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Un vertice mutilato
Considerazioni in margine al G8 di Genova
di Emanuela Baio Dossi

Un appuntamento mutilato quello del G 8 di Genova, almeno per tre seri motivi: il dramma della morte di un giovane; la debolezza delle proposte dei grandi della terra; l'incapacità di raccogliere le istanze e le proposte che stanno dentro il variegato mondo del Global Social Forum.

La morte di Carlo Giuliani, un giovane che come dice suo padre aveva fame e sete di giustizia e come spesso sono i giovani, voleva tutto e subito. E' stato stroncato da un colpo di pistola sparato da un altro giovane come lui. Non spetta a noi stabilire la dinamica dei fatti e fare giustizia, ma possiamo dire che il Governo ha blindato l'area dei potenti, ma non è riuscito a garantire la sicurezza.

Se questo drammatico fatto ha aggravato il clima del G 8, non ci si può esimere dal valutare cosa ha prodotto questo vertice. Rischiando di semplificare troppo i problemi potremmo dire che i potenti hanno mostrato la loro debolezza; si sono chiusi a riccio nelle loro torri d'acciaio e hanno fatto ancora fatica a capire che la miseria, la fame, le malattie, la denutrizione, l'analfabetismo di più della metà dell'umanità sta facendo crollare le loro solide protezioni.

E' quanto è emerso anche durante il dibattito che si è svolto prima alla Camera e poi al Senato. L'impressione che si è avuta in aula, poi confermata dalle scelte emerse a Genova è che l'Italia ha rinunciato al suo ruolo di "punta di diamante" verso gli altri grandi del mondo. Nel vertice dello scorso anno a Okinawa l'Italia si è distinta per aver sostenuto con forza la disposizione approvata dal Parlamento italiano di cancellare totalmente o parzialmente il debito vantato dal nostro Paese verso i Paesi poveri maggiormente indebitati.

Non è una contrarietà aprioristica al processo di globalizzazione, perché proprio la globalizzazione può e deve essere sinonimo di libertà, può produrre sviluppo e rispetto dei diritti umani, può generare pace. Non è una visione buonista e umanitaria della società mondiale. Il vero quesito che è stato posto al G 8 di Genova sono le due concezioni di globalizzazione. Si tratta di capire e di valutare se l'economia e la finanzia sono gli unici veri grandi principi informatori delle relazioni e degli scontri mondiali o se invece l'economia è solo un aspetto insieme ad altri di pari importanza. Lo sviluppo dell'umanità è tale non solo quando gli indicatori macroeconomici lo attestano, non quando lo sviluppo è sinonimo di progresso esclusivamente per una parte del Pianeta, ma quando la persona umana singola e associata, anche se non ha a disposizione tutti gli strumenti, trova le condizioni per sentirsi cittadina, per essere libera e non suddita, per migliorare le sue condizioni di vita.

Alcuni spiragli si sono registrati nel vertice di Genova, ma sono molto deboli. Per la prima volta alcuni rappresentanti dei Paesi più poveri sono stati invitati, ma come dice il presidente dell'Unione Europea Romano Prodi, non è con un invito a tavola, che si risolve il vero quesito della condivisione. Troppo poco è stato fatto per definire come coinvolgere e istituzionalizzare la rappresentanza dei Paesi emergenti. Certo è stato stanziato un fondo per la lotta alle epidemie, prime fra tutte l'aids, ma speriamo che non siano le briciole della tavola dei ricchi, per i poveri e i deboli. Così pure è stata inaugurata l'agenzia internazionale per superare il divario tecnologico tra il Nord e il Sud del mondo, perché anche questo è uno strumento per promuovere un processo di democrazia in molti di questi Stati e per favorire il rispetto dei diritti umani. Speriamo però che ci si preoccupi di fornire a questi Paesi l'energia elettrica, non solo nei palazzi ma anche nei villaggi, perché altrimenti la tecnologia accentua la discriminazione.

L'amara e triste lezione del G 8 di Genova deve insegnarci che serve tornare a una maggiore sobrietà dei vertici, che la sola economia divide il mondo e annulla le risorse umane, che gli otto non possono più pensare di governare il mondo senza la condivisione con i tanti altri paesi emergenti.

Credo che l'Italia non debba rinunciare a favorire i prossimi vertici, ma lo deve fare in nome di un nuovo spirito: la globalizzazione è sinonimo di sviluppo umano e solidale.

Emanuela Baio Dossi
Senatrice della Repubblica


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23 luglio 2001