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Mergermanìa democratica
di Giuseppe Pizzi


tycoons
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La chiamano mergermanìa. E' una incontenibile pulsione all'accoppiamento, con tendenza a esagerare nell'ammucchiata. Imperversa nel mondo degli affari, dove è tutto un tripudio di alleanze, aggregazioni, fusioni, incorporazioni, scambi, annessioni, concentrazioni. La concorrenza sembra ormai un concetto obsoleto, oggi furoreggia l'attività di Merger and Acquisition. I consulenti di M & A, variante business dei sensali di matrimoni, fanno affari d'oro, particolarmente con le banche, che del resto la concorrenza non l'hanno mai molto gradita né praticata.
Sanpaolo e Banca Intesa, uno radicato nel nord-ovest e l'altra nel nord-est, invece di sfidarsi invadendo l'una il terreno dell'altra, fanno una bella fusione e nasce Intesa Sanpaolo, forte da ovest a est. E' come se, cambiando solo l'insegna e la carta intestata, ognuna delle due banche si tenesse il suo territorio e conquistasse senza colpo ferire quello dell'altra.
Il mondo della politica ne è contagiato. Quercia e Margherita, cui fanno riferimento gli elettorati laico-social-progressista e clerical-liberal-moderato, invece di tentare di conquistar consensi l'una ai danni dell'altra, con ciò accettando anche il rischio di perderli, maturano l'idea del fraterno abbraccio, del grande Partito Democratico, una mistura gradevole a tutti, laici e clericali, socialisti e liberisti, progressisti e conservatori.
Che poi le cose vadano realmente così non è detto, per varie ragioni, fra le quali:
  • La fusione di entità diverse è in realtà una con-fusione, un meticciamento, e non si sa a priori che cosa produce. Se va bene, se in uno shaker agiti gin e vermouth dry, ne esce un superbo cocktail Martini. Se va male, se gli ingredienti sono, che so, vodka e lambrusco, un disgustoso intruglio.
  • Nelle unioni, non è sicuro che uno più uno faccia due. I fautori del PD prevedono che faccia tre, fiduciosi come sono che il nuovo partito, per l'originalità delle sue decantate ma imprecisate caratteristiche, riesca ad attrarre nuove fasce d'elettorato. Ma può anche fare uno, e anche meno, se la nuova realtà risulta indigesta a componenti importanti dei due partiti d'origine. Dipende dal bilancio fra entrate e uscite. Per il momento, a compensare la perdita di Salvi, Angius e Mussi (e ciò che rappresentano) ci sarebbe l'arrivo di Follini (e ciò che rappresenta). A occhio, non un grande affare.
  • L'accoppiamento di due partiti, e vieppiù il raggruppamento di più partiti, non è una panacea. Se esistono rivalità e conflitti prima dell'unione, è illusorio pensare che si attenuino e si risolvano dopo. Quelle che erano divergenze fra partiti si ripresenteranno come contrasti interni al partito, e per ciò stesso più velenosi. Uno come Mastella, per esempio, o come Di Pietro, fa meno danni fuori che dentro, meglio litigarci come capo di un partitino esterno che come capo di una correntella interna.
  • Le fusioni non sono innocue, lasciano dietro morti e feriti, principalmente ai vertici, perché comandare in due non si può, e l'unificazione dei comandi impone che uno ceda il passo all'altro. Sennonché, i protagonisti della scena economica e/o politica sono indisponibili a farsi volontariamente da parte (che protagonisti sarebbero?), e perciò la partita per la direzione nazionale del PD continua a schierare un gruppo di contendenti alquanto numeroso (Prodi, D'Alema, Fassino, Finocchiaro, Veltroni, Bersani, Letta, Rutelli, Franceschini…, nessuno che si chiami fuori). C'è chi vuole che siano le primarie a scegliere il vincitore, c'è chi invece preferisce che il processo di sfoltimento vada avanti fino ad indicare un vincitore, per meriti propri o per sfinimento altrui, lasciando successivamente alle primarie il compito di acclamarlo, e in tal caso bisognerebbe chiamarle secondarie.
  • Un progetto di fusione senza obiettivi chiari né scadenze certe, che si trascina fra incontri e verifiche che rimandano ad altri incontri e verifiche, interminabili mediazioni fra interessi contrapposti, battibecchi e scaramucce senza esito, va incontro a un fallimento probabile. L'elettorato è per la politica quel che il mercato è per l'economia, entrambi sono animali sensibili, sempre in cerca di riferimenti stabili e sicuri. Quando gli si prospetta un cambiamento, sospendono la fiducia e si mettono in attesa. Se poi il cambiamento non arriva…, ecco spiegata (in buona parte) la recente sconfitta elettorale.
  • Le anime belle avvertono che per fare il PD la fusione “fredda” di Quercia e Margherita non basta, la fusione deve essere “calda”, tanto calda da portare i due vecchi partiti alla temperatura di ebollizione e alla loro scomparsa per evaporazione. Il vuoto che lasceranno, ci penserà la cosiddetta società civile a riempirlo con una nuova sostanza politica, democratica e riformista, e si avvererà così il grande sogno, un partito nuovo invece di un nuovo partito. Le anime belle si diano pace, rimarrà un sogno che, semmai si avverasse, dopo un po' vedrebbe il partito nuovo diventare un vecchio partito.
Giuseppe Pizzi


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  14 giugno 2007