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Ieri, oggi e domani
di Guido Arturo Tedeschi


La Scala, primi Novecento

Quelli che si gettano nella mischia della Scala, prendendo le parti di questo o quel contendente, con la partigianeria alla quale ci hanno educato i dibattiti televisivi, dove tutti parlano ma nessuno ascolta, sanno come funziona un teatro nel resto del mondo civile?
Nessun teatro si mantiene con i soldi che incassa al botteghino, né ora né ai tempi d'oro degli impresari, quando le stagioni si finanziavano con le elargizioni del Principe e in seguito con le concessioni per il gioco d'azzardo. Per chi volesse approfondire, consiglio la lettura de “L'impresario d'opera”, del compianto John Rosselli.
Nell'epoca moderna, i contributi ai teatri sono prevalentemente pubblici e pubblico è naturalmente il servizio che erogano.
Così, in ossequio a questo elementare principio, all'estero danno spettacolo quasi tutte le sere dell'anno e l'incremento del numero degli spettatori che possono vantare è l'equivalente dell'aumento dei profitti con i quali il Consiglio di amministrazione di una società per azioni gratifica i suoi azionisti.
Chi ha partecipato in passato ai dibattiti sulla politica culturale, sa che la Scala si è sempre difesa dalla critica di non produrre in misura adeguata, affermando che i nostri teatri non sono di repertorio ma sperimentali e il nostro pubblico non sarebbe disposto ad accettare il più modesto livello qualitativo degli spettacoli dell'Opera Bastille, piuttosto che del Covent Garden.
Solo nella stagione del bicentenario (1976), l'allora Sovrintendente Paolo Grassi si è mostrato sensibile a questo problema, con un sforzo qualitativo e quantitativo che si è poi esaurito al termine del suo mandato.
Il trascorrere del tempo ha poi fatto definitiva giustizia di questo alibi inconsistente.
La modesta erogazione dei servizi della Scala non è stata in questi ultimi lustri compensata dalla qualità degli spettacoli, mentre il repertorio è stato confinato entro limiti angusti e la porta si è spesso chiusa ai contributi delle migliori professionalità.
Presto, ci si augura, la Scala disporrà delle attrezzature più moderne ma nessuno dei protagonisti della rissa di cui siamo esterrefatti spettatori, senza capire molto di quello che succede, pare in grado di portare il teatro ad uno standard di livello internazionale.
Le dichiarazioni sulla Scala “il più grande e prestigioso teatro del mondo” o sul suo direttore musicale “il più grande del mondo”, sono mozioni degli affetti che nascondono il vuoto di prospettiva.










La Scala - modello
La Scala oggi

Che non può essere che quello di adottare finalmente una politica di repertorio, senza gettare alle ortiche i migliori spettacoli prodotti ma replicandoli nelle stagioni successive, accanto alle nuove produzioni; raggiungere un pubblico più vasto, oggi tenuto lontano dai prezzi alti e dalla difficoltà di poter usufruire della modesta offerta; concedere opportunità ai giovani musicisti e cantanti, che sono la musica del domani.
Un programma di tal fatta è incompatibile con una gestione privatistica insensibile alle esigenze dell'utenza e con i protagonismi non rispettosi dei ruoli e dei meccanismi di funzionamento di un organismo complesso come un teatro.
Programma non impossibile. Basta fare qualche metro da piazza della Scala per imbattersi in un'istituzione efficiente, in pareggio economico, che gode di sempre maggior prestigio e consenso di pubblico: il Piccolo Teatro, che pure ha attraversato nel passato qualche analoga tribolazione.

Guido Arturo Tedeschi


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  4 aprile 2005