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REVISIONISMO
«Guerra politica tra fascisti e antifascisti»
Franco Isman


Pirani con Villari e Pansa con Buttafuoco

Nell'ultima puntata di “Fratelli d'Italia” andata in scena verso mezzanotte dell'8 aprile scorso, dopo l'ultima di “150”, quella dello “scazzo” fra Vespa e Baudo, c'è stato un dibattito sulla Resistenza con da una parte Gian Paolo Pansa e Pietrangelo Buttafuoco e dall'altra Lucio Villari e Mario Pirani, presenti, per par condicio (!), Gelindo Cervi, figlio di uno dei fratelli Cervi e Daniele Govoni, figlio di uno dei sette fratelli trucidati dai partigiani. “Certo che gli stringo la mano, non ho niente contro di lui, figurarsi, ma non si può dire che erano tutti uguali”, ha detto con grande semplicità Gelindo Cervi, nato due mesi dopo la fucilazione del padre di cui porta il nome, che durante la trasmissione aveva dato palesi segni di insofferenza.

Daniele Govoni e Gelindo Cervi

La trasmissione, condotta dai due super presentatori Pippo Baudo e Bruno Vespa, che si parlavano addosso, certamente più reazionario Vespa, ha avuto come eroe negativo Gian Paolo Pansa che ha testualmente affermato che “la guerra civile italiana, termine ormai sdoganato… è stata una guerra politica prima di tutto fra fascisti e antifascisti”. Una guerra fra ragazzi italiani cresciuti nel fascismo, che avevano aderito alla Repubblica Sociale Italiana perché credevano nel fascismo e che volevano che il fascismo vincesse, e l'esercito partigiano composto per due terzi dalle brigate Garibaldi. “Entrambi volevano una dittatura, i fascisti delle brigate nere e della Guardia nazionale repubblicana combattevano per mantenere la dittatura fascista mentre i garibaldini volevano la dittatura rossa, volevano fare dell'Italia l'Ungheria del Mediterraneo”.

Pacato e bravissimo Mario Pirani che ha innanzi tutto contestato l'affermazione sia di una resistenza iniziale di poche migliaia di persone, che del monopolio sulla Resistenza dei comunisti, ricordando che innanzi tutto c'era stata la resistenza dell'esercito italiano con migliaia di soldati trucidati dai tedeschi a Cefalonia, ma anche con la resistenza a Barletta, a Piombino, in Corsica, in Iugoslavia dove le tre divisioni Taurinense, Venezia e Garibaldi si erano unite ai partigiani iugoslavi, e con la deportazione di 600.000 militari italiani nei lager tedeschi, dove quasi tutti avevano detto NO al rientro in Italia per combattere per la RSI, e 60.000 non sono tornati.
Come non sono tornati 10.129 dei 23.718 deportati politici, quasi tutti operai delle grandi fabbriche del Nord che avevano partecipato agli storici scioperi del marzo '44.

E' certamente vero che le brigate Garibaldi erano le più numerose ma non erano le uniche, di più, comandante del CVL, Corpo Volontari della Libertà, era stato nominato dal re il generale Raffaele Cadorna (nipote del Raffaele della breccia di Porta Pia), gli altri esponenti erano “politici”: al 25 aprile Luigi Longo per i comunisti, Ferruccio Parri per gli azionisti, Giovan Battista Stucchi per i socialisti, Enrico Mattei per la democrazia cristiana e Mario Argenton per i liberali.

Da una parte stavano le grandi democrazie dell'occidente con l'Unione Sovietica, che democratica certamente non era, che combattevano per la libertà dei popoli, ha detto Villari, dall'altra la dittatura nazista che aveva scatenato la guerra per la conquista del mondo e stava assassinando milioni e milioni di ebrei e di altre minoranze nei campi di sterminio, La Resistenza combatteva con gli eserciti Alleati, per la libertà, per liberare l'Italia dagli occupanti tedeschi, i combattenti di Salò erano dall'altra parte e partecipavano ai rastrellamenti e alle deportazioni con i camerati nazisti.

Franco Isman


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  14 aprile 2011