettacolo dell'informazione (i collegamenti)  e pochissime informazioni (i fatti e le analisi non superficiali e stereotipate).

Simona Torretta Simona Pari

Perché attaccano anche la cooperazione?
Ora, in questo buco nero, ecco il rapimento delle due cooperatrici italiane, venuto poco dopo la morte di Baldoni: tempestivamente i telegiornali ci imbottiscono col teatrino della politica che rilascia dichiarazioni scontate, invitanti a far muro contro ogni terrorismo e a chiamare tutti all'impegno per la liberazione degli ostaggi.  
Ovvietà, chi volete che affermi il contrario?
Rumsfeld ammette che il paese sfugge in gran parte al controllo degli occupanti, cui pure, per il diritto internazionale, spetterebbe proprio anche il controllo della sicurezza delle popolazioni. La guerriglia - o le guerriglie - attaccano ogni giorno. I terroristi seminano morti. Le truppe d'occupazione bombardano quartieri abitati.
Per le strade - sono le poche immagini di repertorio che ci arrivano a dirlo - iracheni che girano armati di mitra e lanciagranate in mezzo alla gente comune. I pozzi e gli oleodotti bruciano un giorno sì ed uno no.
Al Sistani - che tutti dicono il più moderato (?) - aspetta pazientemente le elezioni che, se effettivamente democratiche, non potranno non sancire il domino sciita in Iraq, con tutto quel che ne può quasi automaticamente conseguire.
In questo scenario caotico, stranamente, da qualche settimana, terroristi e/o guerriglieri prendono di mira soggetti che hanno la comune caratteristica di appartenere, in qualche modo, a un fronte di organizzazioni - se non di nazioni - che o non ha sostenuto l'intervento e l'occupazione o, addirittura, si dà da fare per mitigarne le conseguenze tragiche sulla popolazione: giornalisti francesi e italiani, operatori del volontariato internazionale.
Di fronte a questa straordinaria novità, l'informazione e la politica non si pongono davvero interrogativi all'altezza della complessità del problema.

Qualche domanda
Ai tempi della vicenda Quattrocchi o della strage spagnola, si riconosceva ai rapitori la capacità di perseguire i propri obiettivi attraverso raffinate strategie politiche. Oggi, più spesso, il caos e il buco nero vengono invocati a giustificazione della incapacità di interpretare quanto sta avvenendo: si tratta di ladroni comuni, schegge impazzite, piovre internazionali e quant'altro di immaginabile.
Risibilmente, poi, a questo mondo frammentato cui sovente si imputa il massimo dell'irrazionalità, ci si rivolge con argomentazioni che si vorrebbero razionali per invocare la liberazione dei rapiti o recuperare uno straccio di relazione.
No, francamente non è possibile credere che in Iraq chiunque non possa e non sappia distinguere tra militari in assetto di guerra, operatori privati di security armati fino ai denti, imprenditori di pochi scrupoli e componenti di associazioni di volontariato che, spesso, lavorano lì da decenni!
La domanda, allora, deve diventare: perché adesso tocca anche a costoro? Quale logica, per quanto aberrante, muove questo terrorismo abnorme?
Alcuni rispondono: ogni occidentale è diventato un nemico, poiché tutto l'occidente deve essere attaccato. Ma è una versione che non sta in piedi: nessuno, per quanto imbecille, si comporta in un conflitto in modo tale da ricompattare il fronte avversario e annullarne a proprio svantaggio le differenze e le sfumature. Tanto meno Bin Laden.
Altri aggiungono: perché i rapimenti sono diventati una attività lucrosa in sé, e quindi cresce una forma di banditismo diffuso che vi si dedica. Risposta che non convince se non in alcuni casi: perché questa attività porta sovente alla morte del rapito senza che vi sia stato alcun lucro.

I conflitti iracheni
Converrebbe allora pensare, anche per le prospettive problematiche che apre, a quanto suggerito fuggevolmente  in TV - poi gli hanno quasi impedito di continuare a parlare - da un esperto di culture islamiche docente alla Università di Trieste: i conflitti che hanno l'Iraq per campo di battaglia sono ormai molti, diversi e intrecciati.
Quello con l'occupante, certo, graduato a seconda delle diverse aree geografico/politiche/religiose, ma anche quello tra chi aspira a conquistare posizioni nell'assetto dell'Iraq futuro: curdi, correnti dell'islamismo, nazionalisti, rappresentanti scoperti e coperti delle diverse nazioni estere presenti o interessate operano tutti i giorni per condizionare l'Iraq che verrà, se verrà.
In questo quadro, e con il progressivo o quantomeno supposto avvicinarsi della scadenza elettorale, gli interessi a volte si accostano, altre collidono, e dunque anche chi è davvero amico del popolo iracheno, e lo dimostra sul campo da anni, può diventare una tragica pedina di scambio, il tramite di un avvertimento simbolico e tragico, oppure di un segnale di apertura in questa o quella direzione.
Il buco nero, insomma, parla un suo linguaggio, del quale probabilmente le forze dei servizi segreti presenti afferrano qualche eco.
Da noi, invece, arriva l'eco appena percettibile e distorta di ciò che ci si vuol far sapere: e il teatrino della retorica sciatta, con le sue banalità che non aiutano né a capire, né ad operare.
In nome di un unanimismo che appare - essenzialmente - caratterizzato anzitutto come una zona grigia dell'intelligenza politica.
Nel frattempo, coloro che hanno scoperchiato il vaso di Pandora giocano impunemente la loro partita a scacchi, al riparo della superficie di ovvietà che si sono garantiti. E se ci saranno altre vittime, pazienza.

Michele Casiraghi

Simona Pari a L'infedele (La7): «Italiani forza di occupazione» (dal sito del Corriere)
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DSL

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  8 settembre 2004