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ECONOMIA E DINTORNI
Economia o Finanza (deviata)?
Giacomo Correale Santacroce


Generali

Pochi di noi, credo, seguono le vicende della finanza italiana come sono descritte normalmente dalla stampa. Un po' perché non ci interessa, un po' perché non ci capiamo molto. Non capiamo cosa producono le imprese in questione, se sono gestite bene o male, se chi vorrebbe sostituirsi agli attuali vertici saprebbe gestirle meglio. Quello che ci sembra di capire è che quelle imprese sono oggetto di furibonde lotte di potere. Quello che dimentichiamo è che di regola il tutto è a carico della economia nazionale, cioè nostra.

Non può che essere così? Proprio no, anzi: dovrebbe essere il contrario.
E ce lo dimostra questo estratto da la Repubblica del 29 aprile, che riprende una intervista di Leonardo Del Vecchio al Corriere della Sera. Del Vecchio, per chi non lo sapesse, è il creatore della Luxottica, leader mondiale nel settore degli occhiali. E' tra i dieci italiani più ricchi, ma la sua ricchezza non è stata costruita su monopoli (leggi Berlusconi) o corporazioni, ma su una capacità competitiva a livello globale basata sulla qualità dei prodotti. Il suo quartier generale è ad Agordo, in mezzo alle montagne bellunesi.

Del Vecchio, disponendo evidentemente di liquidità in eccesso, ha deciso di investire nuovamente, e in maggior misura, nelle Generali, una delle poche grandi multinazionali italiane, attiva nel settore delle assicurazioni.

Ed ecco cosa dice Del Vecchio nell'intervista: “Sono uscito dal consiglio Generali (un anno fa) perché quando da assicuratori si vuole diventare finanzieri non si fa un buon servizio all'azienda... Basta con i manager-finanzieri. Usando i soldi dei risparmiatori che vorrebbero solo buone gestioni, si comprano un pezzo di Telecom e l'1% di una banca russa; mettono a repentaglio oltre due miliardi con un finanziere come il ceco Kellner; o si impegnano in Citylife (gli orrendi ecomostri con cui è stata cementificata a tappeto l'area della vecchia Fiera di Milano, ad alto rischio di invenduto) in percentuali che nessun immobiliarista al mondo sottoscriverebbe; e sui fondi greci perdono 800 milioni. Penso che oggi l'amministratore delegato (Giovanni Perissinotto), capo azienda unico senza alibi di azionisti e presidenti, dovrebbe dignitosamente dimettersi, per rispetto verso azionisti e assicurati. Sono sicuro che ci sarebbe un'ovazione quasi scaligera”.

Sono dichiarazioni, per il contesto del nostro Paese, rivoluzionarie. Significa minare la prassi consolidata, che per decenni ha avuto come regista Mediobanca, della cosiddetta “economia delle relazioni”, in cui tutta insieme la casta economica univa le forze per riparare le marachelle di qualche confratello, naturalmente a carico degli azionisti e della collettività.
Una simile rivoluzione ha messo in atto recentemente anche Diego della Valle (noto anche come sponsor no profit del restauro del Colosseo), per sottrarre la RCS (Rizzoli-Corriere della Sera) all'egemonia della Fiat e garantirne la libertà e la focalizzazione sul suo business naturale: l'editoria e il giornalismo.

Del Vecchio e Della Valle fanno parte di quello che è stato chiamato “il quarto capitalismo” italiano: un insieme di circa cinquemila medie imprese italiane che, insieme alla miriade di piccole imprese, reggono l'economia di tutto il nostro Paese.

Poco si è parlato ultimamente di un'altro intervento “rivoluzionario” entrato in vigore recentemente, grazie a Mario Monti: il divieto per gli amministratori di ricoprire cariche ai vertici di imprese in concorrenza tra loro. Gli effetti sono stati immediati: tutti i personaggi in questa posizione sono stati costretti a dimettersi.

Si tratta proprio di una rivoluzione? In fondo, si tratta solo di fare dell'economia e della finanza italiana una cosa normale, finalizzata alla produzione e non alla speculazione. E di restituire al Paese (se mai l'ha avuta) una capacità di reazione alla anormalità, alla arroganza dei prepotenti.

Mi pongo, con una certa angoscia, la domanda: come si comporteranno i partiti riformisti nei confronti delle persone citate e del sistema produttivo virtuoso di cui sono espressione? Capiranno che “sono dei nostri”, o li liquideranno come capitalisti da combattere in quanto tali?

Giacomo Correale Santacroce


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Giuseppe Pizzi
May 01, 2012 10:31 PM

Che ogni ofelè debba fare el so mestè è cosa risaputa, oltre che opportuna e raccomandabile. Il fatto è che, come ha prontamente replicato l'indispettito A.D. delle Generali Perissinotto, il mestiere di assicuratore è inscidibile da quello di investitore. Per tutto il tempo che intercorre fra la raccolta e la liquidazione, ai premi tocca purtroppo trovare un impiego che li metta a frutto, li protegga dall'inflazione e possibilmente generi un profitto con cui sostenere l'attività di assicurazione. E poichè ogni mestiere ha i suoi rischi, il rischio dell'assicuratore è di puntare su investimenti che in seguito si rivelano bislacchi (rivelazione piuttosto diffusa in questi tempi infelici). Del Vecchio avrà i suoi buoni motivi, ma che pasticcere sarebbe quello che si astenesse dal fare i soufflè per non correre il rischio che gli si affloscino nel forno?

Giuseppe Pizzi

N.B. Non si invochi il proverbio meneghino per sostenere il governo dei professori, il cui mestiere, semmai, è quello di insegnare non di governare. Oltretutto, l'essenza della democrazia è proprio che a ogni ofelè è lecito fare el mestè degli altri.



Giacomo Correale
May 02, 2012 10:43 AM

Una cosa è fare l'imprenditore, una cosa l'investitore. Anche Del Vecchio, occhialaio come imprenditore, investe nelle Generali. Ma, ancora,  una cosa è investire in modo oculato e responsabile, in attività produttive , altra cosa è investire, da parte di Sempronio,  per fare un favore agli amici Tizio e Caio.
I confini tra l'una cosa e l'altra sono sempre sfumati. Ma i principi che presiedono all'azione, se vogliamo le strategie d'impresa, sono molto diversi. Altrimenti ci rassegniamo a vivere in una notte in cui tutti i gatti sono bigi. Come dire che sono tutti uguali.

Giacomo



Giuseppe Pizzi
May 02, 2012 3:05 PM

Giacomo, non vorrei passare per il difensore delle Generali e del loro management, io non ne sono capace e loro non ne hanno bisogno. E non ho nulla contro Del Vecchio. Volevo solo dire che se per trent'anni paghi il premio per assicurarti la pensione integrativa, dovrebbe essere anche nel tuo interesse che il tuo assicuratore impieghi i tuoi versamenti in investimenti fruttiferi. Se non lo facesse dopo trent'anni la pensione integrativa te la potresti scordare. Ora, Del Vecchio si incazza perchè le Generali hanno bruciato 800 milioni in titoli greci, lo capisco anche se non è mica il solo, figurarsi gli azionisti delle banche francesi e tedesche che sulla Grecia hanno puntato un centinaio di miliardi. Ma vogliamo davvero pensare che a suo tempo le Generali abbiano investito sulla Grecia per compiacere qualcuno? Che gliel'abbia imposto Mediobanca che doveva un favore a qualche magnate greco o voleva salvare qualche amico banchiere troppo esposto in titoli del debito greco? E che lo stesso sia accaduto, moltiplicato per dieci, in Francia e in Germania? Nel mondo della finanza non si può escludere niente, ma non è più semplice, e tutto sommato altrettanto grave, pensare che abbiano voluto lucrare l'alto tasso di interesse delle obbligazioni greche accettando il rischio correlato nella speranza che, in caso di malparata, avrebbe provveduto l'Europa (cioè la Germania)? Gli è andata male, ma avrei voluto sentirlo, il sermone di Del Vecchio, se gli fosse andata bene. Sarebbe stato zitto e avrebbe incassato il dividendo.

Giuseppe Pizzi
 


Giacomo Correale
May 02, 2012 4:34 PM

Insomma, Giuseppe,

Da quando è morto il Presidente Enrico Randone, le Generali sono andate di male in peggio. 
Quanto meno, hanno fatto investimenti sbagliati, in parte per imprudenza (non m'importa cosa hanno fatto francesi, tedeschi o ottentotti), tenendo anche conto che una società di assicurazione non dovrebbe fare investimenti speculativi (proprio nell'interesse dei pensionati); in parte per fare favori a qualcuno, secondo la prassi nazionale dell'economia delle relazioni. Normalmente tutto ciò, da noi, resta sotto silenzio  e chi paga sono gli azionisti e i cittadini. Del Vecchio, come Della Valle, ha il brutto vizio di raccontarlo, in modi piani e comprensibili per il  volgo. Aspettiamoci i dossier e il polverone contro di loro.
Se a te sembra normale o fatale, amen.

Giacomo



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  1 maggio 2011