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Tecnica e politica: il senso del fare
Alberto Battaglia


il senso del fare

Sin dai tempi degli antichi greci la “tekne” aveva acquisito un insieme di connotazioni e di valutazioni più ampie del semplice “saper fare” e già Socrate nelle sue discussioni sviluppava il confronto tra tecnica e filosofia. Tutto il '900 sarà impegnato in un'indagine critica sul senso della tecnica sia attraverso il nichilismo, sia attraverso i giudizi e la profezia di Weber sul disincanto del mondo e le crescenti esigenze di normative tecnico burocratiche.
Inoltre scienza e tecnica hanno fornito durante tutto il secolo scorso sempre nuovi risultati, ma non hanno saputo rispondere alle domande fondamentali che coinvolgono l'uomo e la sua esistenza nel mondo, sopperendo in tal modo ad esigenze materiali, ma non riuscendo mai a formulare ipotesi o soluzioni ai mali del mondo.

Negli ultimi decenni abbiamo vissuto una attività politica prevalentemente giocata su contrapposizioni ideologiche, nel senso che molti sono stati gli aspetti anche materiali e legislativi che hanno prodotto i risultati a cui siamo arrivati, tanto quante sono state le decisioni assunte senza valutarne gli effetti, o peggio ancora piegando le scelte ad interessi corporativi se non addirittura personali.
A fronte di questo non si dimentichi quanto possono (ed hanno) inciso contrapposizioni che avevano come forte identità quella del riconoscimento e della attribuzione di ruolo di nemico da attribuire all'avversario (da un lato i comunisti, dall'altro Berlusconi) costruendo le scelte politiche e le più o meno coerenti decisioni in funzione della identità del nemico, a partire dalla quale si costruivano alleanze: in sostanza ogni posizione, ogni scelta si basava sulla costruzione di un paradigma basato sulla paura dell'altro, come stimolo per una possibile unità e per una costruzione di identità. Da un lato la demonizzazione dei comunisti (per altro ormai relegati in soffitta) dall'altro la malvagia perversione dell'uomo ricco e potente (in parte vera ma poco politica).

Siamo giunti, negli ultimi mesi, alla composizione di un governo tecnico come panacea per tutti i mali a cui attribuire la responsabilità di uscire dalla crisi alla quale nessuna forza politica aveva saputo dare risposte.
Ma cosa ha significato questa scelta e poi è possibile essere tecnici senza cadere in scelte che abbiamo qualche referenza ideale o ideologica?
Esiste una contrapposizione tra tecnica e pragmatismo da un lato e politica e ideologia dall'altro? O questo è un assioma per il futuro cui si dovrà pensare?

Ciò che oggi accade è che chi più chi meno tenta di accaparrarsi chi dai sondaggi emerge con il maggiore consenso, e il veltroniano “non lasciamo Monti alla destra” pare prefigurare un oggettivo mercanteggiamento sulla figura dell'attuale premier, se non addirittura un inchino a chi pare produca o stia producendo risultati mai realizzati dalla politica. Questo fa ripensare al senso ed alla utilità di forme partitiche ancora ancorate a scelte di campo di vecchio stampo ed ai limiti della produzione di risultati da parte della politica stessa, forse ingessata in alleanze e rappresentanze fortemente sfumate, oppure costituitesi a tutti gli effetti in lobby.
Non è questo solo un problema della sinistra, perché la maggior immobilità di proposte è stata quella della destra al governo, più attenta a non modificare nulla che non a essere coerente con gli impegni elettorali, restando ingessata anche sul tema “liberalizzazioni” che avrebbe dovuto essere un suo cavallo di battaglia.
La stessa sinistra in mezzo al guado tra memorie del passato e timori del futuro ha finito con l'arroccarsi in posizioni di difesa e con enormi difficoltà nel costruire alleanze che potessero concorrere al cambiamento della maggioranza parlamentare.

Che la società attuale sia sempre più un articolato di interessi divergenti e a volte contrapposti lo dimostra la storia e l'incolumità che ogni singola categoria, purché in grado di ricattare, possiede, anche a fronte del suo modesto peso politico e numerico e lo stesso governo tecnico appare impotente tanto quanto lo sono state le forze politiche nel modificarne le condizioni.
Questo sta a significare che l'attuale parlamento è la sommatoria della rappresentanza di categorie eterogenee e questo, in una logica di alleanze ed accordi, altro non fa che produrre staticità delle norme, ricatto reciproco, alleanze ibride e la impossibilità di modifiche alle condizioni che si hanno ed ai privilegi conquistati, salvo ovviamente avviare uno scontro, direi doveroso quanto forse sanguinoso. Togliere privilegi, diminuire diritti e tutele maturati in anni migliori resta sempre e comunque una operazione assai difficile e rischiosa, ma non per questo da non fare.
Ma se questo vale per alcune categorie minori in termini di metodo ed in termini di sostanza non si vede perché non debba valere anche per categorie più numerose ed importanti e che hanno avuto sicuramente nel corso della storia, non solo recente, un importanza sociale notevole, ma che hanno visto nel corso degli ultimi anni modificare anche il loro peso specifico nella società, che non è più la società della seconda rivoluzione industriale, ma ormai è la società della terza e forse anche quarta rivoluzione tecnologica, dove gli scambi e le esigenze organizzative sempre meno necessitano di presenze o di organizzazioni del lavoro rigide e di massa.

Oggi si dovrebbe avere la capacità di svincolarsi dalle vecchie rappresentanze socio-politiche (compresa la lobby sindacale) ed avere una visione meno ancorata a vecchi paradigmi, forse perfino più coraggiosa anche nei confronti di quelle rigidità che condizionano il nostro operato e scusate se penso anche ai vincoli che la Chiesa pone sul fronte ideologico allo Stato, che sovrano dovrebbe essere, penso proprio per non affrancarmi solo a materie di ordine economico quanto di tecnico ci sia sul fronte delle opportunità per la tutela, il rispetto, l'etica della vita.

Se tecnica significa quindi di più del saper fare, se governo tecnico significa possedere competenze specifiche e forte senso del pragmatismo, come funzione fondamentale dell'intelletto nel consentire una conoscenza obiettiva della realtà, se questo è il concetto di tecnico ecco che lo spazio della politica viene messo in discussione. Potrà riappropriarsi della sua funzione solo ricostruendo una visione del mondo che sia onnicomprensiva, che sappia cogliere le molteplici forme della sua apparenza e della sua realtà, riconducendo ad un principio di unità sociale che sappia contenere e ridefinire le priorità.

Questa dovrà essere la futura forma partito, perché l'esercizio della rappresentanza non sarà più legato a categorie sociali perché la loro composizione sarà non solo più articolata, ma la mobilità sociale diventerà uno dei fondamenti di una società fluida, dove mobilità, flessibilità, crescita e decrescita saranno condizioni normali.
Ciò che dobbiamo assumere è la consapevolezza che la tecnica, nell'epoca della quarta rivoluzione industriale, è in grado di offrirci una sana pragmaticità che si basi sulla ponderatezza delle nostre intuizioni, ove gli ideali siano stati in grado di superare schematismi ideologici e dove il senso della politica e del fare politica torni ad essere la gestione della polis. Un governo del futuro dovrà per forza essere un governo dove la tecnica, cioè qualcosa in più del saper far bene, dovrà essere centrale rispetto alle esigenze di gestione e direzione della società.

Alberto Battaglia


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  29 febbraio 2012