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ECONOMIA E DINTORNI
“Ricchezza e povertà” a Trento
L'economia spiegata al popolo
di Giacomo Correale Santacroce


ricchezza e povertà

Da molto tempo mi pongo il problema della diffusa ignoranza sui problemi economici, che consente il perpetuarsi di preconcetti e di errori, le cui vittime sono proprio coloro che inconsapevolmente li considerano verità indiscusse.
Non si tratta di diventare tutti dei Draghi (mi riferisco al Governatore della Banca d'Italia). Si tratta di capire che l'economia è presente in ogni atto che compiamo, e che quindi è uno strumento che siamo obbligati a maneggiare, senza considerarlo semplicisticamente o ideologicamente come un passaporto né per il paradiso né per l'inferno.

Scrivendo qualche articolo per l'Arengario, della serie “Economia e dintorni”, ho cercato di scalfire minimamente questa ignoranza e gli errori più comuni, coltivati spesso ad arte attraverso i mass media da parte di persone o gruppi interessati (vedi le recenti campagne pubblicitarie della Federfarma, la potente federazione dei farmacisti, per difendere il monopolio ereditario nella vendita di tutto ciò che è considerato vagamente curativo).
Ora, finalmente, la consapevolezza dell'esistenza di un grande vuoto da colmare nella cultura sociale, e il tentativo di farlo, sono esplosi in modo inaspettato.

Ha cominciato il teatro, con lo spettacolo “Lo specchio del diavolo” scritto dall'economista Giorgio Ruffolo e messo in scena dal regista Luca Ronconi. Il titolo si rifà alla definizione della moneta come farina (o sterco, secondo gli Scolastici) del diavolo. Lo specchio esprime il passaggio dall'economia reale all'economia finanziaria, simile al passaggio di Alice dal mondo reale a quello delle meraviglie, e, a mio parere, all'eterna illusione dell'esistenza della pietra filosofale con cui trasformare il piombo in oro. Sono andato a vederlo al Piccolo Teatro, con qualche perplessità, dato che non mi risultava che Ruffolo, un intellettuale dell'economia, fosse un grande divulgatore. Ne ho avuto conferma: il testo, interessante e brillante, è una storia economica da Adamo ed Eva ai giorni nostri. Si articola in tre “atti”, che pongono l'economia in rapporto rispettivamente con l'ambiente, con la finanza e con la politica. Dura tre ore, e senza la geniale regia di Ronconi credo che un pubblico comune non lo reggerebbe più di un quarto d'ora. La platea sembrava composta per lo più di addetti ai lavori (professori e studenti della Bocconi eccetera), che ha resistito, apprezzando il lavoro come un piacevole ripasso o integrazione delle cose che già sapeva. Comunque, è stato un tentativo molto apprezzabile, perché ha agito da rompighiaccio.

Ha continuato l'opera, in grande, il Festival dell'economia di Trento. Questa straordinaria iniziativa, ricalcata su quelle analoghe di Mantova (festival della cultura), Modena (festival della filosofia) e Genova (festival della scienza), ha fatto affluire a Trento tra il 1° e il 4 giugno cinquantamila persone. Il tema prescelto da Tito Boeri, giovane economista, forse il maggior esperto attuale di economia del lavoro (flessibilità, retribuzioni, pensioni eccetera), chiamato dall'editore Laterza e dal Sole 24 Ore a organizzare il festival, è stato “Ricchezza e Povertà”. Ne hanno parlato grandi nomi, da Padoa-Schioppa a Alesina, italiano che dirige il dipartimento di economia dell'Università di Harvard, da Fan Gang, direttore dell'Istituto nazionale cinese di ricerca economica, a Tony Atkinson, massimo esperto oxfordiano di distribuzione del reddito, da Zigmunt Bauman, sostenitore della way of life europea contrapposta al vecchio ”American dream”, al mostro sacro Ralf Dahrendorf, politologo tedesco diventato Sir di Sua Maestà britannica come presidente della London School of Economics.
Poter entrare negli auditori affollati di migliaia di persone desiderose di apprendere sulle cose economiche è stata una impresa. Ci si poteva consolare con la miriade di altre manifestazioni, teatrali (Moni Ovadia), cinematografiche (Ken Loach), musicali (Cheryl Porter), e la degustazione di prodotti locali innaffiati di marzemino.
Ha fatto colpo la citazione da parte di Atkinson di una ricerca, da cui risulta che se gli squilibri economici nei paesi europei venissero espressi in termini di scostamenti dell'altezza degli umani rispetto alla media (1 metro e 70 centimetri), avremmo molte persone (in Italia il 18% della popolazione) alte meno di un metro (che è la soglia della povertà) e altre alte quattro, dieci, cento metri e oltre.
Tra una relazione e l'altra si è cercato di spiegare, nei limiti del possibile, cosa significano veramente tre parole chiave: mercato, sviluppo, povertà.
Gli organizzatori sostengono, e c'è da credergli, che i partecipanti non erano solo addetti ai lavori, ma tantissimi giovani e intere famiglie.

Conclusioni: il risultato più importante mi sembra quello di aver fatto uscire l'economia dalla definizione che ne diede nell'ottocento Thomas Carlyle: “la Scienza triste” (the dismal science). Carlyle sosteneva che alcuni sono nati per comandare (soprattutto i bianchi) e altri per obbedire (soprattutto i “negri”). Considerava il mercato come la violazione del sistema gerarchico di privilegi su cui si reggeva la sua visione del mondo. Che il mercato sia una cosa triste è smentito dall'immagine di qualsiasi mercato rionale, dove in genere la gente va per divertirsi. Certo ci sono altri mercati, più simili però ai banchetti delle tre tavolette o a case da gioco che a veri mercati.

Ma vi è un altro obiettivo da perseguire, il più importante: dimostrare la falsità dell'altra concezione dell'economia: quella che deriva dal considerare il denaro come farina del diavolo, e che fa dell'economia qualcosa di intrinsecamente svincolato da regole etiche, anzi intrinsecamente peccaminosa. E' una eredità culturale che viene da lontano, specie per noi italiani, che dalle culture cattolica e marxista abbiamo assorbito una sostanziale avversione al mercato e nello stesso tempo consideriamo normale un sistema sociale corporativo, cioè fatto di privilegiati e di sudditi bisognosi e desiderosi di tutela.
Occorre andare nelle scuole, per aiutare le nuove generazioni a superare le concezioni ideologiche che contrappongono supposti regimi liberisti a supposti sistemi socialisti, e a considerare l'economia (che letteralmente significa “regole per la gestione della casa” ed è stretta parente dell'ecologia) come una conoscenza finalizzata a far sì che tutti gli uomini abbiano le risorse per “vivere il tipo di vita cui, a ragion veduta, dà valore” (Amartya Sen).

Giacomo Correale Santacroce


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  10 giugno 2006