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ECONOMIA E DINTORNI
Imprenditore: ma cosa vuol dire?
di Giacomo Correale Santacroce



l'imprenditore
 
Bisogna riconoscere che, nonostante la parola “imprenditore” venga correntemente usata e abusata, ancora non è chiaro che cosa voglia dire.
Sembra che il termine sia stato inventato due secoli e mezzo fa, quando il finanziere francese Cantillon la usò per primo per definire qualsiasi lavoratore autonomo, compresi ladri e prostitute.
La definizione più inossidabile è forse quella che ne diede l'economista austriaco Schumpeter nel 1946: “La caratteristica che definisce l'imprenditore è semplicemente il fare cose nuove o fare cose che si stanno già facendo in un modo nuovo… La 'cosa nuova' non deve essere spettacolare o d'importanza storica. Non c'è bisogno che sia l'acciaio Bessemer o il motore a scoppio. Può essere la salsiccia Deerfoot” (cioè un prodotto semplice ma di alto gradimento). Di qui l'invito di Schumpeter a considerare anche i piccoli imprenditori (J. A. Schumpeter, “L'imprenditore e la storia dell'impresa. Scritti 1929-1949)”, Boringhieri, Torino, 1993).
Va da sé che l'innovazione di cui egli parla deve avere una valenza economica, dare luogo a un business redditizio.
Né per Cantillon né per Schumpeter “imprenditore” significava “capitalista”, parola usata da un altro, e alternativo, filone teorico, che parte da Adamo Smith per arrivare a Marx e oltre. Mentre per questi ultimi è il capitale, elemento passivo e impersonale, che determina i processi economici, per i primi è l'elemento soggettivo e creativo dell'imprenditore che mette in moto e determina lo sviluppo economico.
Ma dai tempi di Cantillon e anche da quelli di Schumpeter, come del resto da quelli di Adamo Smith, di Carlo Marx e di Keynes (il teorico dell'intervento dello stato all'interno del sistema capitalista) è passato molto tempo.
La figura dell'imprenditore è stata praticamente ignorata per un lungo periodo: praticamente dagli anni trenta ai sessanta del secolo scorso, quando la pianificazione era la parola d'ordine sia nel settore pubblico che nel privato, e la “mano visibile” dei manager aveva preso il posto sia dell'imprenditore, sia della “mano invisibile” del mercato nella cultura economica. Lo stesso Schumpeter aveva preconizzato la scomparsa del protagonista a cui aveva dedicato tanta attenzione.
Ma dagli anni ottanta il ruolo dell'imprenditore ha riconquistato prepotentemente il suo posto sulla scena economica, sia con personaggi alla Bill Gates che con quelli, piccoli, numerosi e spesso prodigiosi, che fanno ad esempio la ricchezza della Brianza.
Oggi l'imprenditore è ancora quello che fa innovazione economicamente rilevante. Tuttavia emerge più che nel passato la sua funzione di creatore (o almeno di promotore della creazione) di valore o ricchezza.
Quest'ultima affermazione implica tutta una serie di distinzioni, e quindi una definizione più ristretta e rigorosa di chi possa essere definito imprenditore dal punto sostanziale, e non solo formale (quanti sono i cosiddetti imprenditori, figli di papà o altro, che imprenditori non sono!).
La prima è che “fare soldi” non coincide con “creare ricchezza”. Anche un rapinatore fa soldi, ma occorrerebbe escluderlo dalla definizione di imprenditore. Infatti il rapinatore realizza uno scambio a somma zero - io vinco, tu perdi -, mentre l'imprenditore, se crea veramente ricchezza, dovrebbe dar vita a uno scambio a somma maggiore di zero - io vendo, tu compri e tutti e due siamo più contenti -.
Anche i mafiosi fanno soldi, ma dovremmo escluderli dalla categoria degli imprenditori. La mafia, come la criminalità organizzata e come fenomeno ambientale, non solo non crea ricchezza, ma addirittura la distrugge perché scoraggia l'imprenditorialità - dà luogo a un processo economico a somma minore di zero -.
Una terza distinzione è quella tra profitto e valore. Com'è noto, il valore aggiunto di una azienda comprende non solo il profitto, ma anche le retribuzioni dei lavoratori, nonché gli interessi pagati alle banche e le tasse versate allo stato: in totale, la differenza tra quello che entra in azienda - l'input, cioè le materie prime eccetera - e quello che ne esce - l'output, il prodotto -. E' questo, insieme alla soddisfazione del cliente e degli altri interessati alle sorti dell'azienda, il valore prodotto da un'azienda. Il profitto, che è parte di esso, resta determinante per la conservazione e lo sviluppo dell'azienda stessa.
Chi usa l'azienda per operazioni speculative, cioè per trarne profitto a breve termine, a danno degli altri interessati - collaboratori, finanziatori, risparmiatori, clienti, comunità locali eccetera - e alla fine della stessa azienda, più che imprenditore dovrebbe essere definito e bollato, nel migliore dei casi, con il termine di “affarista”.
Le distinzioni diventano più difficili e sfumate quando si ha a che fare con forme di mercato diverse dalla concorrenza o con prodotti o servizi il cui “valore” è questionabile.
Quando un imprenditore opera in condizioni di monopolio, ha la possibilità di avvantaggiare sé stesso ed eventualmente una parte degli interessati all'azienda a danno di altri. La capacità di competere, che è uno degli attributi dell'imprenditore, viene meno e il profitto si trasforma almeno in parte in rendita di monopolio. Ma, considerato che l'imprenditore è per definizione colui che fa innovazione, e che l'innovazione ha in sé i semi del monopolio, è difficile stabilire confini che escludano drasticamente il monopolista dalla qualifica di imprenditore.
Analogamente, se un imprenditore produce armi o droga, la sua “produzione di valore” può essere messa in discussione.
In questi casi, la definizione di imprenditore come produttore di valore non risponde più a criteri oggettivi. Essa può essere determinata convenzionalmente da leggi dirette a contrastare le posizioni di monopolio e a controllare e limitare la produzione e commercio di certi prodotti.
In base a tutti questi criteri, così come cerchiamo di capire se un medico, o un avvocato eccetera è buono o cattivo, potremo tentare di valutare se quello con cui abbiamo a che fare sia un vero, o buon imprenditore, o piuttosto uno che usurpa questo nome.

Giacomo Correale Santacroce


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  10 aprile 2005