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Forse è un male inguaribile
Giuseppe Pizzi


scribi seminaristi

Queste che seguono, riprese da la Repubblica del 5 giugno, sono parole pronunciate dal cardinale Carlo Maria Martini in un recente incontro con giovani preti:

«E poi c´è l´inganno, che per me è anche fingere una religiosità che non c´è. Fare le cose come se si fosse perfettamente osservanti, ma senza interiorità».

«Il vizio clericale per eccellenza: l´invidia ci fa dire "Perché un altro ha avuto quel che spettava a me?". Ci sono persone logorate dall´invidia che dicono "Che cosa ho fatto di male perché il tale fosse nominato vescovo e io no?"».

«Devo dirvi anche della calunnia: beate quelle diocesi dove non esistono lettere anonime. Quando io ero arcivescovo davo mandato di distruggerle. Ma ci sono intere diocesi rovinate dalle lettere anonime, magari scritte a Roma...».

«Come il vizio della vanagloria, del vantarsi. Ci piace più l´applauso del fischio, l´accoglienza della resistenza. E potrei aggiungere che grande è la vanità nella Chiesa. Grande! Si mostra negli abiti. Un tempo i cardinali avevano sei metri di coda di seta. Ma continuamente la Chiesa si spoglia e si riveste di ornamenti inutili. Ha questa tendenza alla vanteria».

«Anche nella Curia romana ciascuno vuole essere di più. Ne viene una certa inconscia censura nelle parole. Certe cose non si dicono perché si sa che bloccano la carriera. Questo è un male gravissimo della Chiesa, soprattutto in quella ordinata secondo gerarchie perché ci impedisce di dire la verità. Si cerca di dire ciò che piace ai superiori, si cerca di agire secondo quello che si immagina sia il loro desiderio, facendo così un grande disservizio al Papa stesso».

«Purtroppo ci sono preti che si pongono punto di diventare vescovi e ci riescono. Ci sono vescovi che non parlano perché sanno che non saranno promossi a sede maggiore. Alcuni che non parlano per non bloccare la propria candidatura al cardinalato. Dobbiamo chiedere a Dio il dono della libertà. Siamo richiamati a essere trasparenti, a dire la verità. Ci vuole grande grazia. Ma chi ne esce è libero».

Ho copiato queste parole del cardinale in una mail indirizzata ad un teologo mio vecchio amico, chiedendogli se le avesse già lette, e che cosa ne pensasse. Non le aveva lette, e quel che ne pensa me lo ha comunicato in una brevissima risposta:

«Pare che il problema sia costituzionale ovvero originario. Cfr. Matteo 23.
E' l'altra faccia, o una delle facce, della religione. Forse è un male inguaribile».
        
Ed eccolo il brano 23 del Vangelo di Matteo:

1    Allora Gesù si rivolse alle folle e ai suoi discepoli dicendo:
2    Sulla cattedra di Mosè si sono assisi gli scribi e i farisei.
3    Fate e osservate ciò che vi dicono, ma non quello che fanno. Poiché dicono ma non fanno.
4    Legano infatti pesi opprimenti, difficili a portarsi, e li impongono sulle spalle degli uomini;
       ma essi non li vogliono muovere neppure con un dito.
5    Fanno tutto per essere visti dagli uomini. Infatti fanno sempre più larghe le loro filatterie
       e più lunghe le frange;
6    amano essere salutati nelle piazze ed essere chiamati dalla gente rabbì.
7    Ma voi non vi fate chiamare rabbì, perché uno solo è fra voi il Maestro e tutti voi siete fratelli.
8    Nessuno chiamerete sulla terra vostro padre, poiché uno solo è
       il vostro padre, quello celeste.
9    Non vi farete chiamare precettori, poiché uno solo è il vostro precettore, il Cristo.
10 Chi è il maggiore fra voi sarà vostro servitore.
11 Chi si esalterà sarà umiliato, e chi si umilierà sarà esaltato”.


Giuseppe Pizzi


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  16 giugno 2008