prima pagina pagina precedente




ECONOMIA E DINTORNI
La conoscenza diffusa, arma vincente contro il declino,
anche a Monza
di Giacomo Correale Santacroce


Il mese prossimo verranno resi pubblici i risultati dell'indagine “PISA 2003” (Program of International Student Assessment). Il programma si propone di rilevare il grado di competenze acquisite dagli studenti di quindici anni di numerosi paesi quanto a comprensione della lettura, di conoscenza della matematica e delle scienze. Non quindi i titoli di studio posseduti, ma proprio ciò che hanno concretamente imparato.
Come risulta da un articolo di Solomon Gursky leggibile su www.lavoce.info, in Italia, a differenza che in altri paesi, questi dati ricevono molto poca attenzione da parte delle istituzioni nazionali competenti (in realtà, tutte le comparazioni internazionali dove il nostro Paese figura in posizioni poco brillanti vengono da noi snobbate; cosa su cui si potrebbero fare amare riflessioni).
Eppure, se si vuole veramente combattere il declino in cui chiaramente si trova il nostro Paese, il problema della formazione di base è fondamentale. Perché i tempi sono molto cambiati, e l'Italia non tiene il passo con il mondo.
Io ho avuto a che fare spesso con piccoli imprenditori dei tempi del “miracolo” economico italiano. Molti di questi avevano una scolarità elementare, erano decisamente ignoranti, ma dotati di grande intelligenza e creatività. La domanda del mercato era forte, dopo le distruzioni della guerra. Il mercato assorbiva qualsiasi cosa essi decidessero di fare, anche se non eccellente.
Oggi non è più così. I prodotti e i servizi offerti da una concorrenza ormai globale sono sempre più sofisticati, i clienti sono diventati molto esigenti e hanno la possibilità di scegliere il meglio. Gli imprenditori e le aziende che non hanno colto per tempo il cambiamento hanno chiuso. Resistono e crescono solo coloro che sanno cambiare e migliorare la propria offerta.
Gli imprenditori più lungimiranti della vecchia generazione capiscono di non farcela più, che debbono passare la mano ai propri figli e figlie (o ai collaboratori migliori). Ma soprattutto capiscono che questi debbono studiare, tanto e continuamente. Perché tutto il mondo, e non solo quello occidentale, sta crescendo culturalmente. Ingegneri cinesi, manager indiani, ricercatori arabi o africani non sono più mosche bianche e dimostrano che diversità non significa inferiorità.
Per combattere il declino occorre quindi guardare lontano, e partire dalla istruzione di base, che in un paese a scarsa natalità come il nostro deve coinvolgere in pieno anche gli immigrati, da considerare come un potenziale nazionale a pieno titolo.
L'esame spassionato della situazione, come emerge da indagini come PISA 2003, è quindi essenziale per decidere le azioni da svolgere.
Ma se il livello nazionale è così poco sensibile, perché non potrebbero esserlo le istituzioni locali, tra cui i comuni? L'Italia, oltre ad essere il regno della piccola e media impresa, non è anche il paese delle “cento città”?
Gursky si augura che i risultati della ricerca vengano il più possibile pubblicizzati, permettendo “le analisi a livello di aree geografiche, di indirizzi scolastici, e di tutte le altre variabili utili per interpretarli”.
In una città come Monza, ad esempio, dove non esiste probabilmente un problema di scolarità in senso quantitativo e generale (cosa comunque da verificare!), la qualità e il livelli di conoscenza generati dalle sue strutture scolastiche sono strategici per il futuro della città. Quindi, poter mettere le mani sui risultati di Pisa 2003, trarne indicazioni sulla situazione culturale dei nostri quindicenni e sulle possibili strategie d'intervento sarebbe prezioso.
Mi auguro che ciò possa avvenire.

Giacomo Correale Santacroce


in su pagina precedente

  5 novembre 2004