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I funerali del Papa
... e lo spazio tra umano e divino
di Michele Casiraghi


I funerali del Papa

Ho appena finito di guardare la cerimonia funebre di Giovanni Paolo II, trasmessa su pressochè tutti i principali canali televisivi italiani.
Da non credente, in questi giorni ho provato anch'io, come tanti altri (credenti compresi, penso) un qualche fastidio istintivo verso la celebrazione mediatica di quest'evento, così massiccia e invasiva di sentimenti che - usualmente - si esplicano più sinceramente nella sfera privata.
Oggi, seguendo un po' disincantato - ma per niente distaccato - lo "spettacolo" offerto - perchè niente che passi attraverso il filtro televisivo non diventa in qualche modo tale - ho avuto modo di analizzare più in profondità quell'irritazione o fastidio istintivo e, forse, di meglio comprenderne la natura, più complessa di quel che mi appariva a prima vista.
Ho pensato alla strutturazione dello "spazio" di questo spettacolo, alla distribuzione delle parti e dei ruoli, alla scenografia.
In un certo senso, a quell'insieme di dati e fenomeni che - ce l'ha fatto notare per prima tanta sociologia e filosofia d'oltralpe, iscrivendolo tra i temi a lei più cari - caratterizzano ogni spazio nel quale si manifesta qualcosa di vitale, di umano e anche qualcosa che dall'umano proviene ma vorrebbe trascenderlo.
C'era una topologia del potere molto chiara  che assecondava rituali e norme secolari. 
Un altare  disposto, dinanzi all'ingresso della basilica, a sinistra i porporati e gli apparati ecclesiastici, a destra i potenti della terra, secondo gradazioni prestabilite.  Di fronte, l'immensità della gente comune, che si diramava da quella piazza - come in una tipologia più libera e anarchica - in altre piazze di Roma.
Mi sembrava, a prima vista, una organizzazione in qualche modo "separata", che incorporava  più una contrapposizione che una integrazione. E, almeno in parte, così era.
Poi, guardando la bara del Papa posta solitaria al centro delle rette immaginarie che ad essa convergevano da tutti i luoghi circostanti, ho capito che - forse - quella separazione era carica di tensione, esprimeva - in realtà - uno spazio di domande e risposte mai risolte che legavano tutti i presenti.
In una organizzazione di tipo monarchico  (quella degli apparati curiali e cardinalizi) che, tuttavia, ha da fare i conti con una realtà ecclesiale che vorrebbe pervadere il mondo intero e per misurarcisi è costretta a pervaderlo e "contaminarvisi",  nessuno lì dentro era separato.
Semmai, il gigantesco abbraccio dei colonnati che invita alla cattedrale, oggi racchiudeva tutto costringendolo a misurarsi con il silenzio di quella bara e di quel Papa, sopravvenuto dopo tanta presenza e loquacità.
L'esplosione degli applausi, i cori di beatificazione, l'irruenza folcloristica e quasi tifosa di una piazza che - per alcuni minuti e in diverse occasioni - si è alternata ai cori e alla celebrazione sacra "sospendendola"  e costringendola a ritmarsi diversamente non hanno rappresentato, in realtà, solo o prevalentemente la degradazione televisiva di sentimenti privati o pubblici.
Non c'erà solo il reality show, anche se - in qualche modo - la televisione cercava d'imporlo, per sua stessa natura.
C'era la domanda - rivolta da questo popolo tifoso ad altri coprotagonisti dello spettacolo e del rito e protagonisti della storia - di rispondere al silenzio di quella bara poichè quel silenzio, che racchiude parole chiare  e contraddizioni trentennali, si è  trasformato negli anni nella parola di moltitudini grandi, spesso chiamate solo ad assistere a quanto per loro si organizza di buono o malvagio nel teatro umano, e anche a pagarne il prezzo.
L'invasione sonora, gestuale, di massa con tutte le sue differenziazioni - poichè credo ciascuno avesse qualcosa di proprio da testimoniare o manifestare in quel luogo - è una domanda al quale il potere sacro, che tra breve riconfluirà nel suo conclave separato, potrà decidere di rispondere o non rispondere.
E, altrettanto, toccherà fare agli altri protagonisti oggi riuniti che torneranno ad appartarsi nei propri palazzi.
In quella domanda, così almeno mi è sembrato, sta la speranza di un "contatto" tra l'umano e il divino che ancora percorre il mondo.
Non sarà possibile ignorarla.

Michele Casiraghi

la documentazione fotografica sul Corriere della Sera

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  8 aprile 2005