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Foibe e Ricordo
di Franco Isman

esumazione di vittime
esumazione di vittime, una delle pochissime foto pubblicate

Giusto ricordare la tragedia delle foibe (si parla di 4.000 persone fatte scomparire) e della tragedia dei profughi istriani e dalmati (250.000, 300.000) costretti ad abbandonare le proprie terre e malamente accolti dalla Patria, più matrigna che madre.
Giusto ricordare, e da questo punto di vista ben venga una giornata a questo espressamente dedicata, anche se l'istituzione di questa celebrazione, immediatamente successiva al Giorno della Memoria, che commemora lo sterminio del popolo ebraico, e non soltanto di questo (6 milioni di ebrei morti ammazzati, 8 milioni in totale), e la deportazione nei lager nazisti, appare strumentalmente volta a fare di ogni erba un fascio ed a comparare l'incommensurabile: un tragico episodio nato dalle devastazioni di una guerra e lo sterminio scientificamente progettato e perseguito di un intero popolo.

Le foibe vedono due distinti periodi: un primo immediatamente dopo l'otto settembre 1943, con il disfacimento dell'esercito italiano e fino all'arrivo dei tedeschi che si erano praticamente annessi tutta la Venezia Giulia con l'istituzione dell' Adriatiches Kustenland (Litorale Adriatico), che comprendeva Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana, già occupata dagli italiani, e lo scatenarsi delle vendette nei confronti dei fascisti ma anche dei rappresentanti dello Stato, unite a quelle private: si parla di 400 morti in Istria.
Un secondo periodo ha per epicentro Trieste, nei quaranta terribili giorni dell'occupazione “titina” dal primo maggio 1945 fino al subentro nell'occupazione degli Alleati con l'istituzione dello AMG-VG (Allied Military Governement-Venezia Giulia). E qui si parla di 4.000 uccisi, gettati nella foiba di Basovizza (che in realtà era il pozzo di una vecchia miniera abbandonata) ed in numerose foibe (inghiottitoi carsici) dell'entroterra istriano, spesso legati con il fil di ferro, fucilati sul bordo della foiba e fatti precipitare, vivi o morti che fossero.
In questo modo atroce sono stati fatti sparire gli aguzzini fascisti catturati, ma anche e forse soprattutto chi avrebbe potuto opporsi alle pretese della Iugoslavia di Tito di annettere Trieste e il suo interland, i membri non comunisti del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) prima di tutti. “Trst je nas”, Trieste è nostra, urlavano e scrivevano sui muri gli slavi.
Le foibe sono state l'aspetto feroce di un preciso progetto politico nazionalista, al quale purtroppo erano favorevoli i comunisti italiani della zona che mettevano l'ideologia davanti all'interesse nazionale. E i triestini non lo hanno mai dimenticato.

Ma non si possono tacere le gravissime responsabilità italiane, anzi del fascismo, che non giustificano certamente, ma dovrebbero far meditare e capire.
Trieste all'inizio del Novecento apparteneva all'impero austro-ungarico, era una città cosmopolita e tollerante in cui convivevano pacificamente moltissime etnie e religioni: dagli italiani agli austriaci, agli ungheresi agli slavi, ai turchi, agli armeni; dai cattolici, ai greco ortodossi, ai protestanti agli ebrei, era una piccola Vienna, con una classe colta, in gran parte di lingua e sentimenti italiani, e gli slavi dell'altopiano, rozzi contadini per lo più, erano chiamati “sciavi”.
In Istria e Dalmazia esistevano forti minoranze italiane nelle città e nei paesi della costa, oltre che nelle isole, a suo tempo possedimenti della Repubblica di Venezia. Tutto l'interno era viceversa sloveno e croato.

Dopo la Grande Guerra Trieste fu annessa all'Italia: il 3 novembre 1918, in un tripudio immenso di folla, il cacciatorpediniere Audace attraccò proprio davanti a piazza Grande e sbarcarono i bersaglieri. Il molo si chiama oggi Audace e la splendida piazza porta il nome dell'Unità d'Italia, più semplicemente piazza Unità. Con il trattato di pace furono dati all'Italia anche Fiume, tutta l'Istria e la costa dalmata.
Poi arrivò lo squadrismo fascista e Trieste ebbe la sua parte, con le violenze e l'incendio del “Narodni Dom”, la casa del popolo (Hotel Balkan per gli italiani), con i pompieri bloccati dai facinorosi, la polizia che stava a guardare e il custode e la figlia che si erano dovuti buttare dalle finestre (uno morto ed una ferita). Poi le angherie contro gli slavi, l'eliminazione di ogni forma di cultura e di insegnamento dello sloveno ed in genere l'italianizzazione forzata. Poi l'immigrazione in Istria, organizzata dal regime, di contadini del Sud d'Italia che andavano ad occupare le terre abbandonate dagli slavi. Infine, con la nuova guerra, l'occupazione militare di Lubiana e di un'ampia fetta della Slovenia, con azioni di rappresaglia del nostro esercito che poco hanno da invidiare alle barbarie naziste in Italia dopo l'otto settembre e con l'istituzione di campi di concentramento, come quello di Arbe dove ci furono 2.000 morti di fame e stenti: “i prigionieri ammalati non danno problemi” sentenziò non so quale generale alle rimostranze di un cappellano militare.

Nessuna giustificazione per le foibe, ma nemmeno per i crimini di guerra italiani. Ed è probabilmente per questo aspetto bifronte dei crimini commessi, più ancora che per la collocazione neutrale di Tito che faceva comodo all'Occidente, che i nostri governi per decenni hanno preferito passare sotto silenzio l'orrore delle foibe, che comunque a Trieste si conosceva benissimo e nessuno ha mai dimenticato.

Franco Isman


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  10 febbraio 2006