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Gomorra
La camorra è 'na muntagna de munnezza
Umberto De Pace

A Cannes il “Premio della Giuria” va a Gomorra, il film di Matteo Garrone tratto dall'omonimo libro di Roberto Saviano, che ha così commentato il riconoscimento: «Dedico il premio al Sud che resiste. Ai talenti italiani costretti a emigrare. A chi in questo momento combatte per la verità».

Roberto Saviano   Roberto Saviano

Leonardo Sciascia nella nota a margine del suo libro “Il giorno della civetta”, scrisse a riguardo del lavoro di cavare, a cui dovette sottoporre il suo romanzo, per “parare le eventuali e possibili intolleranze di coloro che dalla mia rappresentazione potessero ritenersi, più o meno direttamente colpiti”: “Ma è certo, comunque, che non l'ho scritto con quella piena libertà di cui uno scrittore … dovrebbe sempre godere”.
Correva l'anno 1961. Alla camera dei deputati, come ricorda Sciascia, il Governo “non solo si disinteressava del fenomeno della mafia, ma esplicitamente lo negava”. Solo tre anni dopo, nel nostro paese, entrava in funzione la prima commissione parlamentare d'inchiesta sulla mafia.
Non so come si sentisse Roberto Saviano, nello scrivere, il suo romanzo così lo chiamano i camorristi – “Gomorra”. Può darsi, che l'abbia scritto, nella piena libertà, di cui ogni scrittore deve godere. Rimane il fatto che oggi, Roberto Saviano, è costretto a vivere nascosto e sotto scorta.
Di commissioni parlamentari, dagli anni '60 ad oggi, ne abbiamo avute molte, ancor più sono stati i morti ammazzati dalla mafia, per non parlare di quelli della camorra, che come ci ricorda Saviano, ha ucciso più di tutte le mafie e di tutte le organizzazioni terroristiche a livello europeo.
Saviano, a differenza di Sciascia, ha fatto nomi, cognomi, ha portato dati, cifre, testimonianze. Non ha usato espedienti letterari, abbreviazioni, pseudonimi, non ha posto veli, per coprire le vergogne, della sua terra, non ha scelto la scorciatoia del lavare i panni sporchi in casa propria. No. Forse proprio, perché nel suo libro parla di quella che è anche la sua terra; forse per la sua giovane età; forse – più probabilmente – perché la storia ci insegna, che non tutti gli uomini sono uguali. Alle volte, come fiori nel deserto, sbocciano tra di noi, uomini, che la libertà la portano dentro i loro cuori, nella loro anime, e nulla e nessuno potrà mai incatenarla. Saviano non è l'unico. Molti prima di lui, tanti ancora oggi. Speriamo ancor più domani.
Lessi il suo libro, appena uscito, incuriosito, dal successo che aveva avuto fra i giovani del sud e in particolare di quella terra di camorra, che l'autore, mette a nudo, nella sua organizzazione e spietatezza, pagina dopo pagina. Fui preso “alla gola”, come scritto, nella presentazione del libro e mi lasciai trascinare in “..un abisso dove davvero nessuna immaginazione è in grado di arrivare”.
La stessa sensazione, amplificata, provata guardando l'omonimo film, appena uscito nelle sale cinematografiche. Le immagini, forse più delle parole scritte, colpiscono, come un pugno nello stomaco, nella loro semplice crudeltà, cruda banalità, assurda quotidianità.
La reazione più naturale, può essere quella di incassare il colpo e pensare che la camorra – il Sistema come ci rivela l'autore – sia un qualcosa d'altro da noi. Il libro e il film, ci ricordano invece che il Sistema è in mezzo a noi. Noi Italia, noi Europa, noi nord post-industriale. Perché la camorra, si occupa innanzitutto di merci, siano essi rifiuti tossici o capi di alta moda o cocaina. Poco importa. E i rifiuti tossici, la camorra, li ha prelevati anche qui, dalle industrie del nord. I capi di alta moda li ha confezionati anche per gli stilisti di Milano, la cocaina l'ha esportata, anche nelle fabbriche e negli studi professionali delle nostre città. Anzi, se vogliamo essere precisi, tutto ciò lo fa tutt'ora.
Saviano si è assunto l'onere e la colpa, non tanto di raccontare nel dettaglio tutto ciò – cosa che come ricorda l'autore, è scritta nelle carte processuali e altri prima di lui lo hanno già scritto e denunziato – quanto quello di raccontarlo attraverso il vissuto quotidiano dei protagonisti, dei killer e delle vittime, dei boss e dei loro famigliari. Entrando nella loro intimità, svelando le logiche non solo economiche finanziarie, ma anche familiari, parentali. Svelandone l'immaginario.
Nella Sicilia, raccontata da Sciascia “La famiglia è lo stato del siciliano. Lo Stato, quello che per noi è lo Stato, è fuori: entità di fatto realizzata con la forza; e impone le tasse, il servizio militare, la guerra, il carabiniere.”
Nel regno della camorra, raccontato da Saviano, non esiste “… il paradigma Stato - anti Stato. Ma solo un territorio in cui si fanno affari: con, attraverso e senza lo Stato”.
Iniziamo a fare in modo di eliminare le prime due possibilità – con e attraverso – per poi fare in modo che anche le attività criminali autonome vengano finalmente impedite.
Peppino Impastato – ucciso in Sicilia, trent'anni fa, a causa delle sue denunzie pubbliche della mafia – disse un giorno, nel suo tono dissacrante e ironico, che la mafia “è una montagna di merda”. Dopo aver guardato il film Gomorra, vien da dire che la camorra è 'na muntagna de munnezza.

Umberto De Pace


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  26 maggio 2008