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Quel che resta della notte
di Toti Iannazzo

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E' finita la legislatura ed è dunque tempo di bilanci. Cosa ci resta della lunga notte del governo di Silvio Berlusconi?
Ci resta, soprattutto, la figura del primo ministro. Un primo ministro come non ne abbiamo mai avuti, e come, si spera, non avremo mai più. Che si atteggia a monellaccio birichino della politica italiana. Forse perché, essendo dotato di un io straripante, vuole distogliere l'attenzione dai suoi atti per concentrarla su se stesso. Così fa le corna in una foto di gruppo con i grandi del mondo, o si dà arie di tombeur de femmes, come probabilmente è stato in gioventù, ma che, all'età che ha, appare ridicolo, specialmente se l'oggetto delle sue attenzioni è una tutt'altro che avvenente signora finlandese, certamente del tutto indifferente a quelle attenzioni. Un primo ministro che dell'apparire, invece che dell'essere, ha fatto la sua filosofia di vita. Che perciò si fa tingere e trapiantare i capelli, che si fa “stirare” la faccia, come certe signore che si rifiutano, anche a costo di apparire patetiche, di invecchiare.

Apparire invece che essere. Lo si riscontra sin dalla cosa più elementare: i nomi e i simboli. “Forza Italia” e “azzurri” appaiono come i nomi del partito e dei suoi aderenti; ma sono, in realtà, per tradizione lunga e consolidata, rispettivamente il grido di incitamento delle squadre nazionali italiane e l'appellativo dato agli atleti che le compongono. Ed appaiono anche i tre colori della bandiera di Forza Italia, ma sono invece quelli del tricolore italiano.

Manco a dirlo, la regola si applica anche ai provvedimenti di questo governo, o alla maggioranza di essi. Prendiamo ad esempio uno dei più propagandati dal primo ministro: la riduzione delle tasse. Abbagliato dagli analoghi provvedimenti di Reagan e della Thatcher, anche il nostro ha voluto scimmiottarli; e, come immancabilmente ci ricorda nei quotidiani sproloqui di queste settimane, ha ridotto le tasse. Ma - a parte il merito del provvedimento, che ha consentito cospicui vantaggi a chi già aveva molto e quasi nessuno a chi ne avrebbe avuto davvero bisogno – ha contemporaneamente ridotto i cosiddetti “trasferimenti” alle amministrazioni comunali (con qualche eccezione, guarda un pò, per certe amministrazioni “amiche”). Queste, trovatesi nell'impossibilità di fornire ai cittadini aiuti e servizi che fino a quel momento avevano dato, si sono trovate costrette ad aumentare le tasse locali, l'ICI in primo luogo. Il cittadino medio, in tutto questo giro, ha finito con il rimetterci, con il risultato che è aumentata la fascia di chi fa fatica ad arrivare dignitosamente alla fine del mese.
Ecco dunque un provvedimento che appare buono, ma che invece è peggiorativo.

La furbizia dell'apparire invece dell'essere è stata sorprendentemente esercitata dal premier anche nei riguardi di un membro della sua stessa coalizione, la Lega. La faccenda, per la verità, non è ancora conclusa, ma se ne intravede con sufficiente chiarezza l'esito finale. Parlo della cosiddetta “devolution”. Il provvedimento, al quale la Lega teneva come ai suoi occhi, è stato effettivamente approvato dal Parlamento, malgrado gli evidenti mali di pancia che esso causava ad AN ed a buona parte della stessa Forza Italia. Che però entrambe avevano avuto adeguate contropartite: un “premierato” camuffato ma reale per AN, e le leggi “ad personam” (queste, peraltro, fanno eccezione: sono, non appaiono!) per Forza Italia. Dove sta il trucco? Semplice: il premier ha promesso qualcosa che non era nella sua totale disponibilità, e lui lo sapeva benissimo. La “devolution” per diventare legge dello stato, infatti, ha bisogno di superare l'inevitabile referendum popolare. Ed è praticamente certo – non essendoci, le forche caudine del “quorum” – che il popolo italiano dirà no a quella riforma. Così la Lega si ritroverà con un pugno di mosche, mentre il premier incasserà definitivamente, e per così dire “gratis”, le leggi ad personam. Gratis, in realtà, si fa per dire: solo il referendum, questo inutile ma inevitabile referendum, costerà agli italiani milioni di euro. Ma che importa! Lui avrà ottenuto quel che voleva. Un trionfo dell'apparire invece del più serio essere.

E gli esempi, su questa linea, potrebbero continuare all'infinito.

Ma non c'è nulla, si chiederà, che superi l'esame?
Sì, c'è. E' pochissimo, ma c'è. Ad esempio la patente a punti: è il provvedimento che è riuscito a far indossare la cintura di sicurezza agli automobilisti italiani, che fino a quel momento avevano snobbato tutte le leggi varate con quell'obiettivo. Un altro esempio è la legge sul fumo, la cosa più sorprendente della quale è che gli italiani la rispettano, evitando di fumare nei luoghi chiusi.
Ma sono cose piccole. Quelle grosse sono state costruite come i castelli delle fate. Appaiono ma non sono. Ad immagine e somiglianza del loro artefice.

Toti Iannazzo


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  11 febbraio 2006