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Merito e metodo
di Giuseppe Pizzi


pace    missioni di pace

Il voto sul finanziamento alla missione militare italiana in Afganistan pone in primo luogo una questione di merito, con due tesi a confronto.

Per una sparuta minoranza di pacifisti, “in Afganistan è in corso una guerra di aggressione, contraria alla legalità internazionale nell'avvio e nella conduzione. La partecipazione dell'Italia a questa guerra è incompatibile con la Costituzione, è stata decisa per mera subordinazione e viene sostenuta per non essere esclusi dal governo del mondo" (parole di Emergency).

Per una vasta maggioranza di interventisti, “l'articolo 11 della Costituzione ripudia la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti, ma dichiara l'impegno dell'Italia a concorrere – anche con le sue forze armate – alle iniziative promosse dalle istituzioni internazionali e multilaterali per il mantenimento della pace e della democrazia. Peraltro una considerazione intellettualmente onesta sull'uso della forza – che in politica è una eventualità estrema, ma possibile – non può negare quanto sia forzato e deviante rappresentare come “guerra” azioni e interventi che hanno in realtà il carattere di “polizia internazionale” a tutela di valori, diritti e principi essenziali per la pace e la sicurezza nel mondo” (parole di Piero Fassino al consiglio nazionale).

Quale delle due tesi è quella giusta? Perché sull'Iraq siamo tutti allineati con la tesi pacifista, mentre sull'Afganistan, almeno finora, abbiamo sostenuto quella interventista? Ci sono dati dirimenti cui ascrivere questa diversità di atteggiamento? Stiamo forse usando due pesi e due misure? Disponiamo di sufficienti elementi di giudizio?

Domande difficili, come sempre quando si tratta di decidere da che parte sta la ragione e da che parte il torto, particolarmente quando ragione e torto sono, o sembrano, inestricabilmente aggrovigliate l'una con l'altro.
Per difficili che siano, sono però domande importanti, cui si dovrebbe rispondere nel merito, esaminando a fondo gli argomenti pro e contra, senza preconcetti e reticenze.

Invece, c'è chi sposta il problema sul piano del metodo: “chi fa parte di uno schieramento deve votare con la maggioranza, dissentire non è lecito, perché dissentire mette a rischio la tenuta del governo, perciò chi vuole dissentire esca e vada a dissentire da un'altra parte” (sintesi di molte autorevoli opinioni). Come vedete, del merito non si fa nemmeno più menzione, le regole scavalcano i valori, non si dice “sbagli a pensarla così”, si dice “fai male a comportarti così”.

Adriano Sofri arriva a dire che “in Parlamento si sta per far governare una maggioranza contro l´altra, il desiderio di fare la rivoluzione o l´obiezione di coscienza devono trovarsi altri campi da gioco. Nelle elezioni politiche si gioca soltanto una maggioranza contro l´altra. Non è in ballo il proprio ideale e nient´altro, la rivoluzione o la purezza della coscienza, l´assolutezza che non ammette termini di confronto, bensì il confronto fra quello che consente la propria maggioranza, e quello che assicurerebbe l´altra”. Capito? Si sta parlando di guerra e di pace, di genocidi e di bombardamenti, e uno dovrebbe mettere a silenzio la propria coscienza, neanche si trattasse di un punto in più o in meno di IVA, o delle marche da bollo, o delle licenze dei taxi. Vi ricordate di quando deploravamo la granitica compattezza della passata maggioranza sulle leggi ad personam, e ci chiedevamo come fosse possibile che nessuno avesse un sussulto di dignità, che in nome della continuità di governo si mettessero a tacere dubbi e perplessità e si votassero le più sconce nefandezze? Eppure, in fin dei conti allora era solo questione di soldi, o di impunità di una persona. Qui, ne va della vita o della morte delle moltitudini, e dovrebbe prevalere la logica dell'uniformità di schieramento, l'eterno aut aut del “con noi o contro di noi”?

Per la verità, che queste cose le sostenga Sofri non mi sorprende, è uno che mi ha sempre dato sui nervi, con quella sua scrittura saccente e insinuante, tortuosa e ambigua. Mi secca che come Sofri la pensino anche i miei amici Alberto Colombo e Franco Isman, il primo con l'aggravante di apprezzarne anche la prosa (Emergency e Sofri, dibattito su Piazza d'Uomo).

Con una buona dose di ipocrita generosità, a chi proprio non ce la fa ad ingerire l'amaro calice viene offerta una via d'uscita. Si dimetta (la nobiltà del gesto verrà tangibilmente ricordata in seguito) e ad approvare il finanziamento della missione afgana arriverà un altro al suo posto (allo stesso modo, sembra che le attrici con qualche scrupolo di pudicizia venissero sostituite da controfigure di più larghe vedute quando si doveva girare una scena di nudo - roba del lontano passato). Le dimissioni, oltre che opportune, sarebbero addirittura dovute perché i dissenzienti devono la loro elezione a tutto il centrosinistra, non alla loro piccola conventicola di obiettori di coscienza (salvo poi imputargli la marginalità politica del loro presumibile elettorato). Ecco, questo è forse il punto di più grande interesse e valenza democratica, su cui vale la pena di ragionare.

Francesco Caruso, tanto per fare il nome di un dissenziente, è un parlamentare della Repubblica, eletto in una lista del centrosinistra. Non risulta che, per candidarlo nelle proprie liste, il centrosinistra abbia preteso il suo preventivo consenso alle missioni militari e in ogni caso il deputato Caruso non è soggetto a vincoli di mandato (abbiamo appena bocciato la modifica costituzionale che li avrebbe introdotti). Perciò, una delle due: o davvero Caruso rappresenta a pieno titolo tutto il centrosinistra, e quindi si deve tener conto anche delle sue opinioni (altro che intimargli di andarsene), o rappresenta solo il suo eccentrico (per non dire estremistico) elettorato, della cui volontà fa quindi bene a farsi interprete. E, per dirla tutta, chi può escludere che i 25.000 voti che hanno dato la vittoria al centrosinistra siano proprio quelli dei pacifisti senza se e senza ma, quelli che hanno votato per Caruso o per simpatia verso di lui? Vogliamo espellere Caruso e sopravvivere con i suoi voti? Non mi sembrerebbe democraticamente decente.

La mia ovvia conclusione è che non si possono schivare le questioni di merito: per che motivo siamo in Afganistan, che cosa ci hanno fatto gli afgani, con chi stiamo e contro chi, che obiettivi e che limiti poniamo al nostro intervento militare, chi stiamo difendendo e da che cosa, con chi ce l'abbiamo, e se pure fossimo là solo per convenienza, per il cosiddetto interesse nazionale, che cosa ci guadagniamo. Se si desse una risposta chiara e plausibile a queste domande, la maggioranza di governo ne verrebbe rafforzata. Ma una risposta chiara potrebbe forse risultare meno plausibile del dovuto, così rischiando di far cadere il governo. In tal caso, che cada il governo. Si governa per andare in guerra e per fare la pace, non si fa la pace o la guerra per restare al governo.

Giuseppe Pizzi


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  20 luglio 2006